Schiavi antichi e moderni
Quando si pensa in genere alla schiavitù vengono in mente gli schiavi neri delle piantagioni dell’ America del Sud, ma la schiavitù era molto diffusa anche nell’area del Mediterrraneo . Negli ultimi decenni le ricerche sull’argomento si sono estese e alcuni studiosi hanno denunciato il lungo protrarsi del silenzio e delle reticenze in proposito. Non a caso Una storia taciuta è il titolo del primo paragrafo di Schiavi musulmani nell’Italia moderna (1999) di Salvatore Bono, uno dei più importanti studiosi del settore.
Era stato Fernand Braudel che nel 1946 ne La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, aveva richiamato l’attenzione sulla questione e ancora nella seconda edizione nel 1966 vi aveva dedicato maggiore spazio. Ora invece disponiamo di contributi importanti (Motta, Fiume, Pomara Severino e altri ). Le ricerche di Matteo Gaudioso e di Giovanni Marrone ci hanno fatto capire quanto fosse diffusa la schiavitù domestica in Sicilia. Ma anche altrove il possesso di schiavi era molto esteso e considerato un segno di distinzione sociale.
A Roma intorno al 1530 il cardinale Ippolito d’Este, teneva un «vero serraglio, per pura grandigia e trastullo, dove raccolse Numidi, Tartari, Etiopi, Indiani, Turchi, che tutti insieme parlavano più di venti lingue». Si vociferava pure che il fratello Alessandro fosse figlio di una schiava mora e di papa Clemente VII.
Aristocratici, principi, vicerè, cavalieri di Malta che praticavano la corsa con disinvoltura e successo, non disdegnavano di farsi ritrarre con i loro schiavi come nel dipinto di Van Dyck che raffigura nel 1623 la patrizia genovese Elena Grimaldi Cattaneo; e gli esempi potrebbero continuare a dimostrazione di come fosse diventata una vera “moda”. Gli stessi pittori tenevano schiavi che usavano anche come modelli.
Il palermitano marchese di Villabianca parla addirittura di una forza di frenesia cioè di una smania di possedere schiavi da parte dei nobili palermitani nel secolo XVI e cita molte famiglie che ne avevano un gran numero. La quantità di schiavi decrebbe nel tempo, ma ancora nel XIX secolo si trovavano schiavi siciliani in Barberia e schiavi musulmani in Sicilia.
I principali porti dove arrivavano gli schiavi in Sicilia erano Messina, (dove c’era una confraternita di schiavi neri), Palermo, Trapani, ma anche Siracusa. Gli schiavi costituivano una “merce” ambita anche perchè facilmente spendibile dal momento che si potevano vendere al bisogno con profitto.
Il tema della schiavitù mediterranea risulta di grande interesse in un periodo in cui nuove schiavitù si fanno strada nella nostra società: dalle ragazze venute dall’Africa o dall’Europa dell’Est obbligate con minacce e maltrattamenti a vendersi nelle strade, ai lavoratori extracomunitari dell’agricoltura costretti a lavorare fino allo sfinimento e a vivere in contesti di grande disagio. A questa umanità, tenuta in condizioni che definire di schiavitù non è eccessivo, si aggiungono infine gli odierni migranti considerati “merce” da chi fa fortuna sulle loro vite spesso miseramente concluse in mare aperto, quando per un qualsiasi motivo i barconi, dove sono stipati in condizioni sub umane, non riescono a concludere il viaggio.
Maria Concetta Calabrese