Babbaluci a picchi pacchiu: una tradizione culinaria millenaria
Le lumache insieme allo sfincione costituiscono i cibi simbolo del festino palermitano. I babbaluci a picchi pacchiu troneggiano sulle bancarelle e nelle aggregazioni caotiche di tavoli e di panche dove si consuma il migliore cibo di strada palermitano insieme allo sfincione asciutto scarso d’ogghiu e chinu di pruvulazzu. L’abilità del bravo mangiatore di lumache sta nel realizzare nella parte posteriore del guscio un buchetto e, contestualmente, dare un forte succhione per far scivolare la lumaca in bocca.
La colorata e fantasmagorica kermesse gastronomica del Festino e il consumo delle lumache affonda le sue radici in un lontano passato e precisamente nella tradizione gastronomica greca e romana. I romani erano così ghiotti di lumache da spingerli a creare dei veri e propri vivai per l’allevamento delle chiocciole dai quali si rifornivano i principali mercati dell’impero. Plinio il Giovane attesta che nelle provincie dell’Impero romano si allevavano lumache con farine di cereali ed erbe aromatiche e che si consumavano, dopo averle bollite o arrostite o fritte, condite con il garum (salsa liquida ricavata da interiora di pesce e pesce salato) e aromatizzate con pepe o cumino. La lettura dell’Atlante linguistico della Sicilia testimonia come la tradizione gastronomica romana, legata al consumo alimentare della lumaca, si sia radicata in Sicilia e sia sopravvissuta nei secoli. Le tecniche di cottura rimangono immutate, cambiano i condimenti che si adattano al mutamento dei gusti e all’introduzione di nuove piante alimentari. Determinante fu l’uso della salsa di pomodoro che si afferma tra la fine del ‘700 e nell’800.
In Sicilia possiamo raggruppare le diverse ricette per la preparazione delle lumache in quattro tipologie.
Lumache bollite: dopo averle fatte spurgare in capaci ceste si bollono e poi si condiscono con un intingolo a base di olio, aglio, pomodoro e basilico. Una variante è quella che prevede l’eliminazione del pomodoro spellato e l’uso del prezzemolo.
Lumache fritte: la lumaca bollita si passa in padella per friggerla in abbondante olio utilizzando diverse varianti. La mollica e la sarda salata aggiunta a fine cottura è una possibilità, oppure si rifiniscono con pomodorini e cipolla.
Lumache arrostite sulla brace e poi passate in un battuto di olio, aglio e origano rappresentano una ghiottoneria. In particolare questa cottura è dedicata ai cosiddetti crastuni (lumache grosse e carnose).
Lumache al forno costituiscono la variante che si avvicina alla cucina francese: si bollono, con uno stecchino si svuotano e si tritano con formaggio, mollica e uovo duro e con questo impasto si riempiono i gusci vuoti da rimettere al forno e gratinare come le cozze.
Ognuna di queste ricette ha delle varianti che differiscono da area ad area. Le lumache assassunati di Calamonaci costituiscono un esempio significativo di come costruire con le lumache un intingolo raffinato. Le lumache si lasciano spurgare per una giornata dopodichè si lasciano in acqua in modo da fare uscire la maggior parte dei molluschi dal guscio. Si fa soffriggere nell’olio la cipolla e quindi si versano nel tegame le lumache dopo averle asciugate. Si sfumano con del vino e si aggiunge la salsa di pomodoro e aromi (prezzemolo, menta e alloro). Una patata a tocchetti rende il sugo più denso, mentre il sale e un pizzico di peperoncino saranno aggiunti a piacere in modo da non alterare l’armonia dei sapori.
Una tradizione culinaria millenaria che si affianca alla riscoperta dell’allevamento delle lumache che fa della Sicilia una regione all’avanguardia. Speriamo che al più presto accanto alla sagra del Cuscus o del carciofo si affianchi anche quello della lumaca.
Ninni Giuffrida