La macchina della solidarietà per sconfiggere il virus
Dai giovani volontari alle associazioni umanitarie, dal mondo imprenditoriale a quello dello spettacolo: tutti uniti per sostenere la ricerca e aiutare gli ospedali
“Insieme possiamo farcela”, “Andrà tutto bene”. Al tempo del coronavirus la coscienza collettiva sembra dividersi tra paura e coraggio, punta smarrita il dito contro l’untore ma non smette di dare prova di grande umanità.
Instabili, sull’altalena degli istinti tra attaccamento alla vita e voglia di sdrammatizzare, gli italiani trascorrono le prime settimane dall’esplosione di questa pandemia.
Ma facciamo un passo indietro.
Nei giorni successivi all’esodo da nord a sud di migliaia di persone su treni, pullman e auto, governo e cittadini non hanno risparmiato ai conterranei accuse di incoscienza ed egoismo per aver sottovalutato l’emergenza nazionale. Molti hanno dato la colpa alle autorità per non aver mantenuto la linea di ferro sulle “istruzioni” (definite poco chiare), per evitare la diffusione di un virus etichettato, in prima istanza, come una banale influenza.
L’istantanea di un’Italia in ginocchio – a seguito dell’ordinanza dello scorso 8 marzo sulle “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da codiv-19” – ci viene mostrata da possessori di partita iva, imprese e gestori di attività commerciali che denunciano il crollo dell’economia e l’incapacità di sostenere le proprie famiglie senza entrate finanziarie. La richiesta è bloccare i pagamenti mensili (rate, mutui, bollette) perché si è impossibilitati a incrementare i guadagni dovuti all’esercizio della propria professione, per dedicarsi al rispetto delle norme stabilite al fine di contenere il diffondersi dei contagi. Legittime osservazioni che il premier, Giuseppe Conte, ha dichiarato sosterrà insieme all’Unione Europea, stanziando un fondo da destinare all’emergenza che l’Italia si è trovata a fronteggiare.
«Siamo ben consapevoli di quanto sia difficile cambiare le nostre abitudini. Ma purtroppo tempo non ce n’è: i numeri ci dicono che c’è una crescita importante dei contagi e delle persone decedute. Le nostre abitudini vanno cambiate, ora. Dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell’Italia. E ci riusciremo solo se tutti collaboreremo. L’Italia sarà zona protetta, su tutto il territorio andranno evitati gli spostamenti e saranno vietati gli assembramenti.»
Lo aveva dichiarato Conte il 9 marzo durante la conferenza stampa in cui sono state annunciate le nuove misure prese per far fronte all’emergenza coronavirus in Italia.
Contemporaneamente, i social accolgono gli appelli di medici e infermieri che si trovano in prima linea a fronteggiare l’inarrestabile richiesta di soccorsi domiciliari e ricoveri d’urgenza. E restituiscono immagini di professionisti esausti da ore ininterrotte di servizio, con il volto segnato dalla pressione dei dispositivi di protezione.
«Sono un’infermiera – scrive sul suo profilo instagram Alessia Bonari da Milano – e in questo momento mi trovo ad affrontare questa emergenza sanitaria. Ho paura anche io, ma non di andare a fare la spesa, ho paura di andare a lavoro. Ho paura perché la mascherina potrebbe non aderire bene al viso, o potrei essermi toccata accidentalmente con i guanti sporchi, o magari le lenti non mi coprono nel tutto gli occhi e qualcosa potrebbe essere passato.
Sono stanca fisicamente perché i dispositivi di protezione fanno male, il camice fa sudare e una volta vestita non posso più andare in bagno o bere per sei ore. Sono stanca psicologicamente, e come me lo sono tutti i miei colleghi che da settimane si trovano nella mia stessa condizione, ma questo non ci impedirà di svolgere il nostro lavoro come abbiamo sempre fatto. Continuerò a curare e prendermi cura dei miei pazienti, perché sono fiera e innamorata del mio lavoro. Quello che chiedo a chiunque stia leggendo questo post è di non vanificare lo sforzo che stiamo facendo, di essere altruisti, di stare in casa e così proteggere chi è più fragile. Noi giovani non siamo immuni al coronavirus, anche noi ci possiamo ammalare, o peggio ancora possiamo far ammalare. Non mi posso permettere il lusso di tornarmene a casa mia in quarantena, devo andare a lavoro e fare la mia parte. Voi fate la vostra, ve lo chiedo per favore».
La macchina della solidarietà si attiva puntuale dopo la diffusione di immagini e post di supplica così strazianti. Ed ecco arrivare i primi aiuti concreti proprio dalla Cina, che si è dichiarata immediatamente disposta a donare al nostro Paese centomila mascherine di ultima tecnologia, ventimila tute protettive, oltre a cinquantamila tamponi per effettuare test diagnostici.
I giovani, poi. Quelli che prendono le distanze dai coetanei che affollano i locali notturni, si fanno promotori di gesti di sostegno e speranza. Li chiamano “gli angeli del coronavirus”, quegli studenti impossibilitati a frequentare le lezioni, che si sono resi subito disponibili a supportare i meno fortunati, offrendosi volontari per andare a fare la spesa a chi si trova in quarantena o è affetto da patologie gravi. Da nord a sud per creare una rete – seppure per forza di cose asettica o digitale – che superi le barriere dell’isolamento e annienti la sensazione di abbandono che gran parte degli anziani sta vivendo in queste ore.
«Nel nostro condominio abitano molte persone over 75. Se qualcuno di voi ha bisogno della spesa o di un farmaco o di pagare la bolletta, lo faccia presente in questo gruppo: possiamo creare una rete di buon vicinato» ha scritto Maria Rita Inglieri, madre e professionista che lavora tra Roma e Milano, rappresentante di un condominio di Montagnosa. L’idea è nata sull’esempio di un’iniziativa milanese. «Mi sono ispirata alla bellissima iniziativa “Mi prendo cura del mio vicino” e ho scritto un messaggio sulla chat condominiale di WhatsApp – racconta la Inglieri – per rendermi disponibile ad aiutare!». L’intento della campagna è sensibilizzare i cittadini a contattare i vicini di casa e aiutarli nelle piccole attività quotidiane, come andare a fare la spesa o gestire commissioni al posto loro.
Anche il mondo della moda è sceso attivamente in campo contro il coronavirus. Il gruppo Armani è intervenuto per sostenere le strutture sanitarie con maggiori casi di intubati in terapia intensiva: a fronte dell’emergenza, è stato donato un milione e duecentocinquantamila euro agli ospedali Luigi Sacco, San Raffaele, all’Istituto dei tumori di Milano, allo Spallanzani di Roma e a supporto dell’attività della Protezione civile.
Anche Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno effettuato una cospicua donazione alla “Humanitas University” per finanziare uno studio coordinato dal professor Alberto Mantovani, in collaborazione con i virologi Elisa Vicenzi e Massimo Clementi.
Ed ancora, Xiaomi (il big della telefonia made in China) e Unicredit hanno stanziato prima cinquecentomila euro, poi un altro milione e mezzo affinché la Protezione civile possa acquistare materiale utile ad affrontare l’emergenza. A distanza di qualche giorno, Intesa Sanpaolo si dice pronta a donare cento milioni ed erogare finanziamenti fino a cinque miliardi a famiglie e imprese che devono affrontare problemi di liquidità a causa del virus.
Neanche le aziende dell’industria alimentare si sono tirate indietro: Eataly ha deciso di donare una percentuale degli scontrini emessi alla ricerca di un vaccino anti-coronavirus; Coop Lombardia, Esselunga e Conad hanno attivato il servizio di spesa a domicilio per gli over 65 estendendolo, in alcuni casi, a tutti gli altri clienti.
Tra le numerose iniziative a sostegno del Paese, arriva anche quella della coppia Ferragni-Fedez che ha sensibilizzato migliaia di follower e personaggi dello spettacolo per destinare il ricavato delle donazioni al San Raffaele di Milano.
«Grazie a tutti, insieme siamo invincibili!»: così la nota influencer italiana esprime la sua gratitudine a chi ha aderito alla campagna di raccolta fondi che, in meno di ventiquattr’ore, ha raggiunto una cifra superiore ai tre milioni di euro.
Essere solidali, al tempo del coronavirus (e non solo) significa anche dividersi i pesi, ma soprattutto non essere un peso. Frasi come “Insieme possiamo farcela” e “Andrà tutto bene” riecheggeranno nelle nostre menti, quando ritroveremo il coraggio di guardarci indietro ancora una volta e il codiv-19 sarà solo un ricordo.