Mostri e prodigi. La Sicilia e il meraviglioso di Nicola Cusumano
Il Giornale di Sicilia propone cinque nuovi titoli della Collana Frammenti edita dalla Palermo University Press, a soli 3,70 €, ogni venerdì del mese di marzo.
Il volume di oggi s’intitola “Mostri e prodigi. La Sicilia e il meraviglioso” di Nicola Cusumano.
Pubblichiamo, di seguito, l’intervista di Francesco Carnevale all’autore del “frammento del giorno”.
1) Quello dei mostri sembrerebbe un argomento insolito: mi può dire il perché di un tema come quello scelto, se ha cioè degli addentellati con gli attuali orientamenti storiografici?
Definisco i “mostri” come veri e propri aggregati semantici e serbatoi di senso,da cui attingere per provare a definire le trasformazioni che coinvolgono il campo vasto dei saperi in età moderna. Saperi scientifici e medici prima di tutto, ma non solo; questi non sempre si svilupparono con quella linearità che oggi in modo errato individuiamo nei passati percorsi della scienza, che in realtà – ricordiamolo – mosse i suoi primi passiinsieme con discipline che in realtà oggi tendiamo a percepire astrattamente come “antiscientifiche”.
Bisogna invece abituarsi a interpretare questo iniziale incedere della scienza come faticoso, oltre che come estremamente discontinuo (almeno prima della rivoluzione scientifica), e a percepire quelle che furono le mutuazioni reciproche tra ambiti quali scienza, magia, alchimia, per non dire della prospettiva teologica, che in età moderna continuò a esser presente ancora per lungo tempo.
In sintesi, per rispondere alla sua domanda: sì, i “mostri”, intesi in questo lavoro soprattutto come i “parti mostruosi” (gli infanti bicefali ad esempio), suscitarono tra Rinascimento e Illuminismo uno sforzo interpretativo considerevole, che contribuìalle grandi trasformazioni della conoscenza; in questo la loro importanza e paradigmaticità, anche in Sicilia.
Ed è solo di recente che la storiografia, sempre più incline a sviluppare orientamenti di “storia culturale”, ha iniziato a occuparsene.
2) Nel lavoro, dopo una sezione dedicata al contributo rinascimentale del grande medico Giovanni Filippo Ingrassia, ci si concentra su altre singolari figure. Vorrei che mi dicesse qualcosa sul principe di Palagonia, l’autore della villa dei mostri di Bagheria.
Il principe dei mostri, soprannominatogià all’epoca in cui visse il negromante (mago, indovino), mi ha sempre affascinato. Soprattutto è la sua sfida che mi ha coinvolto, dal momento che, a fronte di un “teatro di mostri” che non ha eguali nella civiltà europea del XVIII secolo, emerge un silenzio totale delle fonti storiche sulla personalità di questo aristocratico e sul suo mondo intellettuale. Egli non lasciò opere né v’è traccia di un suo epistolario. Lo raccontano a noi soprattutto i viaggiatori, Goethe in testa, ma dimentichiamo che i loro giudizi erano fuori di dubbio inficiati dalle loro visioni estetiche, e che ciò contribuì a costruirne un’immagine in parte distorta. Un’immagine ancora attuale, figlia di un’operazione macchinosamente volta a definire questa inquieta personalità a partire dalla sua villa, mentre occorrerebbe rovesciare i nessi causali per comprendere prima la peculiarità dell’uomo.
In sintesi, ho provato a fare emergere una sua probabile affinità con una cultura, quella neonaturalistica e tardo rinascimentale, che all’epoca era tutt’altro che sconfitta dall’epistemologia dei Lumi.
Un caso di “resistenza” che culturalmente non è isolato, mi pare, e che soprattutto non può essere ridotto, com’è stato fatto anche da alcuni grandi scrittori (Sciascia su tutti), alla stregua di uno “scherzo” del suo tempo.
3) Un’ultima domanda: posta la sostanziale affinità dei discorsi sui mostri tra Cinquecento e Seicento, come cambia esso, e soprattutto quanto velocemente, durante l’Ottocento, nel secolo del trionfo della ragione scientifica?
Questa è un’altra questione rilevante, che nel volumetto, data l’esiguità del testo, non ho potuto approfondire come avrei voluto. Si tratta di definire la consistenza di permanenze di lunga durata nell’interpretazione dei mostri. Dinanzi alla prepotente affermazione dell’interpretazione “scientifica” e ottocentesca dei mostri, emergono pure le tracce di un tentativo di non occultare le ragioni teologiche.
È il caso dell’ecclesiastico Filippo Evola, un erudito eclettico, che ebbe incarichi di prestigio nella Sicilia di metà del secolo, il cui contributo scientifico sui mostri era tutto centrato sull’urgenza di sostenere la necessità del loro battesimo (ai fini della salvezza dopo la morte), che qualcuno intendeva impedire con l’argomento della loro natura “non umana”.
Nel tentativo di sviluppare un discorso coerente e in linea con le ricerche mediche del suo tempo sulla genesi della vita, Evola utilizza alcuni argomenti che presentano pure un significativo slittamento nel terreno delle teorie della razza, che all’epoca si erano già affacciate sullo scenario del dibattito “scientifico”.
Sostienecioè la natura umana dei mostri da un alto, ma dall’altro nel far questo partecipa all’elaborazione di una griglia interpretativa che tendegià a definire i gradi della specie umana in senso razziale e biologico, in linea con una tendenza che si svilupperà lungo l’Ottocento.Ancora una volta, insomma, com’era accaduto durante il Rinascimento e poi nell’età barocca e nel secolo dei Lumi, anche nel XIX secolo i “mostri” finiscono per mobilitare lo sforzo significativo degli intellettuali e delle nuove discipline scientifiche e mediche, che svelano più ampiamente i nuovi orientamenti culturali.
Questo volume intende analizzare un singolo aspetto della sfera del prodigioso, relativo ai parti mostruosi. Come furono interpretati, quali le persistenze e le trasformazioni nei quadri culturali di riferimento?
E perché la Sicilia?
Ciò su cui il libro prova a interrogarsi pertiene a un ben preciso ambito: quanto la cultura medico-scientifica dell’isola, ma anche quella ermetica e magica, abbiano contribuito in età moderna al più ampio sviluppo del discorso sui mostri.
Nicola Cusumano recupera qui i dibattiti e il campo delle relazioni tra gli eruditi sul piano continentale, e prova a tracciare il filo conduttore dell’eziologia dei mostri, tenendo sempre fermo, quale punto di osservazione privilegiato, il cardine della temporalità, della ‘storicità’ cioè dei percorsi esplorati.
Percorsi che non possono più essere osservati sotto la lente deformante del logoro paradigma della ʻseparatezzaʼ della Sicilia, e che vanno dall’affermazione rinascimentale di una sensibilità medica tutt’altro che scevra dai condizionamenti teologici, ai contributi di studiosi del primo Ottocento, che approdavano pericolosamente al nuovo discorso sulle “razze”.
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