Hikikomori: il fenomeno di auto isolamento sociale nato in Giappone
Gli hikikomori vivono una totale esclusione dalla vita sociale e dall’interazione in presenza con le altre persone, una tendenza sempre più diffusa anche nel mondo occidentale
Hikikomori: cosa significa?
Traducendo dal giapponese, il significato della parola sarebbe “ritirarsi”. L’hikikomori (termine utilizzato sia per indicare il soggetto che il fenomeno) infatti sceglie di ritirarsi completamente dalla vita pubblica, dalla scuola, dalle amicizie e perfino dalla famiglia. Non è casuale questi individui vengano definiti dagli esperti anche come “eremiti postmoderni”.
I comportamenti che definiscono un hikikomori
Tende all’isolamento sociale e spesso alla totale auto reclusione all’interno della propria stanza, con pochissime eccezioni. Inquadrato inizialmente all’interno della forte ribellione sociale dei giovani nipponici al conformismo della propria società, un hikikomori inizia il proprio percorso di esclusione sociale in età liceale, rifiutando di andare a scuola. Mantenendo contatti con l’esterno solo tramite internet. Vivendo il mondo esclusivamente attraverso i social network.
La società nipponica e lo Shintoismo
Conformista, autoritaria ed elitaria: la cultura giapponese obbedisce a regole ferree, derivate in gran parte dal credo shintoista. Sebbene sempre più marginale nella società iperindustrializzata del Sol levante, la religione ha dominato per secoli l’educazione delle famiglie giapponesi, influenzando profondamente i rapporti lavorativi e familiari ancora oggi.
Non stupisce quindi che gli hikikomori siano in gran parte benestanti, coloro che subiscono la maggiore pressione psicologica di una nazione votata all’autorealizzazione in funzione dell’interesse comune. Una dimensione orwelliana di massimizzazione dell’impegno produttivo al fine della grandezza nazionale. Componente sociale dalla quale le ragazze sono spesso escluse, così come lo sono le classi più povere, dove i giovani vengono incoraggianti a lavorare per contribuire al bilancio familiare.
La ribellione giovanile nipponica
Hikikomori è solo l’ultima di una lunga serie di ribellioni giovanili legate ai comportamenti individuali. Dalla diffusione dei tatuaggi (fino agli anni Ottanta prerogativa degli aderenti ai cartelli criminali) e degli atteggiamenti da “teppisti” (il concetto di teppista in Giappone è abbastanza diverso dal nostro e spesso non assimilabile a quello del bullo), fino alle innocue modifiche delle uniformi scolastiche e la colorazione dei capelli. Tutti metodi usati dai ragazzi negli anni per sfuggire al totale conformismo e alla spersonalizzazione voluta dal modello sociale industriale.
La sintomatologia medica dell’hikikomori
Coniato dallo psichiatra Tamaki Saitō, l’hikikomori presenta letargia, depressione, disturbi ossessivo compulsivi, principi di incomunicabilità, manie di persecuzione, agorafobia e tendenza all’isolamento.
Il disturbo viene oggi diagnosticato (in Giappone) quando un soggetto corrispondente a questi sintomi resta recluso all’interno della propria abitazione, o addirittura dentro una singola stanza, per un periodo di almeno sei mesi. Questo porta spesso ad una inversione dei ritmi circadiani sonno-veglia, derivanti dal desiderio di minimizzare le interazioni sociali anche all’interno del nucleo familiare, dedicando tempo alla lettura o altre attività strettamente personali, come per esempio l’allenamento individuale.
Hikikomori e cultura nerd (o geek)
Sebbene spesso questa patologia venga associata a individui appassionati della sottocultura legata ad anime e manga (prodotti di animazione e fumetti giapponesi), la relazione tra i due fattori non è comprovata. Così come solo una piccola parte degli hikikomori in realtà naviga attivamente su internet per relazionarsi con altre persone attraverso chat, social network e giochi on line, preferendo comunque limitare l’accesso in rete ad attività strettamente solitarie quali la lettura o la visione di film, anime e serie televisive.
Le cause dell’hikikomori
L’hikikomori rappresenta una reazione alle pressioni sociali quanto all’incertezza per il futuro di una società in via di disgregazione, dove la paura e il precariato hanno ormai schiacciato ogni forma di sicurezza economica garantita o promessa dal modello di sviluppo occidentale. Questo ha generato, in Oriente come in Occidente, persone insicure e incapaci di vedere un futuro, impaurite dal domani e dall’incapacità di aderire a modelli comportamentali standardizzati. Non va trascurato, nel sorgere delle problematiche legate all’hikikomori, il prototipo della famiglia nipponica benestante di stampo industriale, con l’assenza quasi totale della figura paterna e l’attaccamento morboso della madre nei confronti dei figli.
Trattamento dell’hikikomori
L’hikikomori viene a tutti gli effetti trattato come un disturbo mentale, una condizione per la quale sono consigliate sedute di psicoterapia (anche in telemedicina nei casi più gravi, utilizzando internet per raggiungere i soggetti maggiormente isolazionisti) e l’utilizzo di psicofarmaci. Questo approccio può integrarsi o essere alternativo rispetto a un graduale reinserimento nella società del soggetto, attraverso piccoli lavori o incarichi che permettano di recuperare le abilità di interazione e socializzazione perdute a causa del prolungato isolamento.
Come aiutare un hikikomori?
Non è facile aiutare chi non vuole essere aiutato. Come per molte altre problematiche legate a disturbi mentali minori e alienazione sociale, il soggetto spesso non riconosce di avere un problema. La mancanza di interazione personale viene spesso confusa con la dipendenza da internet o l’adesione a varie correnti di pensiero antisociale e questo approccio viene spesso adottato dal soggetto stesso per negare o minimizzare la propria condizione. È possibile cercare di aiutare un hikikomori a non perdere del tutto il contatto con la realtà, magari interagendo con lui attraverso i social quando rifiuta di farlo personalmente, mantenendolo così ancorato al presente impedendogli di astrarsi dalla realtà. Tuttavia l’unico vero aiuto può arrivare solo da esperti, da medici e psicologi capaci di trattare efficacemente quello che è a tutti gli effetti considerato un disturbo mentale minore.
L’hikikomori in Italia
Con un presenza stimata di quasi centomila casi, sembra che l’hikikomori sia un fenomeno ormai diffuso anche in Italia (Paese dove sono presenti associazioni dedicate al fenomeno e pagine sociali con un altissimo numero di follower). È il caso di aggiungere questo non sia casuale. Come per il resto d’Europa e gli Usa, il nostro Paese rappresenta un terreno fertile per l’insorgere di tale disturbo. Incertezza, paura, inadeguatezza, incapacità di vedere il futuro accomunano il modello capitalistico occidentale, oggi messo a confronto con i propri limiti a causa della pandemia da Covid-19. Anche da noi l’hikikomori è la manifestazione di un malessere diffuso e pervasivo che affligge le nuove generazioni, sempre più isolate e ignorate dalla società. La perdita dell’identità, anche e soprattutto a livello sociale è solo una delle problematiche legate alla mancanza di coesione sociale derivante dalla crisi.
Gli hikikomori e la pandemia
Che la pandemia possa peggiorare la situazione degli hikikomori non è comprovato, anzi, sembra la reclusione forzata della popolazione abbia ottenuto in alcuni casi l’effetto opposto nei soggetti interessati, che perdendo la propria unicità e lo status di ribelli antisociali, siano usciti volontariamente dal proprio isolamento.
La maggior parte degli hikikomori tende invece a identificarsi con chi è costretto dal contagio alla reclusione, mentre molti tendono a usare la pandemia per giustificare il proprio comportamento, reputandosi precursori dei tempi. Atteggiamenti le cui conseguenze a lungo termine sono ancora da determinare e che potrebbero portare ad un peggioramento nei numeri degli hikikomori presenti nel mondo a causa delle crescente paura del virus e della sfiducia verso il futuro.