79 d.C. La fine di Ercolano e Pompei
L’eruzione del vulcano Vesuvio del 79 d.C che distrusse totalmente le cittadine di Ercolano e Pompei, rappresenta una delle eruzioni più esplosive e devastanti degli ultimi 2000 anni.
In quell’occasione perse la vita uno dei padri delle Scienze Naturali, ovvero Plinio “il Vecchio”. Fu il nipote, Plinio “il giovane”, a descrivere l’eruzione vulcanica, con delle lettere a Tacito. Tali lettere costituiscono la prima descrizione di un’eruzione vulcanica.
Le eruzioni vulcaniche di carattere maggiormente esplosivo, vengono definite dalla comunità scientifica come eruzioni “Pliniane”, proprio in onore al naturalista romano.
Si tratta delle eruzioni più imponenti che si verificano in natura, caratterizzate dall’emissione di colonne eruttive composte da materiale piroclastico e gas che viaggiano a velocità fino a 500 m/s e che possono raggiungere altezze > 35 km. Proprio l’altezza della colonna eruttiva rappresenta uno dei parametri classificativi di queste eruzioni (<20 km Subpliniane, 20-35 km Pliniane, >35 km Ultrapliniane).
Il Vesuvio in Italia, il St Helens negli Stati Uniti, il Pinatubo nelle Filippine, il vulcano islandese dal nome impronunciabile Eyjafjallajökull, il Krakatoa in Indonesia, il vulcano Unzen in Giappone, sono solo alcuni esempi di eruzioni pliniane storiche devastanti.
La recente eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull del 2010, a causa dell’enorme quantità di ceneri espulsa in atmosfera, bloccò il traffico aereo dell’Europa centro-settentrionale per più di una settimana. 95.000 voli cancellati, 5 milioni di persone da rimborsare, 5.000 milioni di euro di danni economici. Per fortuna durante l’eruzione non sono state registrate vittime.
Cosa ben diversa per l’eruzione del St Helens nel 1980, che causò diversi morti, tra cui il vulcanologo D.A. Johnstone, responsabile del monitoraggio durante l’eruzione ed il “famoso” signor Harry Truman, anziano di 83 anni che si rifiutò di lasciare la sua casa ai pendii del vulcano con la quale aveva condiviso più di 50 anni, nonostante i diversi ordini di evacuazione.
Discorso a parte meritano i vulcani indonesiani Tambora e Toba che causarono danni a livello globale. Vi è una teoria di alcuni studiosi sull’eruzione del vulcano Toba (circa 75 mila anni fa) che fanno coincidere la scarsa variabilità genetica umana proprio con quella eruzione, dove non solo il genere umano ma molti organismi furono sull’orlo dell’estinzione.
Cosa hanno in comune questi vulcani? Perché risultano estremamente devastanti? Quali sono i principali rischi?
In linea generale, l’elemento che accomuna questo tipo di eruzioni è il chimismo del magma che le alimenta. La particolare composizione chimica del magma fa sì che quest’ultimo risulti particolarmente viscoso. L’elevata viscosità del magma provoca condizioni di sovrappressione dei gas magmatici in espansione, causando un accumulo di energia che viene rilasciata proprio attraverso l’esplosione.
La caratteristica distintiva di queste eruzioni è la formazione di una colonna eruttiva sostenuta nel tempo (da decine di minuti ad alcune ore), che può raggiungere altezze variabili a seconda dell’intensità dell’eruzione. I depositi di caduta tipici sono i “fall pliniani”, formati essenzialmente da ceneri e pomici. L’iniezione di cenere in atmosfera può provocare la formazione di piogge acide, originate dall’interazione tra le piogge e la cenere vulcanica.
Un altro rischio legato a queste eruzioni sono i lahar, ovvero colate di fango formate da materiale piroclastico ed acqua che scorrono lungo i fianchi del vulcano.
Ma ciò che rende questo genere di eruzioni vulcaniche devastanti sono i flussi piroclastici, ovvero il prodotto del collasso della colonna eruttiva centrale lungo i fianchi del vulcano (genesi più frequente). Questa nube piroclastica è formata da gas vulcanici e materiale vulcanico frammentato (tefra) che può raggiungere velocità di oltre 500 km/h e temperature fino a 700-800 °C (vedi schema). Il prodotto di consolidamento di questi flussi piroclastici sono delle rocce che prendono il nome di ignimbriti. Furono proprio questi flussi piroclastici a radere al suolo le cittadine di Ercolano e Pompei.
Al giorno d’oggi siamo in grado di monitorare costantemente l’attività vulcanica mediante strumentazioni tecnologiche avanzate. STAZIONI SISMICHE per monitorare eventuali sismi legati a dinamiche vulcaniche, CLINOMETRI per valutare eventuali rigonfiamenti della morfologia del vulcano legati ad accumulo di magma, GPS e RADAR per monitorare eventuali spostamenti del sistema vulcanico, INDAGINI GEOCHIMICHE della composizione dei gas e dei fluidi vulcanici che ci danno informazioni sull’attività vulcanica, sono soltanto alcune delle tecniche di monitoraggio che vengono effettuate.
Si sta cercando anche di modellizzare le eruzioni vulcaniche per prevedere, nei limiti del possibile, l’entità delle esplosioni e le dinamiche eruttive. Alcuni modelli, ad esempio, sfruttano particolari algoritmi per ipotizzare l’altezza della colonna eruttiva e la traiettoria delle ceneri iniettate in atmosfera, che ovviamente cambia in base ai venti dominanti in quella porzione di atmosfera
Risulta quindi di fondamentale importanza il lavoro svolto dagli scienziati che si occupano 24 h su 24 h di monitorare le attività vulcaniche, per cercare di dare gli eventuali segnali di evacuazione il prima possibile.
La redazione consiglia la visione di una ricostruzione video-grafica 3D dell’eruzione del 79 d.C
https://www.youtube.com/watch?time_continue=503&v=CeGmCeSanU0