Il confine liquido e il muro virtuale: l’esperienza del bastionamento siciliano del sec. XVI – Parte prima
Il muro costituisce la barriera naturale che l’uomo è portato a erigere per difendere gli spazi territoriali che considera di sua piena disponibilità per far argine contro quelli che classifica come nemici esterni. Gli esempi possono moltiplicarsi in modo esponenziale: la recinzione di un giardino; le mura della città; la muraglia cinese; il vallo di Adriano; il vallo Atlantico, il muro di Berlino. Strutture che hanno alto valore simbolico nel momento nel quale furono realizzate ma, che diventano ruderi ingombranti quando il divenire degli eventi le rende obsolete.
La frontiera disarmata
La Sicilia del cinquecento si trovò ad affrontare il problema della gestione della sua frontiera liquida – il canale di Sicilia – lungo la quale doveva arginare l’offensiva ottomana che si sviluppava in modo virulento con uno stillicidio di incursioni e di devastazioni . L’offensiva turca contro l’Occidente è affidata non solo alle truppe che svilupparono la loro offensiva via terra sia nei Balcani sia lungo le coste dell’Africa del nord, ma anche alle armate navali, comandate da brillanti ammiragli come Barbarossa o Dragut, che, durante i mesi estivi, andavano in corsa lungo le coste dell’Italia meridionale e delle isole maggiori, la Sicilia e la Sardegna, saccheggiando borghi e villaggi e catturandone gli abitanti. Una situazione strategica che rendeva la difesa della Sicilia sempre più problematica giacché le armate navali turche potevano utilizzare il supporto logistico dei porti mediterranei della Francia e rafforzare il loro potenziale offensivo con la presenza di galere francesi che si affiancavano a quelle ottomane grazie all’alleanza con il sovrano francese.
Carlo V fu costretto a prendere atto che la realtà delle strutture delle difese passive e attive della Sicilia durante i primi anni del sec. XVI, era tragicamente inadeguata alle esigenze del nuovo modo di fare la guerra: le mura dei luoghi forti erano inadatte a resistere al tiro dei nuovi cannoni da assedio; le poche torri di avvistamento, realizzate spesso nelle vicinanze delle città, non erano in grado di rendere possibili d efficienti contatti visivi per far circolare le notizie; le comunicazioni stradali inesistenti; lunghi tratti di costa totalmente indifesi e nulla si opponeva agli sbarchi degli ottomani; la milizia feudale era insufficiente, sia numericamente sia qualitativamente, per far fronte al pericolo turco rendendo necessario il ricorso alle compagnie dei militari spagnoli. Gli avamposti come Malta e Pantelleria, fondamentali per il controllo delle rotte tra la Turchia, la Siria e l’Africa del nord, erano privi di ogni difesa passiva e sottoposti, continuamente, alle incursioni ottomane che provocavano gravi danni strutturali e umani. La Sicilia, quindi, nei primi anni del secolo XVI, si presentava come un “bastione indifeso” incapace di far fronte al ruolo di fortezza e di controllo della frontiera “liquida” affidatogli da Carlo V nella realtà del contesto dei “regni mediterranei”.