Il confine liquido e il muro virtuale – Parte seconda
L’esperienza del bastionamento siciliano del sec, XVI
La nuova milizia
La costruzione del progetto del “Vallo” di Vega si completa con l’istituzione di una milizia territoriale, dotata di un discreto livello di addestramento militare, che dovrebbe opporsi agli sbarchi e costituire un credibile deterrente per impedire che le scorrerie ottomane penetrassero in profondità sul territorio. I contemporanei del Vega percepiscono questa riforma come una novità – non per nulla si usa per identificarla l’aggettivo “nova” contrapponendola alla “vecchia” – che ha una positiva ricaduta sul bilancio del Regno in quanto limita il ricorso alle compagnie, costituite da militari professionisti spagnoli o italiane, il cui costo incide in modo rilevante sulla Tesoreria.
La creazione di una “milizia territoriale” non è ben vista né dalla feudalità, che vede insidiato il suo privilegio di rappresentare l’unica struttura militare che possa affiancare le compagnie estere, né dai “facultusi”, i quali, sanno bene, che subiranno un’ulteriore pressione fiscale per supportare il funzionamento di questa nuova realtà. Il progetto della nuova milizia approda alla sua redazione definitiva nel novembre del 1551, come si ricava da una lettera a Cesare Lanza, barone di Castania, nella quale si precisa che il Parlamento ha deliberato: di effettuare una leva di dodicimila fanti e duemila cavalieri presso le terre e le città del Regno. Se ne precisa anche l’organizzazione giacché queste forze dovrebbero essere distribuite in compagnie di trecento fanti l’una, mentre per i cavalieri la composizione dello squadrone può oscillare da cinquanta a cento unità.
L’addestramento militare di questa nuova milizia diventa obiettivo primario per il viceré che lo affida a dei quadri di comando composti di professionisti scelti tra i soldati spagnoli da lui ritenuti più preparati al mestiere delle armi. Non a caso, nel dicembre del 1551, dispone di reclutare dodici sergenti tra i soldati spagnoli, «pratici et atti ad dicto misteri», da destinare all’addestramento militare della milizia. Le istruzioni date al sergente maggiore Francesco Salcedo, destinato ad esercitare il suo servizio a Lentini e in tutte le altre città e terre “convichini”, sono la base per potere ricostruire i meccanismi con i quali il Vega pensa di attivare le singole compagnie. Una lettura dei singoli punti chiarisce meglio lo schema operativo:
- il sergente maggiore, in primo luogo, deve scegliere in ogni compagnia un sergente «che sia persuna pratica e sacha scriviri», al quale consegnare la lista nominativa dei soldati assegnati e delle armi disponibili, con l’onere di controllare che non «mancassiro in li servicii ed exercicii di la guerra»;
- si procederà alla creazione di squadre composte di 25 soldati (la compagnia di 300 fanti è articolata in 12 squadre), all’interno delle quali si sceglierà un caporale cui affidare la responsabilità del comando e, soprattutto, il controllo della presenza durante le esercitazioni;
- bisognerà notificare con un banditore l’obbligo per i soldati inseriti nell’elenco della milizia di essere presenti «tanto in li mustri et exercicii di la guerra comu in tutti altri servicii chi per vui [sergente maggiore] li sarrano commisi et ordinati»; – la pena per i renitenti è costituita da tre tratti di corda o dall’arresto per alcuni giorni; nel caso di «viglaccaria» si redigeranno delle “informazioni” che saranno esaminate dal viceré o dal vicario;
- ogni mese si dovrà effettuare una «mustra generali in la cità di Lentini di tutti li genti cussi di pedi comu di cavallo di vostra sergentaria » per verificare il livello dell’addestramento, mentre ogni domenica si dovrà «fari mustra particulari di ditta genti cussi di pedi como di cavallo in li propri loro citati et terri»; – il sergente maggiore ha, anche, l’onere di predisporre, lungo le coste della sua sargentaria, le vedette necessarie per l’avvistamento di eventuali navi nemiche da segnalare con segnali di fumo o di fuoco, in modo da potere intervenire immediatamente con il numero di uomini e di cavalli proporzionato alle forze nemiche, e respingere ogni attacco;
- si ribadisce che la competenza del sergente maggiore è piena «in tutti li cosi di la guerra toccanti ad vostro carrico», mentre si fa divieto di «intromettiri in li cosi di iusticia» che sono di competenza degli «officiali dille ditte citati et terri»;
- si attribuisce ai «sargenti et caporali (capisquadra)» la responsabilità del controllo delle armi consegnate ai soldati, che non possono essere vendute o donate;
- per quanto riguarda i cavalli ci si limita a disporre che si proceda alla nomina di un “locotenenti”, in quanto istruzioni più particolareggiate si danno al capitano della compagnia.
Si utilizzano le istruzioni impartite da Hernando a Iacobo Bayra, barone di li Maccari e “capitano di cavalli” di Noto, per analizzare i modelli operativi da seguire nel caso in cui sia necessario il ricorso alla mobilitazione per far fronte ad un attacco degli ottomani. I compiti del capitano sono così enumerati:
- radunare la compagnia entro 4 ore dal momento in cui si riceve l’ordine del viceré o del vicario86;
- far rispettare il bando del vicario nel quale si ordina che i cavalieri non si possano allontanare dalla città senza licenza del capitano che può concederla in modo che «non passano lo numero di dechi»;
- organizzare la compagnia suddividendola in manipoli di 10 cavalli affidandoli ad un caposquadra;
- disporre che la domenica «poy di manchari, li fariti tutti cavalcari cum loro armi et li congregariti in alcuno loco a vui ben visto cum farili industriari et exercitari in li cosi di la guerra»;
- esercitare la propria giurisdizione esclusivamente sulla disciplina dei cavalieri e su tutti gli “affari della guerra”, gli altri compiti «fora di guerra, li hanno di providiri li officiali ordinarii di la cità»;
- controllare che tutti i cavalieri tengano in ordine i finimenti dei cavalli e le armi in dotazione;
- far rispettare il divieto di vendere o donare i cavalli e le armi.Si elencano infine «li exemptioni et ymmunitati chi ditti genti di cavallo hanno di gaudiri»:
- autorizzazione a portare armi «ofensivi et defensivi fina a dui huri di notti»;
- esenzione dal pagamento «tanto di li donativi comu di colletti regi et solamenti siano obligati pagari la rata chi li tocca a lo minuto»;
- esonero dall’obbligo «a dari posata né letti» nelle loro case ad ufficiali o ad altre persone;
- dispensa dal pagamento di collette imposte per pagare le vedette lungo la costa;
- regia salvaguardia per i cavalli e le armi affidategli per l’espletamento del loro servizio, che non possono essere pignorati o venduti all’asta dai creditori.
Si prevede, infine, che quando i cavalieri si allontaneranno dalla città per servizio gli si corrisponderà un’indennità mensile di onze 2.6 nel caso in cui siano armati di «scupetti et arcabuxi», mentre per quelli «che portiranno lanzuni» il rimborso spese sarà di onze 2.
Una riflessione finale
Le coste siciliane sono ancora oggi segnate dalla presenza di torri più o meno dirute che testimoniano, nella loro splendida decadenza, il sogno di Carlo V di realizzare un “muro” invalicabile contro le invasioni degli ottomani. Un sogno che ben presto mostra tutte le sue non funzionalità e la farraginosità dei meccanismi di supporto che coinvolgeva torrari, cavallari, messaggeri a piedi e a cavallo oltre alla milizia sia a piedi e cavallo organizzata su basi territoriale e costituita essenzialmente da “borghesi” con esclusione di milizie feudali. Sorge la preoccupazione di Filippo II nei confronti del vicere De Vega che, per il tramite della militarizzazione della Sicilia, avrebbe potuto sognare di diventare. Meglio richiamarlo in patria e nominare un altro viceré.
Per chi volesse approfondire, è possibile consultare il saggio “La fortezza indifesa e il progetto del Vega per una ristrutturazione del sistema difensivo siciliano“.
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