Abramo Lincoln, il presidente che abolì la schiavitù
Abramo Lincoln è considerato sia dalla storiografia ufficiale che dall’opinione pubblica in generale, attraverso la classifica storica dei presidenti degli Stati Uniti d’America, uno dei più importanti e popolari al tempo stesso.
L’operato di Abraham Lincoln – conosciuto in Italia con il nome di Abramo – ha avuto una duratura influenza sulle istituzioni politiche e sociali degli Stati Uniti negli anni. È stato inoltre il primo presidente ad essere assassinato: era il 14 aprile del 1865.
Abramo Lincoln e la questione della schiavitù
La questione della schiavitù va collocata a fianco della costruzione “fisica” degli Stati Uniti, attraverso la spinta verso ovest, una fame di conquista che accomunava i due partiti di matrice opposta: i democratici fondati da Andrew Jackson e i repubblicani di Abramo Lincoln. Fra il 1730 e il 1807, circa 320mila neri erano stati rapiti dalle loro terre e trasportati dai commercianti di schiavi per coltivare le piantagioni nordamericane. Un vero e proprio popolo di schiavi – considerato l’elevato numero di persone da cui era composto – che raggiungeva le 750mila unità nel 1790 e i 3,5 milioni nel 1860.
Il rapido aumento degli schiavi era dovuta allo sviluppo della monocoltura del cotone. Ma, se gli Stati del nord e del centro di erano schierati contro la schiavitù, nel sud, invece, questa pratica continuava a costituire la base della produttività.
Il X emendamento della Costituzione – che lasciava gli Stati liberi di legiferare su questioni politiche di maggiore interesse – aveva influito notevolmente sulla vita politica dei territori. Schiavisti da un lato e abolizionisti dall’altro facevano pressione perché l’amministrazione locale si dichiarasse ciascuna dalla loro parte. Nel 1820, l’entrata negli Usa del Missouri schiavista fu compensata da quella del Maine abolizionista.
Si decise, allora, di stabilire una linea immaginaria, che correva a 36° 30’ di latitudine: al di sopra di questo confine potevano essere solo Stati abolizionisti, al di sotto solo gli schiavisti. Tutto funzionò finché, nel 1850, la California non entrò nell’Unione: nonostante si trovasse a sud della linea definita dal “compromesso del Missouri”, si schierò contro la schiavitù. Fu successivamente abolito il sistema della latitudine.
Le origini dello schiavismo e il concetto di “buon selvaggio”
Intorno al XV secolo, alcuni Stati europei iniziarono ad espandersi oltremare, inizialmente in Africa ed in seguito in Asia e nelle Americhe. Generalmente cercavano risorse minerarie (come l’argento e l’oro), terra (per la coltivazione di raccolti da esportare, come il riso e lo zucchero e per la coltivazione di altri generi alimentari per sfamare le comunità minerarie) e manodopera (per lavorare nelle miniere e nelle piantagioni). In qualche caso i colonizzatori uccisero i popoli indigeni, in altri casi la gente veniva incorporata in questi territori in espansione fungendo da forza lavoro.
Sin dai primi contatti con la gente autoctona, gli europei non avevano intenzione di riservare un trattamento come loro eguali, politicamente o economicamente, ed anzi iniziarono a riferirsi a loro come essere inferiori socialmente e psicologicamente. Con questo ed altri pensieri similari, gli svilupparono la nozione del primitivo e del selvaggio. Definizioni che legittimarono di fatto genocidio e l’etnocidio, ma anche la dominazione europea. Queste “teorie” si estesero ai popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania mentre il colonialismo europeo, il neocolonialismo e l’imperialismo si espandevano.
Diverse furono le testimonianze di chi vide le catene, le torture e i morti accatastati, e da queste esperienze ne trasse insegnamento per una redenzione spirituale come il caso di John Newton.
E così, secondo alcune fonti, la creazione del concetto del Buon selvaggio può essere servita, in parte, come tentativo di ristabilire il valore degli stili di vita degli autoctoni e delegittimare gli eccessi imperialistici, in modo da controbilanciare le inferiorità politiche ed economiche supposte. Quello del Buon selvaggio è quindi un mito basato sulla convinzione che l’uomo in origine fosse un “animale” mite e pacifico e che solo successivamente, corrotto dalla società e dal progresso, diventasse malvagio.
Le sue qualità: vivere in armonia con la natura, la generosità, l’altruismo l’innocenza e l’incapacità di mentire, la fedeltà, la salute fisica, il disdegno della lussuria, il coraggio morale, la saggezza innata e spontanea. In sostanza, non c’è nulla di buono o di cattivo, finché la mente umana non lo rende uno o l’altro.
Il filosofo Jean-Jacques Rousseau è colui che ha contribuito più di altri a creare la figura del buon selvaggio. La frase iniziale del suo Émile o dell’educazione (1762) è: «Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo».
Gli schiavi d’America
Nel periodo che intercorre tra il XVI e il XIX secolo si stima che circa 12 milioni di africani siano stati trasportati nelle Americhe per essere impiegati come forza lavoro nei campi.
Il Congresso federale approvò nel 1793 il cosiddetto Fugitive Slave Act (ossia “Legge sullo schiavo fuggitivo”), e, nel 1850, la Fugitive Slave Law, con i quali si regolava la restituzione degli schiavi fuggitivi ai loro rispettivi proprietari. In altre sedi il principio di intolleranza della schiavitù venne meno per via delle decisioni della Corte suprema.
Gli schiavi cercavano di opporsi alla prigionia con ribellioni e la non collaborazione nei lavori, e alcuni riuscivano a scappare negli Stati in cui lo schiavismo era stato già abolito, o in Canada, favoriti dalla Underground Railroad cioè la rete ferroviaria sotterranea che segnava itinerari segreti e luoghi sicuri per fuggire. Gli avvocati che erano a favore dell’abolizione dello schiavismo ingaggiavano dibattiti politici in cui si richiamavano i principi morali che tale pratica violava, e incoraggiavano l’istituzione di porti franchi liberi dallo schiavismo man mano che i territori verso ovest venivano occupati.
La disputa morale sullo schiavismo fu uno dei principali motivi di attrito che portò alla guerra di secessione americana.
Guerra civile americana
Il dualismo americano che imperava nei primi decenni dell’Ottocento vedeva confrontarsi un nord formato da ceti produttivi creati dal commercio e dall’industria manifatturiera e un sud agricolo, formidabile esportatore di cotone, dove la pratica della schiavitù e il potere dei proprietari terrieri disegnavano il profilo di una società ancora tradizionale. D’altronde cotone, tabacco e grano erano le principali voci dell’export statunitense. Ma il sud restava in paragone, il più povero, distante anni luce dalla metropoli di New York.
Per proteggere la propria industria dalla concorrenza europea, l’Unione impose forti dazi sulle merci importate; come ritorsione, i prodotti provenienti dagli Stati del sud, furono ostacolati sui mercati del vecchio continente. I territori “schiavisti”, poi, rivendicavano il diritto di colonizzare le terre dell’ovest, mentre quelli del nord avrebbero voluto che ad abitarle fossero solo contadini liberi. La questione dello schiavismo creò un forte movimento d’opinione, diffuso anche in Europa, in senso abolizionista.
La guerra di secessione
Gli Stati del sud, allora, decisero di rompere il patto che li aveva uniti a quelli del nord e costituirono una Confederazione autonoma: era l’inizio della secessione. Abramo Lincoln, presidente dell’Unione, si vide costretto a muovere guerra ai ribelli. Il conflitto si caricò però anche di ideali per ottenere un ampio consenso popolare, si schierò contro lo schiavismo e sancì l’emancipazione degli schiavi di colore nel 1863. Agli occhi dell’opinione pubblica questa iniziativa confermò gli Stati Uniti come Paese mosso da grandi passioni civili e procurò all’esercito una massa rilevante di volontari neri.
La guerra fu lunga e sanguinosa e con una massiccia applicazione della tecnologia allo sforzo bellico, ma fu combattuta essenzialmente in pochi Stati. I confederati – peggio armati ma guidati da un valoroso comandante, il generale Robert Lee – riuscirono a battere ripetutamente gli unionisti, pur dotati di mezzi superiori. Solo quando i nordisti riuscirono a riportare una vittoria decisiva a Gettysburg (1863), le sorti del conflitto cominciarono a capovolgersi, fino al collasso dell’esercito sudista nell’aprile del 1865.
I caduti erano stati oltre 680mila, e la parte vinta fu ridotta ad una condizione di subalternità economica che durò fino al XX secolo.
Abramo Lincoln e il Proclama di emancipazione
Nel 1863, Lincoln emanò il Proclama di emancipazione dei neri, un documento composto da due ordini esecutivi che avevano come oggetto l’abolizione della schiavitù, limitatamente, però, agli Stati scissionisti. Riconfermato presidente nel 1864, l’anno successivo fece approvare al Congresso l’emendamento alla Costituzione che sanciva l’abolizione della schiavitù in tutta l’Unione americana.
Il primo ordine esecutivo, emanato il 22 settembre 1862, decretava la liberazione di tutti gli schiavi dai territori degli Stati Confederati d’America a partire dall’1 gennaio 1863. Il secondo ordine elencava formalmente una lista di dieci Stati nei quali il primo ordine doveva essere applicato. Lincoln proclamò questi due ordini esecutivi in qualità di Comandante in capo dell’esercito e della marina secondo l’articolo II, sezione seconda della Costituzione degli Stati Uniti.
Il Proclama non faceva cenno alcuno ai cosiddetti border States, ossia i quattro Stati confinanti del Kentucky, Missouri, Maryland e Delaware, che non avevano aderito alla secessione, ma che al contempo praticavano l’istituzione dello schiavismo. Nel documento veniva invece nominato lo Stato della Virginia, con l’eccezione di 48 contee, le stesse che avrebbero poi dato vita alla Virginia occidentaleLa morte di Abramo Lincoln
L’assassinio di Abramo Lincoln avvenne il 14 aprile 1865, un venerdì santo, mentre assisteva allo spettacolo Our American Cousin al Ford’s Theatre di Washington durante le fasi conclusive della guerra di secessione americana. L’assassinio avvenne cinque giorni dopo la resa delle truppe confederate del generale Robert Edward Lee, al generale unionista Ulysses S. Grant ad Appomattox.
Lincoln fu il primo presidente degli Stati Uniti ad essere assassinato. Il suo corpo imbalsamato venne trasportato su un treno funebre, così che i sostenitori che tanto lo avevano amato, potessero rendere un ultimo omaggio al sedicesimo presidente che ha cambiato le sorti dell’America.
Frasi celebri di Lincoln
- “Così come non vorrei essere uno schiavo, così non vorrei essere un padrone. Questo esprime la mia idea di democrazia”.
- “È accaduto così in tutte le epoche del mondo che alcuni hanno lavorato e altri hanno, senza lavoro, goduto di una gran parte dei frutti. Questo è sbagliato, e non deve continuare”.
- “Meglio tacere e dare l’impressione di essere stupidi, piuttosto che parlare e togliere ogni dubbio!”
- “Io non so chi fu mio nonno; mi importa molto di più sapere chi sarà suo nipote”.
- “Quel che importa non è vincere o perdere, ma accettare serenamente la sconfitta”.
- “Noi, il Popolo siamo i padroni legittimi sia del Congresso che dei tribunali, non per rovesciare la Costituzione, ma per rovesciare gli uomini che pervertono la Costituzione”.
- “Tutti gli uomini nascono uguali, però è l’ultima volta in cui lo sono”.