L’epilogo dei Florio: quando i miti fanno velo alla storia
La liquidazione – negli anni Trenta del ‘900 – del patrimonio e di tutte le attività dei Florio, i più importanti commercianti, imprenditori e finanzieri che la Sicilia abbia avuto, costituisce ancora oggi tema di appassionata discussione, forse perché gli spunti da sceneggiatura cinematografica sono tali e tanti da consentire libertà di trama a chiunque voglia occuparsene e perché i dati selezionati dallo storico non “tirano” più dell’aneddotica e delle informazioni del tutto infondate. È incontrovertibile che il mito dei Florio resista e non sia stato scalfito, d’altronde il sicilianismo si compiace di proporre il moto perpetuo delle responsabilità esterne all’origine di ogni sciagura che si sia abbattuta sull’Isola e sui suoi abitanti. La storia dell’ultimo Florio, quindi, ha gradualmente assunto una connotazione narrativa da cartoon: la lotta titanica tra un grande imprenditore siciliano contro una coalizione di avversari che avrebbe potuto batterlo solo complottando politicamente e non sul piano della concorrenza di mercato.
In questo modo, si tende a spostare il baricentro dell’attenzione sulla fine rovinosa di Ignazio jr. (figlio del senatore) piuttosto che sull’intero ciclo ottocentesco di crescita e sviluppo di questa dinastia borghese imprenditoriale che ha avuto in Vincenzo, nel periodo preunitario, e nell’erede senatore Ignazio – fino al 1891 – due indiscussi protagonisti della storia industriale e finanziaria di livello nazionale.
La trama, di certo, è avvincente: il giovane Florio alla guida della Casa appena ventiduenne per la prematura morte del padre, che sposa Franca Jacona Notarbartolo di San Giuliano, decantata da Boldini e D’Annunzio, che conduce una vita mondana non certo ispirata a sobrietà e colleziona flirt in giro per l’Europa; la morte prematura di tre figli in tenera età e l’assenza di erede maschio. C’è molto più di quanto serve per un romanzo di appendice.
Un tenore di vita sostenuto – quello di Ignazio jr. – che, seppur non causa prima del declino, era alimentato con il credito bancario. Basti pensare, ad esempio, che tra il 1893 e il 1897 acquistava 6 yacht mentre già dal 1895 era costretto a ricorrere ad un’apertura di credito di due milioni di lire presso la neonata Banca Commerciale. Il suo primo passo falso era stato commesso a gennaio del 1893 – proprio agli inizi della sua gestione – con la sottoscrizione di un’intesa con la Società Generale di Credito Mobiliare per l’apertura di una sede a Palermo nei locali del Banco di famiglia; una sorta di fusione bancaria, nonostante i rischi dell’operazione gli fossero stati rappresentati. Infatti, nel successivo mese di novembre, il grande istituto nazionale veniva posto in liquidazione, trascinando Casa Florio nella tempesta finanziaria, con conseguenti gravi perdite.
Ovviamente non si può addebitare alcuna colpa all’erede per il fatto di essersi ritrovato prima del previsto ad amministrare il cospicuo pacchetto azionario della Navigazione Generale Italiana (Florio e Rubattino) che includeva la fonderia Oretea e lo scalo di alaggio, lo stabilimento di produzione di vino marsala, la fabbrica di ceramiche, la proprietà di alcune miniere di zolfo e la gestione di altre nelle province di Caltanissetta e Agrigento, la banca per le attività finanziarie, la proprietà delle isole e tonnare delle Egadi, un corposo patrimonio immobiliare, titoli e partecipazioni in numerose società.
In quel passaggio generazionale del 1891 il compito gravoso di Ignazio jr. diventava quello di assumere decisioni vitali, a cominciare dalla valutazione delle priorità e delle necessarie dismissioni di attività. Chi lo aveva preceduto aveva compreso che per continuare ad esistere come armatore occorresse compiere il salto di qualità ed entrare nel salotto buono della politica e della finanza e la fusione con Rubattino nel 1881 stava a testimoniarlo.
Perciò appaiono risibili alcune considerazioni sicilianiste sulla fine dei Florio e tra le più ricorrenti, quella secondo cui Ignazio jr. sarebbe stato vittima di un complotto antimeridionale ordito da Giolitti con la complicità della Banca d’Italia e della Banca Commerciale. I dati dicono ben altro: tra il 1894 e il 1902 si registrarono il fallimento del Credito Mobiliare e l’autoconsegna di Florio alla Banca Commerciale per mancanza di liquidità; da quel momento si consuma solo la sua residua credibilità – o meglio – quella del buon nome della Casa. Negli otto anni in questione non c’è alcun governo Giolitti; c’è Crispi dal 15 dicembre 1893, cui succede un altro siciliano, Starrabba di Rudinì, con ben quattro governi consecutivi fino all’estate del 1898; infine seguiranno Pelloux, Saracco e Zanardelli fino al 21 ottobre 1903. Il successivo 3 novembre si insedierà Giovanni Giolitti (fino al 16 marzo 1905) e il nuovo presidente del Consiglio interverrà, ma per ragioni esattamente opposte a quelle indicate dai suoi detrattori. Come mostrato dalla storiografia più accreditata, Giolitti temeva il fallimento di Florio, per i contraccolpi che avrebbe potuto generare in Sicilia.
Nessun complotto politico-finanziario mandò in rovina Florio e fu lui a far naufragare l’ultima opportunità di essere salvato, nel 1908, rigettando la proposta elaborata da Bonaldo Stringher, direttore generale della Banca d’Italia. Le trattative furono lunghe ed estenuanti proprio perché non si voleva infiammare ulteriormente il clima politico e sociale e, allo stesso tempo, per evitare che i veti incrociati impedissero la soluzione. La linea di prudenza e di riguardo nei confronti di Ignazio non mutò neppure durante il fascismo e nei dodici anni che precedettero la liquidazione della Finanziaria Florio il governo Mussolini non riuscì ad evitare il tracollo, esattamente come non c’era riuscito Giolitti.
Della stessa inconsistenza è l’altra tesi secondo cui Ignazio jr. abbia onorato con il suo patrimonio tutti i debiti. Mai menzogna è risultata più autentica: prima la perdita di liquidità propria, poi l’esposizione verso le banche (Commerciale, Banco di Sicilia, Cassa di Risparmio), infine la cessione delle azioni N.G.I. e le ipoteche su tutto il patrimonio.
Quando l’I.R.I. fu investito dal governo a gestire la liquidazione della Finanziaria di Casa Florio, il debito complessivo, nel 1934, ammontava a 40 milioni di lire che vennero iscritti nel bilancio dell’ente pubblico. Se si considera che solo nel 1938, l’I.R.I. riuscì a vendere le tonnare delle Egadi all’industriale Angelo Parodi per la somma di 13,5 milioni, se ne deduce che i contribuenti italiani degli anni Trenta del ‘900 hanno coperto con le loro imposte il residuo debito di 26,5 milioni.
In conclusione, al di là dell’inadeguatezza dell’ultimo Florio a ricoprire il ruolo, è un dato di fatto che la crescita esponenziale delle passività non potesse che portare al dissesto. Occorre, però, distinguere nettamente tra imprese redditizie e attività declinanti, tra condizionamenti oggettivi di mercato ed errori imprenditoriali. Non a caso, dopo la sua uscita di scena, alcune aziende sopravvissero proprio perché sostanzialmente sane: la fattoria di vini marsala è produttiva e fa parte del gruppo ILLVA Saronno; le tonnare delle Egadi rimasero attive sino agli anni Settanta del ‘900, nella piena proprietà dei genovesi Parodi; il Cantiere Navale di Palermo della società genovese Cantieri Riuniti, esiste ancora, pur tra cicliche difficoltà.
Le diverse anticipazioni che Ignazio jr. riuscì a ottenere nei decenni novecenteschi erano garantite proprio dalle azioni dei suoi gioielli industriali e armatoriali, ma furono utilizzate solo per pagare parte debiti. Non bisogna perciò attendere le vendite all’asta di mobili e gioielli e l’irizzazione del 1934 per decretare la fine della Casa. Il sistema Florio, caratterizzato dalla diversificazione delle attività si sbriciolava in mancanza di una riorganizzazione e di una decisa scelta di specializzazione industriale. Dopo il 1902 si può scrivere solo di inarrestabile agonia finanziaria e cioè dell’epilogo di una grande famiglia borghese-imprenditoriale che seppe interpretare magnificamente il proprio ruolo nel teatro ottocentesco siciliano e nazionale.
Riferimenti
R. Giuffrida, R. Lentini, L’età dei Florio, introduzione di Leonardo Sciascia, Sellerio, Palermo 1985.
S. Candela, I Florio, Sellerio, Palermo 1986.
L’economia dei Florio. Una famiglia di imprenditori borghesi dell’800, Sellerio, Palermo 1990; in particolare il saggio di Giuseppe Barone, Tramonto di una dinastia. I Florio (1908-1937), pp. 165-186.
O. Cancila, I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Bompiani, Milano 2008.
R. Lentini, Florio Vincenzo, Florio Ignazio, in Dizionario del Liberalismo italiano, Rubbettino, Soveria Mannelli 2015, t. II, pp. 492-496.