Tommaso Buscetta: un collaboratore tra luci ed ombre – Capitolo 5
Capitolo Quinto. «Buscetta e il colpo di Stato»
Buscetta parlò ai giudici prima e successivamente dinanzi alla Commissione antimafia del tentativo di colpo di Stato, quello di Borghese, poi non realizzato. Riferiva il collaboratore Antonino Calderone, che mentre Luciano Liggio era latitante, nascondendosi a Catania, aveva ricevuto la visita di due esponenti di Cosa Nostra di Palermo, Salvatore Greco (inteso Cicchiteddu) e lo stesso Buscetta.
La presenza di Buscetta aveva determinato una reazione di rabbia in Liggio che non nutriva grande simpatia nei confronti di Buscetta. Disse infatti, rivolto a Calderone: “ma cosa mi combina Totò (Salvatore Greco ndr) a presentarsi con questo disonorato’ Anziché tirargli due colpi in testa, se ne va in giro assieme a lui”. Alla richiesta di spiegare i motivi della sua ostilità a Buscetta, Liggio aveva risposto che Buscetta aveva un passato di “puttane”. In ogni caso, quando Buscetta arrivò in casa lo salutò con cordialità. In quell’incontro si parlò di aderire al golpe militare che sarebbe partito da Roma per poi espandersi in tutto il Paese. La mafia avrebbe dovuto partecipare alla attuazione del golpe in Sicilia. La cosa fu oggetto di discussione tra Greco Buscetta e Liggio il quale ultimo si mostrò favorevole alla partecipazione della mafia al colpo di Stato.
Vi furono anche numerose riunioni con altri capi mafia. I golpisti, quale contropartita per la partecipazione al golpe, avrebbero offerto la revisione di una serie di processi già definiti tra i quali quello che aveva visto Liggio condannato in via definitiva per l’omicidio del medico Michele Navarra avvenuto in Corleone. Qualche opinione contraria alla adesione fu avanzata da alcuni capi mafia che temevano che dopo la presa del potere da parte dei golpisti questi avrebbero arrestato tutti i mafiosi che, a quel punto, sarebbero stati individuati. Si decise comunque di aderire al cosiddetto colpo di Stato ma senza un vero impegno. Giuseppe Calderone (fratello di Antonino) si incontrò a Roma con Valerio Borghese ma quando questi disse che se qualcuno avesse fatto resistenza i mafiosi-che per l’occasione avrebbero dovuto portare una fascia di riconoscimento al braccio-lo avrebbero dovuto arrestare, vi fu la reazione del Calderone il quale disse: “Arrestare a chi. Noi mafiosi a metterci a fare gli arresti? Guardi che noi cose di polizia non ne facciamo! Noi non arrestiamo nessuno. Se dobbiamo ammazzare qualcuno, va bene. Lo ammazziamo. Ma servizi di polizia non ne facciamo.”
Antonino Calderone dichiarò che la questione del golpe, in realtà, non convinceva i mafiosi, molti dei quali si erano dichiarati contrari. Secondo Calderone, la mafia stava tentando un vero e proprio bluff allo scopo di fare uscire qualcuno di galera o di aggiustare qualche processo. La mafia si oppose poi alla richiesta di fornire una lista con l’elenco di tutti i mafiosi e dichiarò di aderire al golpe affermando di disporre di duemila uomini. Del golpe poi non se ne fece niente. Lo stesso Calderone dichiarò di nutrire seri dubbi “sulla serietà dell’intera faccenda”.
La versione del collaboratore Antonino Calderone trovò sostanziale conferma in quanto dichiarato da Buscetta oltre che ai giudici, anche nel corso della sua audizione dinanzi alla Commissione antimafia. Dirà tra l’altro Buscetta in quest’ultima sede: “Non appena sbarco in America, vengo arrestato la prima cosa che mi domanda la polizia americana è: “Lo fate o no il golpe in Sicilia?”
Leggi anche: Capitolo 1 – Capitolo 2 – Capitolo 3 – Capitolo 4