Appunti per una storia della Sicilia in età moderna – scheda IX
Organizzare i cantieri di lavoro
La rapidità con la quale si portano a termine la realizzazione dei lavori di bastionamenti può essere spiegata solo con la capacità di Hernando di organizzare un reclutamento “forzato” di diverse migliaia di operai ai quali corrispondere un salario calmierato. Il vicario mette in piedi un meccanismo articolato con il quale tenta di contemperare il mantenimento di una presenza numerica costante di operai nei cantieri, con la necessità di non togliere risorse umane ai lavori dei campi e a tutte le altre attività produttive.
Il funzionamento dell’intera procedura può essere così sintetizzato:
- notifica con un “algozirio” (ufficiale di polizia giudiziaria) alle singole città del numero degli operai che devono fornire con la specifica della loro qualifica;
- scelta a carico dell’università, dei lavoratori che saranno accompagnati alla “fabrica” da un “officiali” che li porterà al provisore, al quale compete l’onere di registrare sui suoi libri l’elenco nominativo degli operai consegnati, con l’obbligo di rilasciare all’accompagnatore una ricevuta a discarico della corretta esecuzione dell’ordine ricevuto dalla città;
- obbligo di prestare il proprio lavoro solo per un numero limitato di giorni (10-15), con il divieto di allontanarsi senza aver ricevuto una licenza scritta che è concessa solo, quando sarà arrivata una nuova squadra di compaesani con la quale effettuare l’avvicendamento;
- applicazioni di severe punizioni ─ arresto, applicazione di tratti di corda, sanzioni pecuniarie ─ per tutti coloro che si allontanino dai cantieri senza aver ricevuto la licenza.
Per temperare la rigidità di queste disposizioni e per non gravare eccessivamente sulle comunità, Hernando prevede la concessione di numerose deroghe per ovviare a palesi inconvenienti. La decisione è sempre frutto di un esame del singolo caso istruito dalla sua segreteria e prevede l’esenzione dal lavoro obbligatorio dell’operaio in quanto non abile al lavoro per carenze fisiche. Due esempi, fra i molti ricavabili dalla corrispondenza del vicario, possono chiarire meglio i meccanismi decisionali: Marcho Chelli, guastatore della città di Piazza, «si trova indisposto per haviri caduto di una muraglia», gli si concede licenza senza sostituzione; stessa decisione è presa per Pietro di Ragusa di Caltagirone in quanto molto anziano e malato. In tutti gli altri casi si ribadisce che, senza sostituzione, non si concede licenza, tranne nel caso in cui l’interessato non faccia parte della “nuova milizia” e, conseguentemente, goda l’esenzione dalle “angarie”.
Il sistema messo in piedi per il reclutamento degli operai, è esteso anche ai “bordonari”, che sono obbligati a prestare servizio con le loro bestie presso i diversi cantieri e non si possono allontanare senza licenza che è subordinata alla sostituzione. Una decisione che ebbe delle pesanti ripercussioni sui trasporti in un’isola che non dispone di strade carrozzabili e dove tutti gli spostamenti di uomini e di merci devono essere effettuati solo a dorso di mulo o di asino e che, certamente, avrebbe creato problemi al momento del raccolto del grano che era necessario spostare nei caricatori.
Oltre ad assicurare la messa a punto di un efficiente sistema di organizzazione del lavoro “obbligatorio”, grazie al quale riesce a realizzare in tempi sufficientemente brevi il poderoso programma di opere pubbliche voluto dal viceré, Hernando deve risolvere numerosi problemi organizzativi in modo da assicurare l’efficienza operativa di queste strutture. Ad esempio, si preoccupa di garantire il rifornimento della polvere da sparo necessaria per rendere funzionanti le batterie dei cannoni collocati sui bastioni. Carbone e zolfo sono disponibili sul mercato senza particolari restrizioni, mentre per il reperimento del salnitro le difficoltà sono moltissime. Anche in questo caso Hernando non vuole lasciare la produzione al libero mercato e interviene con alcune precise disposizioni, sia per regolare l’attività dei produttori di salnitro, sia per imporre dei precisi obblighi comportamentali ai proprietari dei luoghi dove vi sono tracce di salnitro. Infatti, affida al nobile Pero Peres della terra di Modica il controllo «di la frabica di li salinitri» in tutto il Val di Noto, con l’obbligo di emanare diversi bandi pubblici. Il primo riguarda i produttori di salnitro obbligati a mettere «in ordini loro conzi et prepararisi li terri necessari», con divieto di vendere la loro produzione ai privati e conferirla invece integralmente alla città di Siracusa per venderla alla Regia Corte; il secondo conferisce ai “salanitrari” diverse guarentigie, quali l’esenzione dal servizio nella milizia, dal lavoro “angarico” presso le fabbriche e dall’obbligo di «fari imprestari comu facultusi». Si prevede, anche, una parziale salvaguardia nei confronti dei creditori che non possono agire contro i “salanitrari, quando sia stato loro versato metà del loro credito. L’importanza che Hernando attribuisce alla produzione di salnitro può essere misurata, anche, dall’obbligo che pone agli amministratori delle città di prestare ogni aiuto ai “salanitrari” per la migliore riuscita del lavoro, come autorizzarli a prelevare legname sia nei boschi e territori demaniali come in quelli feudali, oltre alla possibilità di prendere la terra in qualsiasi posto sia disponibile. Nell’ottica di Hernando la produzione del salnitro è equiparata a un vero e proprio servizio pubblico da proteggere e stimolare con delle norme che non solo conferiscono una particolare tutela giuridica ai “salanitrari”, ma, soprattutto, gli garantiscono di poter operare senza alcun vincolo da parte di chicchessia.
Il viceré, inoltre, interviene a disciplinare sia la riproduzione dei cavalli in tutto il territorio del Regno, sia il commercio degli stessi. La prammatica del 22 aprile 1552, infatti, dopo aver dichiarato l’allevamento dei cavalli attività di interesse preminente per la sicurezza militare della Sicilia, blocca per quattro anni la riproduzione dei muli proibendo a tutti i proprietari a «dare iumenti a fare muli si nò a cavalli», trascorsi i quali fissa in un terzo l’aliquota di fattrici da destinare per i muli. Vega si rende conto che il suo provvedimento altererà il mercato facendo aumentare, per il gioco della domanda e dell’offerta, i prezzi degli animali con conseguenze negative sui costi dei trasporti lungo gli itinerari terrestri, tuttavia, ritiene che il fenomeno possa essere controllato imponendo un calmiere che congeli per quattro anni il prezzo di un mulo maschio in onze 9, che diventa di onze 10 per le mule. Dalla corrispondenza di Hernando si ricavano tutti i vincoli posti al commercio dei cavalli: l’acquisto dell’animale deve essere giustificato; così come il trasferimento al pascolo durante la primavera necessita di una specifica autorizzazione; mentre si teorizza la possibilità della requisizione degli animali di proprietà del clero per far fronte a particolari esigenze militari.
Alla ricerca delle risorse finanziarie
Questa articolata struttura amministrativa ed organizzativa creata da Hernando ha bisogno, per potere raggiungere gli obiettivi prefissati, di un flusso di denaro consistente che il donativo sulle fortificazioni non è sufficiente a garantire. La ricerca delle provviste finanziare per i lavori avviene su due livelli di responsabilità: il primo fa capo al viceré, il quale ricorre al mercato finanziario gestito dai mercanti che operano sulle piazze di Palermo e di Messina contraendo cambi, mutui e soggiogazioni; il secondo rientra nelle responsabilità politica e di governo del vicario che agisce a livello del Valle a lui affidato.
La corrispondenza di Hernando mostra, sia pure in modo frammentario in quanto non ho ritrovato la contabilità dei depositari ai quali è affidata la gestione finanziaria delle “fabriche”, che la pressione sulle comunità locali per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie diventa sempre più incalzante. L’università deve far fronte al pagamento della “tanda” (rata) del donativo ordinario; all’accensione di prestiti forzosi; alla soggiogazione del proprio patrimonio; alla requisizione di qualsiasi liquidità disponibile nelle casse; alle spese necessarie al mantenimento di tutto l’apparato di difesa delle coste siciliane ─ vedette e nuova milizia ─ progettato e realizzato dal viceré e da suo figlio Hernando; a fornire le risorse umane necessarie sia al lavoro obbligatorio per la costruzione delle fortificazioni, sia al funzionamento della “nuova militia”.
La corrispondenza del vicario permette di aprire un primo squarcio sull’utilizzazione della finanza delle università per la realizzazione del programma di militarizzazione almeno nel Val di Noto. Il quadro che emerge è da un lato la mancanza di una progettualità nel campo fiscale ─ si prende tutto quello che si può dove si trova ─ dall’altro dalla tentazione di esercitare una pressione non indifferente sui “facultusi” che sembrano detenere la maggior parte delle rendite dell’università.
In una lettera del 1 marzo 1552 Hernando autorizza i giurati di Noto a «potiri taxare attutti le citatini et habitaturi di la dittà città nemine exempto iuxta loro facultati» per potere corrispondere la paga agli esploratori da inviare lungo le coste per raccogliere notizie di ogni possibile sbarco della flotta Ottomana. Il vicario introduce in questa sua comunicazione due considerazioni che permettono di percepire a pieno il livello dell’indebitamento che grava sulle finanze delle singole comunità: la prima è legata alla constatazione che non si può ricorrere al patrimonio della città, in quanto è stato impegnato integralmente per la costruzione delle fortificazioni; la seconda è rappresentata dal suggerimento di far ricorso ad un prestito forzoso da gravare sui “facultusi” dell’università.
Attivazione del mercato del credito per negoziare i prestiti
Hernando si rende conto che il gettito fiscale che può ricavare dal donativo per le “fabriche”, dalle imposte locali e dall’utilizzo del patrimonio delle singole università è insufficiente per far fronte a tutte le necessità poste dalla militarizzazione del Val di Noto; conseguentemente deve attivare il mercato del credito per negoziare dei prestiti coinvolgendo i “facultusi” e convincendoli ad investire i loro soldi sul debito pubblico necessario per completare i lavori di bastionamento. Il pagamento degli interessi e l’eventuale restituzione del capitale sono scaricati sulle gabelle ordinarie e straordinarie gestite dalle secrezie delle città del Valle.
Una prima lettera di Hernando del 2 marzo 1552 al magnifico Francesco Marciano, reggente della secrezia dell’ex Camera reginale, dà notizia di un prestito di novemila scudi (onze tremila e seicento) sottoscritto «in alcuni chitati et terri di Val di Notho», garantito sugli introiti «di li secrecii di la olim regionali Camera» e della secrezia di Lentini e negoziato da Alonso de Cusmano.
Un altro prestito è negoziato dallo stesso Francesco Marciano. La missione inizia nell’aprile del 1552, e nel mese di maggio non è ancora conclusa, in quanto i “facultusi” si rifiutano di incontrarlo e, soprattutto, di negoziare il prestito. Hernando, informato dell’accaduto, interviene con energia alternando le minacce alla ricerca del dialogo e della trattativa. A Castrogiovanni manda come commissario il nobile Antonino Arnao con il compito di individuare tutti i «facultusi” della città e di invitarli formalmente a presentarsi a Marciano per negoziare il prestito. Il permanere di un atteggiamento di chiusura alle richieste del vicario farebbe scattare delle sanzioni fra cui la possibilità del sequestro e successiva asta dei beni dei “facultusi”. Tutte le spese della trasferta di Arnao saranno a carico della città. Il vicario, dopo avere minacciato un intervento coercitivo, tenta la via del dialogo e del convincimento: nello stesso giorno scrive al capitano e ai giurati di Castrogiovanni comunicandogli la nomina del commissario e invitandoli ad un’opera di mediazione per far incontrare Marciano con i “facultusi” e trattare al meglio l’erogazione del prestito:
“vogliati senza sparagnari fatiga ne travaglio alcuno operari in iuntarvi cum dicto Marciano et tractari cum dicti facultusi cum bona magna forma di dinari per quisti fabrichi cum la utilità loro di novi per chento supra la nova imposto persuadendosi cum buni raxuni secundo da ditto Marciano vi serrà ditto et anteposto fandolo di forzi chi ditti facultusi vegnano ad compliri cum lo dicto imprestito cum tutta la bona volontà chi serrà possibili.”
Marciano da Castrogiovanni si sposta a Caltagirone per proseguire nella collocazione del prestito, accompagnato da una lettera del vicario con la quale si invitano i giurati della città perché si adoperino «iuntamenti cum lo ditto di Marciano tractari, praticari et negotiari lo dicto imprestito cum dicti facultusi con ogni cura et diligencia». Hernando aggiunge che bisogna invitare il barone di Ravanusa a fare un prestito di scudi duemila (onze 800), in quanto «simo informati chi teni bona summa di contanti»; nel caso in cui fosse «renitenti ad imprestarili» si dovrà convocarlo e obbligarlo a presentarsi alla sua presenza nel termine di tre giorni.
Altro problema deve essere risolto a Noto, dove i “facultusi” hanno sottoscritto, nel febbraio 1552, un contratto di prestito presso il notaio Jacopo de Rinaldo, ma, successivamente, hanno ritardato a versare le rate previste nelle casse di Michele de Messina, depositario delle fabbriche della città. Hernando, anche in questo caso, decide di usare il pugno di ferro, inviando l’algozirio Jacopo de Gorrea per effettuare un controllo incrociato tra le liste dei sottoscrittori del prestito e la contabilità del depositario, da cui ricavare i nomi degli adempienti per carcerarli, sequestrargli i beni e venderli al pubblico incanto, colpendo per primi, per dare l’esempio, «i principali facultusi di la ditta città».
Hernando rastrella tutta la liquidità disponibile nelle casse delle singole università. Quando ha notizia della disponibilità nelle casse della città di Castrogiovanni di duecento onze, raccolte per riscattare le rendite della città in possesso del barone della Guzetta, chiede che siano date in prestito per le “fabriche” «con la cautela di novi per chento supra la nova imposta di quista città chi sunno gabelli securissimi et chi intrano di misi in misi». Il vicario si impadronisce anche della liquidità disponibile presso l’università di Lentini per la vendita dei frumenti «che hanno portato a la rabba pro ratha li facultusi di ditta cità ad opu di vendirisi per li poviri», promettendo, in modo vago, che le somme prelevate saranno restituite, quando dalla Regia Corte saranno rese disponibili delle somme «per spendirisi in la frabica di la Meta (il colle sul quale stava sorgendo Carlentini)».
Alla luce di questa corrispondenza emerge chiaramente l’importanza della fiscalità della periferia per la realizzazione della trasformazione e della modernizzazione del Regno. Infatti, come rileva Rossella Cancila,
“al di là dei risultati conseguiti, la storia della fiscalità siciliana del cinquecento ci rivela una realtà in evoluzione, in cui si sperimentano nuove vie alla ricerca della soluzione più idonea: nessuno rimane escluso da questo laboratorio, anzi si ha la sensazione di una società che in un modo o nell’altro si fa partecipe nei suoi diversi livelli, avanzando di volta in volta, insieme alle proteste, consigli e suggerimenti, e contribuendo a delineare un movimento che non scorre solamente dall’alto verso il basso, ma che spesso fluisce dal basso verso l’alto. Non una realtà ipostatizzata, dunque, né una società incapsulata: le comunità sono capaci di formulare domande, produrre risposte, articolare interventi. Periferia al centro, allora. E proprio l’analisi della gestione della fiscalità nei suoi aspetti concreti mostra come fondamentale fosse il ruolo del governo municipale e della classe dirigente locale, senza il cui consenso, più o meno esplicito, era difatti impossibile governare dal centro.”
Questa riflessione mi spinge sempre di più a ritenere che il rapporto centro─periferie si può paragonare ad un gioco di specchi, nel quale il centro diventa periferia e viceversa, a secondo della posizione dell’osservatore. Abbandonando la lettura dei registri della Cancelleria e del Protonotaro, ed esaminando la corrispondenza di Hernando si percepisce che il viceré Vega realizza il suo progetto nel momento in cui decide di utilizzare la realtà organizzativa e fiscale della periferia, la quale diventa il motore propulsivo della modernizzazione del sistema difensivo siciliano.
Continua
Fonti:
Antonino Giuffrida, La fortezza indifesa e il progetto del Vega per una ristrutturazione del sistema difensivo siciliano, in Mediterraneo in armi (secc. XV-XVIII), a cura di Rossella Cancila, Quaderni di Mediterranea 4, Tomo I, 2007.