Beatrice Pasciuta, Il Diavolo in paradiso Diritto, teologia e letteratura nel Processus Satane (sec. XIV)
Beatrice Pasciuta, Il Diavolo in paradiso Diritto, teologia e letteratura nel Processus Satane (sec. XIV), Viella, Roma, 2015, pp. 269
La costruzione del diritto processuale costituisce un imperativo categorico per i giuristi della fine del XII secolo, dal momento che il diritto romano appariva inadeguato sul piano delle forme procedurali. Lo sforzo di interpretazione e di elaborazione da parte della dottrina è rilevante e influenza in modo determinante la legislazione medievale. Beatrice Pasciuta si immerge nella magmatica tematica della costruzione delle forme giuridiche intorno alle quali si costruisce la ritualità del processo, mettendo in rilievo le connessioni che legano in maniera inscindibile il diritto e la teologia. In particolare, il processo giudiziario viene costruito dai giuristi come una liturgia, rivelando le profonde influenze della riflessione teologica.
La Pasciuta sottolinea come il giudizio, al pari della Messa, «si celebra in un luogo sacro e dedicato. Il giudice come il sacerdote amministra sapientemente i suoi riti per garantire l’effettiva materializzazione di un’idea immanente e metafisica. La liturgia eucaristica e la liturgia giudiziaria sono accomunate dalla pretesa che soltanto attraverso l’esecuzione del rito sia possibile raggiungere la verità, sia essa sacramentale o processuale. E il risultato del processo, sugellato dal principio de ne bis in idem, una volta ottenuto in via definitiva non può più essere discusso, in quanto è manifestazione tangibile della sacralità del rito» (p. 11).
L’A. sviluppa l’approccio alla tematica leggendo il “Processo tra il diavolo e la Vergine” opera tradizionalmente attribuita a Bartolo da Sassoferrato, e come tale inserito all’interno del corpus dei trattati del grande giurista. La lettura di un processo «simulato, ambientato in Paradiso nella sede del Tribunale Celeste, fra il Diavolo e la Madonna per il possesso del genere umano» diventa qui occasione per una riflessione sulla costruzione che i giuristi fanno a partire dalla fine del XII secolo sulle forme procedurali e sulle reciproche interazioni fra teologia e diritto. L’utilizzo delle simulazioni processuali rappresenta una scelta didattica praticata tuttora nelle scuole giuridiche ma che nelle scuole di diritto medievale era un momento importante del percorso formativo degli allievi. Bisognava scegliere un argomento forte, che potesse colpire l’uditorio, coinvolgendolo anche emotivamente grazie alle tecniche della rappresentazione teatrale, per costruire un percorso narrativo efficace per l’apprendimento.
La struttura del volume è molto articolata e si sviluppa partendo dalla trama del processo: Satana vuole riappropriarsi delle anime dei peccatori e ricorre alla giustizia. Si dà vita, quindi, a un processo simulato ambientato nella sede del Tribunale Celeste davanti a Gesù Cristo, nella veste di giudice supremo, con la Madonna nel ruolo di avvocato difensore del genere umano.
Il lavoro della Pasciuta, attraverso una complessa esplorazione comparata, mostra la maturazione del diritto processuale in questa dialettica fra diritto civile, diritto canonico e teologia, mettendo al centro di tale costruzione il mondo degli operatori del diritto, quei procuratori, notai, avvocati, giurisperiti e giudici formati nei grandi centri universitari di Bologna e di Padova sui commentari alla compilazione giustinianea e al diritto canonico e sulla trattatistica processuale. Un ambiente professionale e sociale di grande rilievo, che la Pasciuta aveva già incisivamente tratteggiato, con riferimento alla Sicilia tardomedievale, nel volume In Regia Curia civiliter convenire (B. Pasciuta, In Regia Curia civiliter convenire. Giustizia e città nella Sicilia tardomedievale, Giappichelli, Torino, 2003). Un mondo in cui il possesso degli strumenti di controllo delle regole, l’elaborazione e la pratica della dottrina − dove la costruzione della ritualità processuale riveste ruolo centrale − aprono la strada all’ascesa sociale nei ranghi della nobiltà di toga e nel governo delle città. Il Processus Satane non è soltanto la simulazione di un’attività processuale ma anche lo specchio dell’importanza che i giuristi, sacerdoti del rito, assumono all’interno della società del tardo medioevo.