A proposito di “cose zingare”
Questa immagine, che si trova nel Catalogo on-line del British Museum di Londra, raffigura – come recita il suo titolo – una Zingana, una zingara cioè del secolo XVII, che per il suo aspetto ‘esotico’ o comunque ‘alternativo’ rispetto ai costumi dell’epoca, aveva attratto l’attenzione di chissà quale artista.
Non fu l’unico. Basti pensare a Caravaggio e al suo quadro raffigurante la “Buona ventura”, o a Pieter Bruegel il Vecchio nel Raduno degli zingari nel bosco del Museo del Prado a Madrid o ne Il censimento di Betlemme che si trova Museo reale delle belle arti di Bruxelles, che hanno interpretato, ciascuno a suo modo, il medesimo soggetto: gli zingari e il loro variegato modo di vita itinerante.
Speso oggi al centro del’attenzione dei media per questioni legate a una qualche emergenza delle politiche sociali e di integrazione che li riguardano, quando non per affari e male affari della microcriminalità, gli zingari e le «cose zingare» hanno oramai guadagnato, seppure ancora a fatica, una loro precisa collocazione di profilo ‘alto’ anche nel panorama degli studi storici, in Italia (Zingari: una storia sociale, «Quaderni storici», 146, 2014) e all’estero (D. Cressy, TROUBLE WITH GYPSIES IN EARLY MODERN ENGLAND, in The Historical Journal, 59/1, 2016). Le prospettive di osservazione intrecciano il carattere etnografico con l’approccio proprio della storia culturale, la ricerca iconografica con quella linguistica, la storia delle minoranze e dei “marginali” con quella religiosa e sociale, l’intreccio di tutti questi approcci con la ricerca storica rigorosa, condotta con la metodologia che le è propria e che non presume delle categorie precostituite, ma mira piuttosto a ricostruire, sulla base di dossier documentari coerenti, le dinamiche di interazione tra i soggetti storici e il contesto. Ne sono emersi così aspetti interessanti e ricorrenti, specie nella storia del Mezzogiorno peninsulare ed insulare, circa le forme di un loro “insediamento dinamico”, tra XVI e XIX secolo, in spazi – montagne, pascoli boschivi, aree portuali -, in cui attivarono risorse proprie dell’economia di transito, grazie a pratiche produttive (commercio itinerante di bestiame e attrezzi agricoli) capaci di convivere, se non di promuovere, la mobilità di gruppi e individui, ma non del tutto assimilabili a quella dei miserabili o dei vagabondi.
Storie altrettanto affascinanti legate alla formazione e alla storia dei loro cognomi (Zingaro, Cingari, Zingarelli, de Zingaro, ma anche Morelli o anche Martelli,), desunti dalle modalità con cui essi stessi si presentavano nei luoghi ove arrivavano o dalla loro attività di fabbri ferrai e dagli attrezzi utilizzati per l’esercizio di quel mestiere. Storie, nell’Inghilterra di età elisabettiana, che alternarono momenti di forte esclusione e repressione a momenti e opportunità di inclusione grazie all’esercizio di un lavoro stabile.
Esempi di storia che, mai come in questo caso, è in grado di avvicinare la cerchia degli studiosi di settore al pubblico più vasto dei lettori ‘colti’, o anche semplicemente incuriositi.