La città appestata
Reclusione, modelli inibitivi e pratiche di contenimento (non solo) in pandemia
Foucault, in “Sorvegliare e punire”, introduce l’analisi di due strategie diverse atte a fronteggiare un evento catastrofico come quello della “pandemia”: il modello della città colpita dalla lebbra e quello della città flagellata dalla peste.
I due modelli riconducono ad altrettante trasformazioni sociali di epocale importanza: il primo al “grande internamento” e il secondo alla nascita del dispositivo disciplinare. Il prototipo di società che cerca di combattere la diffusione della lebbra impone tattiche di reclusione e di isolamento dei malati, che vengono totalmente esclusi ed esiliati dal resto del corpo sociale. La società appestata, invece, classifica e divide rigorosamente, inquadra ogni singolo individuo che ne fa parte, istituendo un apparato repressivo e organizzato in cui a ciascuno viene assegnato in un preciso spazio chiuso, sorvegliato, e in cui si registra ogni tipo di informazione e di potenziale inibizione.
La città appestata diviene il nuovo modello del potere, l’emblema più significativo di una società punitiva. Foucault, quindi, individua la differenza tra i due schemi – da una parte l’esclusione, dall’altra la divisione – e sottolinea come, a partire dal XIX secolo, si siano avvicinati reciprocamente, fondendosi nel modello disciplinare. Quest’ultimo, in qualunque forma si presenti, risulta sempre composto da due istanze. Una che presuppone una divisione binaria (il normale e l’anormale; il pazzo e il non pazzo); l’altra che pone coercitivamente la “norma” e i meccanismi che la regolano.
Foucault individua, quindi, nella prigione l’esempio più significativo di tale modello disciplinare e la sua realizzazione più estrema. Nonostante si applichi ad una molteplicità di dispositivi di potere, il sistema carcerario costituisce dunque la sua massima rappresentazione. Tuttavia questa struttura detentiva non deriva dal nulla: la forma prigione è, secondo il filosofo, già preesistente alla sua utilizzazione nell’apparato penale.
Lo sviluppo di un apparato che agisce sul corpo e tende a formare individui docili, sottomessi e produttivi ha costituito le premesse per la nascita della prigione: il luogo in cui il potere di punire si esercita non più a viso aperto, come nei supplizi, ma in maniera silenziosa e maggiormente efficace producendo un individuo rispettoso nei confronti dei canoni imposti dalla società e dal potere.
Foucault, nella sua analisi sulla prigione riprende, il tema del Panopticon riconoscendo in esso il modello privilegiato del sistema detentivo. Il dispositivo del panopticon è stato ideato intorno alla fine del Settecento da Jeremy Bentham, che introduce nella filosofia politica del tempo il principio secondo cui il potere sarebbe dovuto essere invisibile ed inverificabile. Questa figura architettonica potrebbe essere applicata a qualsiasi tipo di apparato che voglia esercitare un dominio efficace su un certo numero di individui mantenendo una sorveglianza efficace ma non visibile. Il dispositivo assume una grande importanza poiché, grazie al suo meccanismo, migliora l’efficacia e la capacità di penetrazione del potere nel comportamento degli individui e permette una maggiore conoscenza delle relazioni di potere: “il panoptismo costituisce il nuovo principio di una nuova anatomia politica in cui l’oggetto e il fine non sono il rapporto di sovranità ma le relazioni disciplinari”.
Una delle conseguenze principali della “società disciplinare” riconosciuta da Foucault riguarda la formazione di una “società di delinquenti” da non considerare come un fallimento ma una conquista. È nota l’esigenza delle classi dirigenti di gestire le illegalità attraverso la formazione di un nemico comune; oggi questa tendenza si è molto attenuata con un relativo ridimensionamento del ruolo delle prigioni. Mentre in passato c’era necessità di terrorizzare la gente per ogni piccolo reato, oggi si è in grado di esercitare un potere molto più complesso. Questo si manifesta in ogni atto della società contemporanea con il beneficio di raggiungere un punto ottimale di controllo delle illegalità minori in modo che da, una parte, esse non oltrepassino il limite consentito e, dall’altra, non impediscano la nascita di effetti vantaggiosi dal punto di vista morale, economico e politico. La delinquenza e la pratiche illegali – così come, dall’altra parte, le strutture organizzate della società – si dimostrano veicoli preziosi per ottenere un controllo sempre maggiore su ogni singolo individuo.
Forse per questo “la città appestata” diviene il luogo dell’esercizio del potere, in cui la quarantena coincide con uno spazio abitato da una moltitudine di esseri silenziosi, mansueti protagonisti involontari di un quadro di Edward Hopper, il pittore che dipingeva il silenzio.
Foucault, M., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino Einaudi, 1976.