Gli Abruzzi nella storia del Mezzogiorno moderno, di Giovanni Brancaccio. Alla scoperta di un territorio che seppe ispirare l’Italia
Le edizioni Biblion di Milano hanno recentemente pubblicato – nella collana di testi e studi Adriatica Moderna – Gli Abruzzi nella storia del Mezzogiorno moderno, di Giovanni Brancaccio, professore ordinario di storia moderna all’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara. Il ponderoso volume di oltre 500 pagine, dedicato alla vicenda plurisecolare della regione aprutina (dalla fine del Medioevo all’Unità italiana), raccoglie i saggi che l’autore ha scritto in più di vent’anni di attività scientifica.
Editi in occasione di svariati appuntamenti culturali, i contributi mostrano un’unità di fondo che scaturisce dai risultati più cospicui dell’incessante lavoro di ricerca profuso da Brancaccio. Che appare nella doppia veste di studioso tra i più rilevanti della storia del Mezzogiorno d’Italia nell’età moderna e contemporanea e autorevole rappresentante di quella tradizione storiografica che si richiama a Giuseppe Galasso e Rosario Romeo, nel solco della lezione etico-politica di Benedetto Croce.
L’opera fornisce le coordinate di fondo della storia dei due Abruzzi (Ultra e Citra) nel quadro della lunga durata del Regno di Napoli, dall’episodio dei Vespri siciliani – quando, alla fine del Duecento, esso separato dalla Sicilia normanno-sveva – alla drammatica fine dell’esperienza borbonica a metà del XIX secolo. Dagli spagnoli agli austriaci, dai Borbone ai napoleonidi e di nuovo ai Borbone fino all’avvento dello Stato unitario sotto l’egida sabauda, gli Abruzzi moderni risultarono pienamente integrati nella vita complessiva del Regno. Da questo punto di vista, nell’ambito del processo di definizione dello spazio meridionale, ricoprirono un ruolo certamente non secondario sul piano dell’articolazione delle strutture socio-economiche e dello svolgimento di particolari funzioni militari.
Se il carattere periferico della regione adriatica non simboleggiò affatto la marginalità di un’entità territoriale composita – bensì il suo pieno e diretto coinvolgimento nelle dinamiche della nazione napoletana – non va d’altra parte trascurato il dato saliente e distintivo, e cioè la configurazione economica e giurisdizionale della feudalità. Classe dirigente in un quadro dipendente dalla soverchiante superiorità della sovranità regia, che fu artefice della sua trasformazione da potenza semisovrana in potere delegato, a partire dal dominio degli Asburgo e dall’attuazione nei primi decenni del Cinquecento della via napoletana allo Stato moderno da parte dell’imperatore Carlo V. Una via fondata, com’è noto, sul compromesso tra gli interessi periferici dei ceti dominanti (il baronaggio, appunto) e le esigenze strategiche del potere centrale.
L’autore mette in luce, infatti, come gli Abruzzi rappresentassero un modello sociale, nel quale il regime signorile risultò il fattore determinante su cui si impiantò nel basso medioevo e si resse nell’intero arco dell’era moderna il peculiare carattere dell’identità regionale.
Anche la Chiesa, del resto, fu determinante nel delineare l’assetto dei poteri locali. Le sue strutture organizzative e gestionali, la folta presenza di clero secolare e clero regolare, il pieno e incisivo inserimento negli ingranaggi funzionali del sistema nobiliare attraverso la gestione di proprietà e rendite permisero a questo ceto di porsi al centro della vita pubblica regionale.
Altrettanto degno di attenzione risulta nel volume il tema del policentrismo urbano. Esso si accompagna giustamente al ruolo identitario di città dalla evidente vocazione commerciale, come dimostrarono gli esempi dell’Aquila, Chieti, Lanciano, Sulmona, Pescara, Ortona e Vasto.
Brancaccio ricostruisce in maniera esaustiva le tappe cospicue della storia moderna degli Abruzzi, ponendo in rilievo non solo gli effetti sul tessuto locale della crisi del Seicento ma anche i termini decisivi della ripresa settecentesca, e dà conto del bilancio fallimentare del progetto riformatore nell’età dell’illuminismo. Lo spunto è costituito dagli eventi tragici della svolta repubblicana del 1799 e la prova riformatrice del decennio francese, che tanto servì a mutare dal punto di vista istituzionale, amministrativo e sociale l’ordine tradizionale dell’antico regime, con conseguenze senza dubbio risolutive per l’avvio del processo risorgimentale italiano.
È interessante notare, sotto questo profilo, come l’autore sottolinei la lenta ma cruciale formazione di un sempre più nutrito nucleo borghese abruzzese, che nell’Ottocento borbonico, fra molteplici difficoltà ma fideistiche speranze, divenne avanguardia intellettuale. Contribuì inoltre a preparare il terreno fertile della rivoluzione nazionale di impronta liberale, aprendo la strada all’avvento del Regno d’Italia nel 1861, ma assistendo pure all’inevitabile principio della questione meridionale.