Palermo e gli eventi alluvionali
Perché la città risulta così fragile
Quest’anno, per Palermo ed i suoi abitanti non è stato certo il miglior Fistinu. Lo scorso 15 luglio infatti, la città ha dovuto rinunciare ai festeggiamenti di una delle tradizioni più sentite dai palermitani. In più, si è imbattuta in un evento piovoso di altissima intensità che ha provocato ingenti danni.
I report del Servizio Informativo Agro-metereologico Siciliano (SIAS) della Regione riportano una quantità di 134 mm di pioggia misurata dalle stazioni pluviometriche. Basti pensare che 1 mm di pioggia equivale ad 1 litro d’acqua caduto su una superficie di 1 m2. E che la città occupa un’area di circa 160 milioni di m2: la quantità d’acqua che verrebbe fuori, con un semplice calcolo matematico, è davvero enorme.
Palermo, inoltre, si assesta su una conformazione geomorfologica ad elevato rischio idrogeologico (https://www.lidentitadiclio.com/dissesto-idrogeologico/), dato che ricade all’interno del bacino idrografico del fiume Oreto e della pianura o piana alluvionale. Il bacino idrografico di un fiume, molto semplicisticamente, rappresenta tutto il territorio che viene drenato dal fiume stesso e dai suoi affluenti, raccogliendo quindi tutte le acque dilavanti che confluiscono nel corso d’acqua principale.
La piana alluvionale, invece, è la zona circostante del fiume creata negli eventi di straripamento o inondazione, dove vengono depositati i vari sedimenti trasportati dal fiume stesso. Tutta quest’area pianeggiante sulla quale è adagiata la città è conosciuta come Conca d’oro (Fig. 1).
Quella che vediamo oggi però è ormai la lontana parente della Conca d’oro “paradisiaca” descritta dallo storico Fernand Braudel. L’abnorme cementificazione dell’area negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale diede il via ad una espansione urbanistica incontrollata, stravolgendo irreversibilmente le grandi distese naturalistiche che la caratterizzavano. Evoluzione urbanistica che viene conosciuta come “sacco della Conca d’oro”, figlia di una pianificazione territoriale controllata da mafie, politica ed affari.
La storia ha una memoria molto lunga ed è per questo che a volte risulta necessario fornire informazioni che aiutino a comprendere il presente. Non tutti sanno che l’evento alluvionale più catastrofico registrato in Italia si verificò proprio a Palermo nel 1557, dove persero la vita più di duemila persone. La catastrofe fu generata dall’esondazione dei due fiumi storici palermitani, il Kemonia ed il Papireto.
Oggi questi corsi d’acqua scorrono sotto i nostri piedi e molti non ne sono a conoscenza: proprio perché sepolti (“tombati” il termine tecnico) dalla rapida espansione urbanistica della città. Il recente evento alluvionale dello scorso 15 luglio quindi va inquadrato in un’ottica storico-naturalistica più ampia. È chiaro che Palermo ha manifestato una certa carenza nella capacità di deflusso delle acque, ma bisogna riflettere al fatto che, cementificando, viene a mancare l’infiltrazione di queste acque e si rendono vulnerabili all’allagamento aree della città che in passato non lo erano. Se a questo aggiungiamo che l’uomo è stato capace di seppellire due fiumi, possiamo darci delle risposte da soli.
L’artefice di tutto è sempre stato l’uomo, che con il proprio desiderio incontrollabile di dominare la natura, si è appropriato di spazi che non gli competevano. La natura è perpetua, infinita. Bisogna adattarsi ad essa e non controllarla. “Mitigare” è la parola chiave e le decisioni devono essere affidate a professionisti competenti capaci di conoscere i fenomeni geologici (geologi) ed attuare interventi sul territorio (geotecnici ed ingegneri): per costruire quindi un Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) che possa pianificare al meglio la difesa dal rischio del territorio.
Se continuiamo a dare la parola ai non addetti ai lavori, che sfruttano questi tragici momenti per i propri interessi, rischiamo di andare in contro ad un futuro incerto dove la scarsa informazione e la poca professionalità faranno da padrone.