2017: War With Russia
Una serie di bombardamenti sulle popolazioni civili siriane provoca un flusso di migranti senza precedenti che, in breve, destabilizza la Turchia e rende la situazione in Europa prossima al collasso umanitario. Mentre a Bruxelles i vertici dell’Unione discutono il da farsi, le immagini della televisione russa mostrano i volti di alcuni marines americani catturati nel Donbass, accusati di fomentare la guerriglia antirussa. Pochi giorni dopo, manifestazioni delle minoranze russe negli Stati baltici si risolvono in un bagno di sangue dando a Mosca il pretesto per intervenire. In breve tempo, le colonne blindate della Federazione Russa travolgono le deboli difese Nato in Europa orientale dando di fatto avvio alla Terza guerra mondiale.
La serie di eventi descritta è, fortunatamente, solo la trama iniziale di un romanzo storico appena uscito nelle librerie angloamericane dall’esplicito e inquietante titolo 2017: War With Russia. La notizia in sé non desterebbe molta più attenzione dell’uscita di un ennesimo thriller sul genere di quelli a cui ci aveva abituato Tom Clancy se l’autore non fosse nientemeno che l’ex vicecomandante della Nato in Europa, il generale britannico Richard Shirreff, che ha da poco lasciato l’incarico per raggiunti limiti di età.
La posizione particolare dell’autore, pertanto, colloca il romanzo dritto nel filone della distopia militare, di cui abbondano esempi letterari soprattutto dalla metà dell’800 in poi (il tema, tra l’altro, è stato di recente oggetto di un ricco volume monografico edito dalla Società Italiana di Storia Militare http://www.societaitalianastoriamilitare.org/quaderni/2016%20Quaderno%20Sism%202016%20Future%20Wars.%20Pdf%20a%20colori.pdf), e non ha mancato di sollevare vivaci –e preoccupate- reazioni in tutto il mondo. Il dibattito sulle “guerre future” è infatti non solo alla base di ogni seria pianificazione strategica ma è anche parte integrante del processo di trasformazione tecnologica in campo militare: serve, da un lato, a identificare preventivamente le minacce teoriche che un Paese può trovarsi ad affrontare, dall’altro è una sorta di autovalutazione costante dell’efficienza bellica da parte della comunità politico-militare.
Il romanzo, dunque, dal piano della fiction è stato immediatamente trasposto su quello storico dove è stato interpretato come un importante indizio di cosa si agiti all’interno della Nato di fronte alle rinnovate tensioni con la Russia negli ultimi anni a questa parte. Ne è venuto fuori un quadro a tinte forti dove sul banco degli accusati si trovano non tanto la Russia, il cui presidente Vladimir Vladimirovich appare la perfetta trasposizione di Putin in un film di James Bond nei panni del cattivo di turno, quanto i dirigenti europei colpevoli di non aver saputo prevedere e preparare la guerra. Anzi, anche a guerra ormai iniziata i politici inglesi e tedeschi appaiono ciechi e riluttanti a prendere atto dei propri errori.
Non sorprende quindi che il romanzo sia stato giudicato una sorta di j’accuse preventivo, un duro monito alla classe dirigente occidentale sui rischi militari che minacciano l’Europa ma anche la conferma di come, ai piani alti della Nato, vengano percepite -e giudicate- le differenze tra le posizioni dei vari governi nei confronti di Mosca. D’altro canto sono note le resistenze in ambito EU alle sanzioni contro la Russia volute soprattutto dalla dirigenza Usa e gran parte del mondo politico statunitense, con le notevoli eccezioni di Henry Kissinger e Stephen Cohen, dopo i fatti di piazza Maidan e di Crimea così come diverse appaiono le posizioni nei confronti del conflitto siriano, altro punto di frizione con il Cremlino. Lo stesso autore però, intervistato dopo l’uscita del volume, ha ammesso esplicitamente che “the political and military decisions we are currently making, and have already made, are now propelling us into a future war with Russia” (https://next.ft.com/content/085fd2c6-1db3-11e6-b286-cddde55ca122). Certo, nel romanzo i cattivi sono i russi e su di essi ricade la “colpa” della guerra. Ma nelle parole dell’autore si può scorgere anche una velata critica a tutta la politica occidentale nei confronti di Mosca, non solo perché a una politica aggressiva non corrisponde un adeguato piano di spesa militare.
Per fortuna, Putin non ha ancora vestito i panni di Vladimir Vladimirovich, così come gli impulsi più intransigenti serpeggianti in taluni settori politici occidentali sono ancora mediati da chi ha a cuore la pacifica convivenza nel nostro continente. I motori dei carri armati russi ai confini orientali della Nato restano spenti. Solo fiction, dunque. Speriamo continui a restare tale.
Emilio Gin