Turismo pionieristico e campeggiatori d’assalto. I viaggiatori inglesi in Sicilia tra XVII e XVIII secolo
I primi viaggiatori furono francesi ed inglesi, ma è allo scienziato e militare scozzese Patrick Brydone, che si deve l’inizio del flusso turistico per raggiungere la Sicilia
La dimensione del viaggio, oggi, è qualcosa di affascinante ma alla portata di tutti. Grazie alla repentina rivoluzione dei trasporti sviluppatasi negli ultimi due secoli, oggi, lo spazio, l’attraversamento e la scoperta sono alla portata di tutte le classi sociali, e con qualche spicciolo si può facilmente raggiungere mete lontane e visitare luoghi distanti migliaia di chilometri dalla propria residenza abituale. Ma fino al XVIII secolo, non era così, ed a viaggiare furono solo quei pochi eruditi, appartenenti alla classe nobiliare, che nel fecondo ambiente della rete dei “Philosophes” francesi ed appartenenti ad una primordiale idea di Europa attraverso comune appartenenza alla “Repubblica delle lettere” erano spinti da una insaziabile sete di conoscenza. I loro viaggi, però, almeno inizialmente, si fermavano inesorabilmente a Roma e, se proprio erano coraggiosi, a Napoli.
La Sicilia, infatti, chiusa in un secolare isolamento storico e geografico, restava una terra sconosciuta ed avvolta dal mistero. Anche l’Encyclopédie, alla voce “Palermo” esordiva con: “Città distrutta da un terremoto con un arcivescovado ed un piccolo porto. Prima della sua distruzione contendeva a Messina il titolo di capitale”. Ed ancora: “ La Sicilia non ha di considerevole che le sue montagne (ETNA) ed il suo Tribunale dell’Inquisizione”. Quello che filtrava all’esterno, dunque, erano solo spaventose visioni di catastrofi naturali, anfiteatri e templi deserti e, soprattutto di briganti e predoni. Ma è grazie proprio a questo alone di mistero che verso la fine del XVIII alcuni ardimentosi viaggiatori si spinsero in Sicilia per conoscere di più su questa terra strana e dimenticata, per osservarne gli abitanti ed i loro costumi ma, soprattutto, per scoprire e studiare le bellezze classiche in essa custodite.
L’impresa non era facile, dato che da Napoli occorrevano quattro giorni di navigazione per raggiungere l’Isola, col pericolo di essere attaccati dai pirati, e, una volta arrivati, il quadro che si presentava ai loro occhi era alquanto desolante, stante l’assoluta assenza di alberghi, taverne o ricoveri vari, per non parlare delle strade inesistenti (fangose d’inverno e polverose d’estate), peraltro infestate da malviventi di ogni tipo.
Ma questo non bastò a fermare gli ardimentosi che, piano piano, cominciarono ad arrivare nell’Isola.
I primi furono francesi ed inglesi ed è soprattutto ad uno di essi, lo scienziato e militare scozzese Patrick Brydone, che si deve l’interesse e l’afflusso dei turisti stranieri nella nostra regione.
Nei suoi appunti di viaggio egli infatti descrive, certo, le difficoltà incontrate nel suo viaggio, prima fra tutte quella di trovare ricoveri adeguati e soprattutto puliti (gustosissima la sua descrizione di Madame Montaigne, pettegola ed invadente titolare dell’unico “albergo” di Palermo), ma offre anche ai suoi contemporanei bellissime descrizioni delle bellezze isolane e dell’ospitalità dei siciliani, i cui esponenti più in vista l’avevano “adottato” e condotto ovunque, non solo a teatro ed alle passeggiate serali alla “Marina”, ma anche al Festino di Santa Rosalia (di cui fa una minuziosa ed incantata descrizione nei suoi resoconti di viaggio) e, soprattutto e con sua somma meraviglia (visto che era inglese) anche – come si usava nell’alta società siciliana – a far visita alle nobili puerpere del luogo.
Meno spiritoso ed arguto il suo compatriota, Henry Swinburne percorse buona parte della Sicilia a cavallo, fino alle contrade più interne, annotando scene del costume popolare ed episodi delle piccole città. La sua opera, pregevole per l’originalità della narrazione e per i bei disegni a matita dello stesso autore che sono in essa contenuti, divenne, come gli scritti del Brydone, uno dei più popolari resoconti di viaggio della Sicilia.
Anche l’inglese Richard Payne Wnight, appassionato di archeologia, visitò la Sicilia, scrivendo anche lui un’opera limpida e sobria che entusiasmò Goethe che volle tradurla in tedesco.
Dopo un periodo di stasi dovuto alla Rivoluzione Francese, riprende il flusso di illustri viaggiatori alla volta della Sicilia: tra gli inglesi spicca il nome del Marchese di Ormonde, che con la sua proverbiale flemma inglese, tentò – stante la perdurante inesistenza di alloggi decenti per turisti – un primo tentativo di “Camping”, portandosi dietro tende, materassi, coperte ed un’intera batteria da cucina. Il programma di viaggio era : sveglia all’alba con colazione all’inglese, rimozione tende con annessi e connessi che venivano caricati sui muli e si cominciava l’escursione che, con una sola sosta per il pranzo, durava fino al tramonto. Si rimontavano le tende e ci si riposava. Ma questo metodo non fece molti proseliti: i suoi illustri concittadini (e non) preferivano i conventi o le dimore di qualche nobile siciliano che si decideva ad ospitarli. Tutto ciò durò fino al 1830, anno in cui venne costruita la prima vera strada regia che collegava Messina – Catania – Palermo, comoda, carrozzabile e dotata di ponti. Sorsero i primi alberghi degni di questo nome (almeno nelle città più importanti) e la Società di Navigazione organizzò le prime crociere di lusso che toccavano la Sicilia. Gli anni eroici del turismo pionieristico siciliano finiscono qui.