Il cinema e le vacanze
Dagli anni Sessanta a oggi: ecco come cambia la visione dell’estate attraverso la pellicola
Dalla villeggiatura al viaggio iniziatico, passando per le ferie d’agosto.
La sociologia moderna ci insegna a guardare l’arte (compreso il cinema, ovviamente) per conoscere meglio il nostro mondo: scoprendo come, attraverso il piccolo e il grande schermo, l’idea che abbiamo di “pausa estiva” sia radicalmente cambiata nel corso dei decenni.
In particolare in Italia, dove l’evoluzione del genere “vacanziero” è partita dal dramma, alleggerendosi progressivamente fino a sfociare nella commedia. Escludendo i documentari e le pellicole propagandistiche sulle colonie estive del regime fascista, il dopoguerra ed il boom economico rappresentano due momenti contrapposti per le estati del cinema nostrano.
Analizzando come esempi “Domenica d’agosto” (Luciano Emmer, 1950), “Il sole negli occhi” (Antonio Pietrangeli, 1953), “La spiaggia” (Alberto Lattuada, 1954) e “Il sorpasso” (Dino Risi, 1962), assistiamo ad uno spaccato dell’Italia di quegli anni, che passa rapidamente dal dramma della società post bellica (con Pietrangeli) all’analisi della vacuità del Paese del boom economico (con Risi).
Si osserva il netto passaggio dalla matrice neorealista del nostro cinema, agli esordi della commedia all’italiana. Questo meccanismo evolutivo, di confronto tra cinema e società, ci aiuta a capire come siamo cambiati negli ultimi settant’anni, passando dalla villeggiatura borghese alle feste del Bandiera Gialla. Dalla corsa sfrenata alle agognate ferie degli anni Settanta, descritte ne “Il secondo tragico Fantozzi” (1976), ai momenti nostalgici dei favolosi anni Sessanta raccontati in “Sapore di mare” (1983). Quest’ultima pellicola – diretta da un Carlo Vanzina non ancora sprofondato nella grottesca comicità dei cinepanettoni – rappresenta per molti versi un punto di distacco tra passato e presente. Con questo film, il “cinema della vacanze” si spezza in due tronconi, con una nuova realtà commerciale che cerca di discostarsi dalle precedenti produzioni culturali, puntando sul puro intrattenimento.
Indubbiamente, qui inizia il cammino verso la nascita del genere demenziale, ma bisogna riconoscere Vanzina abbia contribuito anche ad un cambiamento nel modo di raccontare attraverso le immagini. Avvicinando, un passo dopo l’altro, la narrazione in tre atti, di stampo prettamente cinematografico, a quella in quattro atti tipica della serialità televisiva. È proprio il regista a sancire definitivamente questa trasformazione con “Piccolo grande amore” (1993), un prodotto narrativamente perfetto per il passaggio televisivo. Per comprendere meglio questa differenza, basta confrontare il film che lanciò Raul Bova con “Caro Diario” di Nanni Moretti. Pellicola episodica, quest’ultima, uscita lo stesso anno, nella quale il regista ci accompagna e ci guida con la sua vespa in una vacanza tra le isole siciliane, mostrandoci la resistenza di un cinema italiano meno commerciale e maggiormente ragionato.
Ad un certo punto, dopo il 1998, la cinematografia estiva muta ancora, lasciando andare le precedenti spinte divergenti, culturale e popolare, per adottare lo stesso approccio della cinematografia in voga negli USA e nel resto d’Europa. Il viaggio iniziatico diventa quindi un elemento fondamentale del racconto, partendo dall’atipico “Viola bacia tutti” di Giovanni Veronesi (uscito proprio in quell’anno), proseguendo nel 2004 con l’adolescenziale “Che ne sarà di noi”, sempre di Veronesi.
Fino ai due film che chiudono questa carrellata: “Basilicata coast to coast” di Rocco Papaleo (2010) e “Immaturi” di Paolo Genovese (2011), che reinventano i cliché del genere, consegnandoci un cinema estivo, narrato sempre con i toni della commedia, meno adolescenziale e sotto certi aspetti indubbiamente più maturo.