Appunti per una storia della Sicilia in età moderna – Scheda III
Le strutture di governo del viceregno
L’inserimento della Sicilia nel contesto della Corona d’Aragona si realizza utilizzando due nuove strutture istituzionali: il Parlamento e il Viceré.
Il Parlamento siciliano
Il funzionamento del Parlamento siciliano è profondamente influenzato dai principi costituzionali e politici che regolano la vita delle Cortes aragonesi che trovano un punto di forza nei «Capitoli» proposti dai governati al Re, al quale spetta l’approvazione e, conseguentemente, la trasformazione delle richieste votate in leggi. Parallelamente il Parlamento vota il donativo, in altre parole l’autorizzazione al prelievo fiscale sul reddito prodotto nell’isola ed alla sua ripartizione tra le diverse città e terre del regno. L’Istituto parlamentare assume, inoltre, il ruolo di «luogo della comunicazione» tra i diversi corpi che costituiscono la struttura della società, diventando lo spazio nel quale si esercita sia la mediazione politica tra le diverse classi sia la gestione del processo d’innovazione fiscale governato dalle oligarchie urbane e dell’aristocrazia feudale, beneficiarie di questi cambiamenti. Il Parlamento, infine, si pone come elemento di garanzia e di salvaguardia dei privilegi del Regno che costituiscono la struttura portante del sistema pattizio che lega la Sicilia alla Corona d’Aragona.
Il Viceré di Sicilia
Il Viceré rappresenta istituzionalmente il sovrano nell’isola ma il suo compito più importante è quello di gestire il consenso politico dei diversi ordini che costituiscono la società siciliana, soprattutto nel corso della sessione parlamentare. Deve trovare il punto di equilibrio tra le esigenze politiche e finanziarie della Corona e le richieste dei bracci (nobiltà feudale, città demaniali e clero) spesso in conflitto tra loro. Presiede, inoltre, gli organi centrali sia giudiziari sia amministrativi (Cancelleria, Tesoreria, Curia dei Maestri razionali, Protonotaro). Gestisce, tramite la «tratta», il flusso di esportazione del frumento, un commercio strategico che garantisce un importante gettito fiscale per il Tesoriere del regno.
Al Viceré è affidata anche il processo di modernizzazione del regno siciliano. Un rafforzamento del potere centrale che passa attraverso la riorganizzazione dei sistemi di controllo e di monitoraggio dei flussi finanziari del complesso delle entrate del regno di Sicilia, da parte del governo centrale. Un processo lento di costruzione di un complesso edificio che trova le sue basi nella politica di Ferdinando il Cattolico, il quale pone le premesse strutturali per la riforma dei Tribunali e lo sviluppo di meccanismi per il controllo della finanza pubblica, quale supporto per la riorganizzazione e la centralizzazione del Regno. Il perno su cui il sovrano fa leva è rappresentato dalla Regia Corte alla quale affida la gestione della finanza pubblica con criteri funzionali, nei quali s’impone sempre di più il concetto della prevalenza dell’interesse supremo dello Stato nei confronti di quelli del suddito. Un lento processo di centralizzazione che avvicina la Sicilia, pur nel rispetto formale delle sue autonomie istituzionali, al modello di governo della finanza pubblica che è propria della «hacienda real» dei regni di Castiglia e d’Aragona. Nuove figure istituzionali, come quelle del Conservatore, sono istituite; si svuotano di poteri effettivi alcuni uffici come quello di Maestro Segreto che diventano dei vuoti simulacri, mantenuti in vita solo di nome a garanzia dei privilegi del Regno di Sicilia; i Maestri Razionali, struttura centralizzata di controllo contabile di tutti i conti degli ufficiali regi che maneggiano il pubblico denaro, assumono un ruolo decisivo nei meccanismi di funzionamento della macchina amministrativa del Regno; si impongono nuove procedure contabili e di spesa che obbligano qualsiasi ufficio a far figurare, anche se solo nominalmente, nei registri del Tesoriere gli introiti e le erogazioni effettuate
La riforma della finanza pubblica
Nel 1503 re Ferdinando pone le basi per il riordino complessivo della finanza pubblica del Regno di Sicilia inviando al Viceré con “micer” Johan May, dottore in legge e membro del consiglio reale, istruzioni dettagliate in merito, che vengono, alcuni mesi dopo, rese esecutive grazie ad una prammatica rivolta a tutti gli ufficiali dell’isola.
L’esame contestuale delle istruzioni e della prammatica, dà la possibilità di ipotizzare che, pur nel rispetto formale dei privilegi del Regno di Sicilia, la progressiva ristrutturazione dell’organizzazione amministrativa e di governo è portata avanti dalla corona spagnola con una visione complessiva, tenendo conto di modelli organizzativi e strutturali europei che caratterizzano la formazione delle nuove monarchie unitarie e centralizzate e che vogliono cancellare le velleità autonomistiche che sono state proprie del medioevo siciliano e della sua classe politico-dirigenziale feudale. Il progressivo affermarsi delle nuove regole che presiedono al funzionamento dello Stato moderno comporta la progressiva emarginazione di questi rappresentanti della vecchia classe politica e, nel momento in cui i capi del “partito feudale” si oppongono concretamente alle “novità”, sono spazzati via da opportune rivolte, i loro beni sequestrati, i dirigenti giustiziati per mano del boia regio e immediatamente sostituiti da una nuova classe dirigente i cui rappresentanti, quali i Bologna di Palermo, hanno supportato la Corona in questo processo di trasformazione facendo, nel contempo, le loro fortune economiche.
Le linee di forza della riforma
Le linee di forza della riforma della finanza pubblica voluta da Ferdinando il cattolico sono rappresentate dal fatto che si vuole ricondurre ad un momento centrale il controllo di tutti i flussi della finanza pubblica, ricorrendo non solo a rigide procedure di verifica della correttezza sia dell’impegno delle spese sia della liquidazione delle stesse ma anche a meccanismi di controllo, mutuando le tecniche contabili dei mercanti e utilizzando i Conti correnti di Corte accesi presso i banchi, per verificare e quantificare le risorse di cui la Corona può disporre, valutare i flussi finanziari in uscita e gestire il debito pubblico.
Concretamente la prammatica del 1503 (Prammatica del Viceré Johan de la Nuca data in Palermo l’11 dicembre 1503 (ind. VII), oltre ad alcune disposizioni concernenti l’amministrazione della giustizia, definisce le procedure di controllo contabile che devono essere seguite nei confronti di chi amministra denaro pubblico.
In particolare, in essa si dispone che:
- La presentazione dei conti da parte degli ufficiali pecuniari deve essere effettuata entro i termini previsti; in caso contrario saranno privati dell’ufficio, del loro salario e “pierdan todo el salario de a quel tempo que devian dare las informaciones”;
- I Maestri Razionali ed il Conservatore devono esaminare con la massima rapidità possibile i conti e redigerne il “bilancio” osservando solo “las festas mandadas por la sancta madre iglesia y no otras”;
- L’arretrato che si è accumulato presso la Curia dei Maestri Razionali dal 1470 sino alla data del 1503, deve essere liquidato entro sei mesi;
- Il Tesoriere ed il Conservatore devono periodicamente controllare reciprocamente le loro scritture contabili affinché non vi siano delle lacune sull’ammontare degli introiti straordinari; in caso di dubbi si proceda al controllo di tutte le “poliças de banco”;
- Si deve predisporre un “gran libro” nel quale registrare “totos los introytos de la Regia Corte assi alienados como non alienados partidos por cadahuno officio los queto can a recebirse por cadahun official”;
- Un altro libro deve contenere tutti “los introytos y esdevenimentos temporales assi de propriedades come de censales e otros bienes y cosas que provendran a la Regia Corte”;
- Utilizzando queste registrazioni si deve compilare “una tabla de todos los officiales, credenheros, portulanotos e otros officiales che a de dar informaciones para los cuentas”, avvalendosi della quale i Maestri Razionali abbiano il quadro complessivo di tutti coloro i quali sono obbligati a depositare i propri conti;
- Un altro libro deve contenere l’elenco di “todos los feus de la Regia Corte e los possessores de aquellos” e in questo registro si annotino “las transportaciones o alienaciones” dei detti feudi copia del volume deve essere fornita al Collettore della decima e tarì;
- Un altro volume deve essere dedicato alla registrazione di tutti “los ius patronados eclesiasticos nostros”;
- Un altro registro deve contenere l’inventario di “todas las armas, artilleria e municiones” conservate all’interno dei castelli del Regno.
Una prammatica molto importante che meriterebbe un’analisi più attenta ed approfondita per valutarne i riflessi sull’evoluzione del diritto pubblico siciliano. Fra l’altro, questo documento chiarisce, in modo inequivocabile, la genesi delle compilazioni di Gian Luca Barberi, che non sono altro che la pratica attuazione delle disposizioni contenute nelle istruzioni di re Ferdinando e nella prammatica d’esecuzione.
continua…