Appunti per una storia della Sicilia in età moderna – scheda IV
La distruzione di un’identità
La Sicilia, dando esecuzione alla prammatica della Corona aragonese con la quale si bandiscono dal Regno gli ebrei, fa una scelta di campo che contribuisce ulteriormente all’irrigidimento della frontiera mediterranea già da tempo sottoposta alla pressione delle armate turche. L’ordine reale segna un momento di rottura della politica di protezione regia nei confronti della comunità ebraica, che era iniziata con i sovrani normanni, rimuovendo dall’isola la presenza di una importante componente sociale ed economica qual è quella degli ebrei, distruggendone l’identità culturale e religiosa e, conseguentemente, precludendone qualsiasi ipotesi di ritorno. Chi rimane è costretto ad un’omologazione con i gentili che non lascia possibilità di deroghe, anche per il ferreo controllo dell’Inquisizione, e ad una rimozione della loro esistenza dalla memoria collettiva. Le ricadute negative dell’espulsione sono parecchie quali: l’interruzione del collegamento commerciale con la Siria e l’Egitto, gestito dagli ebrei siciliani; l’esodo dall’isola di artigiani in grado di lavorare il ferro e di forgiare gli attrezzi necessari per la coltivazione della terra quali gli aratri o le zappe; l’oblio della conoscenza della lingua araba parlata nelle giudaiche siciliane dove si trovavano, anche, notai in grado di tradurre in latino documenti redatti in arabo o in ebraico. Tuttavia, sembra che l’allontanamento degli ebrei non provochi stravolgimenti sull’economia siciliana che è in grado di assorbirne gli effetti negativi in tempi sufficientemente rapidi.
Il 1492 è un momento di frattura anche per le testimonianze archivistiche attraverso le quali potere leggere questo evento. Sino a quella data la documentazione sulla presenza dei giudei in Sicilia e sul ruolo da loro esercitato nel contesto economico e sociale del medioevo siciliano è copiosa e, man mano che si esplorano gli atti dei notai siciliani vengono alla luce aspetti sempre più articolati del modo come la comunità ebraica vive il suo rapporto con i “gentili”. Dal momento dell’espulsione si ha una rarefazione della documentazione disponibile in quanto la fonte notarile si inaridisce non potendo le parti farvi ricorso ed è necessario servirsi di atti di natura diversa. L’esplorazione di fondi archivistici quali quelli giudiziari o fiscali ha fatto emergere una documentazione cospicua che permette un accesso, diretto e non mediato, a questo specifico momento temporale. I fascicoli processuali, a differenza degli atti notarili, permettono non solo di conoscere il fatto ma di acquisire schegge di documentazione, ormai introvabili, quali frammenti di contabilità vergati in caratteri ebraici, firme autografe, ketubbâh (dote) tradotte dalla lingua in uso nella comunità in siciliano. I giudici non frappongono alcuna remora sul fatto che le parti giurassero utilizzando il riferimento alla legge di Mosè, e acquisiscono atti non solo redatti in caratteri ebraici ma anche tradotti, dai notai della comunità, dall’arabo in “lingua latina”.
Le caratteristiche della comunità ebraica siciliana
Bisogna rilevare che la comunità ebraica siciliana ha delle caratteristiche che la contraddistinguono rispetto alle altre realtà europee. In primo luogo, parla un dialetto arabo. Lo studio di monsignore Rocco (vedi bibliografia in appendice bibliografica) ha evidenziato, infatti, che: il secolo XV, ancora in parte da studiare sotto il profilo linguistico, segna il trionfo del siciliano come lingua unica in Sicilia, accanto al latino. Scompare il greco, che si rifugia a stento presso qualche monastero brasiliano, e scompare l’arabo, che è sostituito lentamente dal volgare romanzo nella terminologia agricola delle campagne e nella nomenclatura delle vie cittadine. … fanno tenacemente eccezione a questa corrente gli ebrei, che nelle numerose giudaiche isolane perpetuano, come lingua parlata e scritta, l’uso dell’arabo; peculiarità fonetiche, morfologiche e sintattiche, rilevabili nelle forme scritte, li collegano alle regioni maghrebine. La cacciata degli ebrei da tutti i domini spagnoli segna anche la morte della lingua araba nella Sicilia.
Queste considerazioni di natura linguistiche mi fanno ritenere che il modo di vivere l’appartenenza al giudaismo da parte degli ebrei siciliani è connesso al modello sviluppatosi e consolidatosi nella Spagna musulmana dove si mantiene l’equilibrio tra la cultura profana e gli studi sacri, dando vita ad un modello culturale in cui il giudeo è un uomo completo, ugualmente versato nelle lettere e nelle arti e che si esercita all’uso della dialettica talmudica. Un ebreo che esercita diversi tipi di professioni e che ha con i gentili delle relazioni meno tese. La realtà siciliana è profondamente diversa dal giudaismo dell’Europa del nord dove l’ebreo si impegna in attività economiche strettamente circoscritte, e crea con il mondo non giudaico un’ostilità ricambiata che cresce di secolo in secolo. Acquisita l’esistenza di un’omogeneità del giudaismo mediterraneo che aggrega le realtà rappresentate dalla Castiglia, dall’Aragona e dal Sud della Francia attuale, risulta evidente che l’effettività della Sicilia deve essere letta in questo contesto. Infatti, come ha mostrato il Renda, in Sicilia «l’aggregazione residenziale ebraica era più di tipo ispanico che toscano o veneto o piemontese. C’era più Spagna che Italia nel rapporto siciliano fra cristiani e giudei». Inoltre, i giudei siciliani, per la conoscenza dell’arabo e per la continua frequentazione con la realtà maghrebina, rappresentano un importante momento di snodo tra il sud dell’Europa e il nord dell’Africa.
Un altro elemento sul quale si fonda l’edifico “dell’appartenenza” è dato dalla presenza nelle principali città e terre siciliane di una specifica demarcazione spaziale denominata giudaica che non è un ghetto in quanto è ampiamente documentato che non esistono mura che la circondano né porte che si chiudono la sera separando i gentili dagli ebrei. La Giudaica è una struttura aggregativa imposta della necessità di avere una vita comunitaria regolata e disciplinata dai precetti talmudici, e di avere alcuni fondamentali punti di riferimento per l’espletamento delle ritualità, come la sinagoga o i bagni, necessarie per ottemperare ai precetti religiosi e, conseguentemente, per mantenere l’identità di appartenenza al giudaismo.
Una geografia della giudaiche
Non entro nella dibattuta questione del numero degli ebrei presenti nell’isola al momento dell’espulsione in quanto recenti studi hanno quantificato in circa 25 mila il numero complessivo dei giudei siciliani al momento dell’espulsione del 1492 e determinato il peso della popolazione ebraica in circa il 5% rispetto a quella dei gentili, tenendo conto che tutta la popolazione della Sicilia coeva si attesta intorno a circa 600 mila abitanti. Vorrei, invece, meglio focalizzare due temi specifici: il primo è quello connesso alla determinazione del peso economico delle singole realtà territoriali nel quadro generale delle giudaiche siciliane, la seconda è quella di verificare la distribuzione territoriale delle giudaiche nel contesto siciliano.
In primo luogo, è da rilevare l’importanza che riveste il gruppo di giudecche che gravitano intorno al porto di Trapani. Infatti, le giudecche di Trapani, Marsala, Mazara, Erice e Salemi contribuiscono al totale complessivo della composizione e del donativo con il 20% circa, contro il 12% di Palermo città nella quale al momento dell’espulsione vivono almeno 5000 ebrei, o il 5,5% di Messina. A questo polo trapanese fa da contrappeso il complesso delle giudecche inserito nel contesto della Camera reginale, ovverosia quelle di Siracusa, di Lentini, Vizzini, Mineo e S. Filippo di Argirò, la cui consistenza numerica è uguale a quella di Palermo ed è in grado di versare all’erario, quale composizione al momento dell’espulsione, 20.000 fiorini. Sciacca ed Agrigento sono tassate rispettivamente il 6% e il 5%. In sostanza sono messe sullo stesso piano della giudecca di Messina, la qual cosa ci dà la dimensione di quello che rappresenta il rapporto tra le giudecche siciliane ed il mondo dell’Africa del Magrheb e dell’oriente in generale. Trapani è il porto d’arrivo delle rotte che provengono dalla Spagna, ma è anche il punto di partenza per Tunisi da cui, attraverso le carovaniere che attraversano il Sahara, si possono raggiungere le miniere d’oro del Niger. Siracusa, con il relé rappresentato da Malta, garantisce il collegamento con il resto del mondo orientale e specificatamente con il Cairo e la Siria. Il resto delle giudecche siciliane non ha certo il peso economico e demografico che caratterizza quelle che si sono precedentemente elencate tuttavia la loro collocazione risponde ad una logica ben precisa. Infatti, se si collocano su una carta geografica della Sicilia, si riscontra una specifica caratteristica: le giudecche siciliane sono collocate lungo le linee di comunicazioni terrestre che collegano i più importanti centri dell’isola. Ad esempio, per raggiungere Sciacca da Palermo i giudei hanno la possibilità di appoggiarsi alle giudecche di Termini per poi deviare all’interno toccando Caccamo, Ciminna, Castronovo, Cammarata, Bivona, Giuliana e Caltabellotta. Da Agrigento attraversando Naro, Caltanissetta, Enna, Calascibetta, si giunge a Nicosia da dove si può scegliere se andare a Messina toccando Randazzo, Castiglione e Taormina, oppure a Catania passando da Adrano, Belpasso o Paternò. Quindi la distribuzione geografica delle giudecche siciliane è sufficientemente delineata: da un lato un forte insediamento in tutte le più importanti città marittime quali Palermo, Trapani, Messina, Agrigento o Sciacca centri dei principali flussi commerciali internazionali che investono l’isola, dall’altro uno stanziamento all’interno dell’isola distribuito lungo le linee di comunicazione più importanti che collegano i diversi insediamenti marittimi.
L’economia siciliana e il ruolo degli ebrei
L’innesto degli ebrei nel contesto strutturale dell’economia siciliana, in realtà, si mantiene sempre ai margini senza riuscire ad incidere sul nucleo duro delle leve che mettono in moto il sistema economico dell’isola cioè: il commercio internazionale del grano ed il controllo dei banchi pubblici attraverso i quali passano i flussi di credito necessari ad assicurare il finanziamento della Regia Corte e delle armate di terra e di mare. Questo è il quadro che si ricava non solo dai documenti coevi ma anche da una nota relazione (cfr. appendice fonti archivistiche) firmata da alcuni influenti rappresentanti del governo dell’economia e della finanza siciliana quali: i Crapona e gli Ansalone, noti banchieri che operano sulle principali piazze finanziarie siciliane in pratica Palermo e Messina e dalle cui casse passa la riscossione dei donativi votati dal Parlamento; da un rappresentante dei Leofante i quali controllano con Nicolò la Regia Tesoreria; da Pietro Bologna esponente di una delle più influenti famiglie palermitane che ben presto controllerà la Tesoreria del Regno, il Maestro Portulano e la Secrezia di Palermo; Giovanni Aloisio de Settimo Maestro Razionale. Una relazione che è stata interpretata, anche per il fatto che il La Lumia nelle sue Storie Siciliane ne ha pubblicato solo una parte, come una richiesta di non applicazione del decreto di espulsione dal Regno di Sicilia degli ebrei. Nulla di tutto questo, i rappresentanti della finanza siciliana si limitano a descrivere i danni che si verificheranno nel momento in cui gli Ebrei lasceranno il territorio siciliano chiedendo da un lato il rinvio dell’esecuzione dell’atto di espulsione per dare la possibilità soprattutto ai cristiani di chiudere i loro affari con i giudei nel modo migliore senza danni, dall’altro l’autorizzazione ad esportare il frumento siciliano in “barbaria” in altre parole nel Maghreb chiuso all’esportazione dal divieto regio di commerciare con gli infedeli, quale compensazione per i danni economici provocati dall’allontanamento degli ebrei dall’isola.
Certamente l’analisi effettuata nel memoriale fornisce un quadro molto dettagliato e ricco di particolari in quanto redatto da persone che hanno il polso della realtà economica e finanziaria del Regno e conoscono l’andamento complessivo dell’economia siciliana, oltre al gettito delle più importati gabelle di tutte le Secrezie dell’isola e ad i flussi di esportazione del grano legati alle vendite delle tratte.
Una rilettura del documento, alla luce di quanto premesso, appare opportuno anche per mettere a fuoco meglio il contesto economico in cui si muove il viceré nel gestire l’allontanamento degli ebrei dalla Sicilia. Le ricadute sull’economia siciliana che, a giudizio degli esperti finanziari, si avrebbero al momento dell’allontanamento dei giudei dall’isola sarebbero le seguenti:
- I giudei per mangiare, bere, vestirsi e calzarsi spendono annualmente circa un milione di fiorini. Il venir meno di questo giro di affari comporterebbe una consistente flessione del gettito delle gabelle che si impongono su questo genere di consumi, il che danneggerebbe sia le Università sia i singoli che gestiscono tali gabelle.
- Il mercato degli affitti degli immobili sarebbe alterato dall’improvvisa partenza dei giudei. I proprietari delle stesse, quasi tutti cristiani, sarebbero privati di un reddito difficilmente rimpiazzabile in tempi brevi.
- Alcuni settori dell’artigianato, in special modo quello relativo alla lavorazione del ferro, verrebbero quasi del tutto smantellato in quanto “in quisto regno quasi tutti artisti su Iudey” e, soprattutto, specializzati in “arti di ferru tantu per lu ferrari di li animali comu per lu lavurari di la terra como ancora per li cosi necessarij ad navi galei et altri vasselli marittimi”. Tutto ciò comporterebbe ancora una volta una modifica dei prezzi del mercato in quanto, andando via i giudei ed essendoci pochissimi artigiani cristiani, si altererebbe il gioco della domanda e dell’offerta cosicché «quilli pochi pirsuni li quali si troviranno esperti ad tali arti vindiranno li cosi carissimi».
- Il calo demografico improvviso dovuto all’espulsione degli ebrei potrebbe provocare numerose difficoltà soprattutto alle terre di frontiera, in particolare a Malta e a Pantelleria, nel momento in cui l’armata turchesca porti il suo attacco alla Sicilia.
- Il termine molto breve stabilito per l’espulsione ha creato, inoltre, dei problemi nei confronti dei rapporti commerciali con i cristiani. Infatti, quegli ebrei che si occupano di attività commerciale hanno avuto consegnato da parte di diversi cristiani merci in conto vendita e capitali da restituire in un certo lasso di tempo. Non avendo gli ebrei disponibilità di contanti e avendo poco tempo per portare a termine gli affari in corso di definizione, il rischio d’insolvenza diventa sempre più concreto con un danno per i cristiani che non potranno rifarsi neppure con i beni immobili dei giudei. Il prezzo degli immobili degli ebrei, a causa dell’eccesso di offerta, sarà molto basso e nessuno, con il ricavato delle vendite, potrà rifarsi delle perdite subite.
A questa lunga ed articolata premessa segue una precisa richiesta: abolire l’embargo delle esportazioni di frumento siciliano nei confronti del nord dell’Africa. I soldi degli infedeli potrebbero servire a rifondere i danni provocati alla Sicilia dall’espulsione degli ebrei. Gli esperti per supportare ulteriormente la loro richiesta aggiungono alcune considerazioni sull’economia siciliana che dimostrano una profonda conoscenza della realtà dell’isola con tutti i suoi punti di forza e di debolezza. Una fotografia di una realtà, fatta senza chiaroscuri da parte di esperti che, presto, diventeranno i protagonisti della storia politica ed economica siciliana, e che merita un brevissimo approfondimento che ci aiuta, anche, ad inquadrare meglio il contesto in cui questo episodio dell’espulsione si muove.
L’apertura dei mercati del Nord dell’Africa alle esportazioni del grano siciliano sino a quel momento chiusi per la proibizione imposta dal Sovrano, mirata ad impedire che gli “infedeli” fossero riforniti di prodotti considerati strategici per la guerra quali il frumento o le armi, secondo la valutazione dei responsabili finanziari del regno sarebbe stata ampiamente sufficiente a compensare i danni economici derivanti dall’espulsione.
Il ruolo economico degli ebrei
La marginalità della giudecca e degli ebrei rispetto ai punti forti dell’economia siciliana qual è quella della coltivazione e del commercio del grano, emerge chiaramente da un’altra indagine effettuata dal Bologna, su incarico della Regia Corte, nell’agosto del 1492 per individuare le gabelle e i diritti attinenti alla Secrezia di Palermo che non saranno più riscosse dopo l’espulsione degli ebrei nonché tutti i “traffichi et mercancij” che i giudei sia palermitani sia stranieri sono soliti gestire sulla piazza palermitana. Dall’analisi delle gabelle, che possiamo considerare come degli indicatori economici, emerge che i giudei si occupano essenzialmente del commercio dei panni, dei caciocavalli, dei formaggi e del cuoio intessendo intensi rapporti con il resto della Sicilia utilizzando certamente la rete rappresentata dalle giudecche la quale, come si è riscontrato in precedenza, controlla le principali linee di comunicazione che collegano i primari centri commerciali siciliani.
La struttura connettiva del tessuto economico della comunità giudaica nella realtà dei documenti esaminati è sufficientemente delineata. Gli ebrei in Sicilia sono: artigiani, con una presenza rilevante di fabbri, pannieri, merciai, bottegai, commercianti di formaggi o di pellami, “mezzani”, “bordonari”, maestri di scuola. Quindi occupano una loro specifica nicchia che non confligge con la realtà rappresentata dai mercanti stranieri che monopolizzano il grande affare della produzione e del commercio internazionale del grano oppure controllano, grazie anche alla disponibilità di flotte nazionali di grosso tonnellaggio, l’importazione dei panni lana o del ferro spagnolo.
Quindi l’espulsione del 1492, da effettuarsi in tempi rapidissimi, crea un grande scompiglio nel contesto di realtà urbane quali Palermo o Messina in quanto incide in un sistema commerciale nel quale la vendita in contanti è un’eccezione mentre la regola è che tutti i crediti siano regolati in un certo numero di mesi, tempi legati, essenzialmente, ai ritmi dei raccolti e all’arrivo dei mercanti stranieri. In tre mesi, e con l’incalzare del provvedimento di espulsione e degli atti esecutivi connessi, è quasi impossibile rientrare nei crediti legati alla propria attività commerciale o vendere ad un prezzo equo i propri immobili.
Continua…