Ufo e cinema: gli alieni come metafora dell’uomo
L’alieno è sempre stato un mezzo per interpretare sociologicamente paure, speranze e timori della razza umana, assumendo forme e valenze differenti nel corso dei decenni
Ufo e cinema: il rapporto del 25 giugno 2021
L’ultimo rapporto sugli Ufo, fornito al Congresso americano dal Pentagono, i servizi segreti della Marina e la task force sui fenomeni aerei non identificati, ha sorpreso tutti: invece di contenere dati sull’esistenza o meno degli alieni, la relazione in questione fa velati riferimenti alle attività di spionaggio aereo svolte da Cina e Russia tramite droni e aerei sperimentali. Questa non è la prima volta (e non sarà l’ultima) in cui la figura dell’alieno, o del disco volante, vengono utilizzate per manipolare l’attenzione dell’opinione pubblica americana.
La propaganda anticomunista
Abituata già negli anni ’50 a una feroce campagna mediatica anticomunista, l’America ha imparato a traslare nella figura dell’invasore alieno la potenziale diffusione delle idee bolsceviche e sovversive provenienti dall’Unione Sovietica.
È proprio in questo periodo che nascono pellicole come “L’invasione degli ultracorpi”, pellicola del 1956 con la regia di Don Siegel, che racconta di come gli alieni di un piccolo paesino vengano sostituiti da alieni incapaci di provare emozioni.
Variante sul tema era stato il meno celebre “Gli invasori spaziali”, film del 1953 con la regia di William Menzies, dove i soliti abitanti del classico paesino dell’America rurale vengono rapiti e condotti in un Ufo sepolto nei campi, dove viene loro installato un chip che permette agli alieni di controllarli e perfino ucciderli. Leggermente diverso è “Il villaggio dei dannati” del 1960 con la regia di Wolf Rilla, che porta il terrore a un nuovo livello. In questa pellicola, infatti, gli alieni non scendono sulla Terra per conquistarla, bensì ingravidano tutte le donne del villaggio per dare vita a un’inquietante progenie di bambini ibridi, nati albini e con la capacità di soggiogare le menti.
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Marte, il pianeta rosso
Dal pianeta rosso, letto più volte come origine della “minaccia rossa”, nella letteratura come nel cinema degli anni ’50, arriva la più grande minaccia al genere umano: gli invasori marziani, de “La guerra dei mondi”.
In realtà si tratta di un romanzo del 1898 di Herbert George Wells, nel quale gli invincibili abitanti di Marte lanciano un devastante attacco contro la Terra mettendo rapidamente in ginocchio l’Inghilterra e il mondo intero.Precursore di molte altre invasioni aliene, questo testo venne adattato prima per la radio, nel 1938 da Orson Welles, arrivando al cinema nel 1953, in un film con la regia di Byron Haskin che si inserisce perfettamente nel filone dell’alieno invasore visto come sinonimo del pericolo comunista.
Bisogna comunque sottolineare come nel 2005 la pellicola abbia subito un remake, per mano di Steven Spielberg, che ha completamente cancellato il valore politico del testo, riportandolo a una generica critica sociale contro l’arroganza della razza umana.
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Gli anni della disillusione
A un certo punto l’alieno cambia pelle, muta e si trasforma, passando dalla rappresentazione del terrore rosso a quella della società stessa.
A cavallo degli Ottanta, la solitudine esistenziale e l’avvento della tecnologia robotica trasformano l’America, che reagisce dando corpo e sostanza alle proprie paure. Apre questo periodo Ridley Scott con il suo claustrofobico “Alien”.
Pellicola del 1979 che trasforma le nascenti corporazioni industriali nord americane in un nemico privo di identità (la creatura aliena presente nel film non possiede infatti alcun nome se non la definizione scientifica di “xenomorfo”), pronto a sacrificare i propri operai nel nome nel potenziale profitto.
A questa tipologia di film seguono “La cosa”, del 1982, di John Carpenter e “Predator”, del 1987, con la regia di John McTiernan. Se il primo ruota intorno all’omologazione di una società malata e incapace di pensiero indipendente, il secondo invece trasforma il pericolo rosso da russo a coreano, traslando la figura del nemico dal vero e proprio alieno al governo, che senza alcuno scrupolo manda a morte i suoi marine.
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Dall’ironia all’auto celebrazione degli anni ’90
I marziani torneranno a invadere la Terra nel 1996 in “Mars attacks!”, pellicola fortemente ironica e dissacrante di un Tim Burton che inserisce all’interno del film numerosi riferimenti ai grandi classici della fantascienza anni ’50.
Lo stesso anno esce un blockbuster dai toni ben diversi, più propagandistici, autocelebrativi e trionfali, è “Indipendence day” di Rolad Emmerich: il simbolo della potenza militare americana, destinata ancora una volta a salvare il resto del mondo dall’annientamento per mano degli invasori alieni. Diverso è invece il discorso per quanto riguarda “M.I.B. – Men In Black”, commedia del 1997 firmata da Barry Sonnenfeld, che dissacra gli argomenti classici del genere, a partire dai temuti “uomini in nero”, ritenuti depositari della verità sulla cosiddetta “cospirazione aliena”.
Ufo e cinema: l’utopia di Steven Spielberg
Prima nel 1977, con “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e successivamente nel 1982 con “E.T. l’extraterrestre”, il regista Steven Spielberg cerca di ricostruire una visione positiva degli alieni (cosa che farà anche Ron Howard nel 1985 con il suo “Cocoon – l’energia dell’universo”), mostrando come il visitatore da un altro mondo possa essere un portatore di pace e conoscenza, in netta opposizione con la natura sospettosa e disfattista del genere umano. Un cinema ottimista tanto quanto lo era stato nel 1952 “Ultimatum alla Terra”, nel quale l’alieno Klaatu giunge sul nostro pianeta per avvertirci del grande pericolo delle armi atomiche (diventato un monito contro la distruzione dell’ecosistema nel dimenticabile remake del 2008).