Appunti per una storia della Sicilia in età moderna – scheda VII
Un crocevia mediterraneo
Per ragionare sulla Sicilia come frontiera ho preso spunto dalle riflessioni di Francesco Benigno esposte nel suo saggio Un’isola non isola (Benigno 2003) le quali ci danno diverse chiavi di lettura per leggere la storia della Sicilia che hanno come premessa la demolizione dei miti sui quali si è costruita la definizione delle definizioni di sicilianità o sicilitudine. In particolare, Benigno afferma:
È l’idea di una Sicilia simbolica, astorica, madre-matrigna che offre ai suoi figli il dono ambiguo di un’irriducibile diversità. È il mito di una Sicilia-isola, chiusa in sé e sempre uguale a sé stessa malgrado le ondate di popoli conquistatori che ne hanno segnato la storia: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Spagnoli, Austriaci, «piemontesi». Piuttosto che immaginare una Sicilia sequestrata, schiava più o meno rassegnata dei suoi successivi padroni, e quindi considerare la sua storia come quella di un riscatto promesso, ma sempre negato dalla protervia altrui, la più recente ricerca propone di cercare l’identità siciliana nella sua natura aperta di crocevia mediterraneo. Un’identità cioè che nasce dalla sovrapposizione e dall’incontro, dal mescolamento e dal conflitto di genti, culture, governi diversi.
Il mare che la circonda invece di essere elemento di isolamento contribuisce in modo determinante a renderla snodo essenziale del rapporto tra l’Occidente e l’Islam. Una-due settimane di viaggio su una trireme permetteva ai genovesi di spostarsi dalla loro città a Trapani, a Palermo o a Messina, con la stessa rapidità si poteva giungere da Barcellona o dalle Baleari cosa impossibile da realizzare con un viaggio via terra e, soprattutto, si potevano trasportare merci come il grano o il sale che occupano un volume di carico considerevole. Contestualmente da Trapani si può raggiungere Tunisi in una notte di viaggio. Ma l’elemento discriminante relativo all’individuazione della Sicilia come confine con l’Islam consiste nel fatto che non sia possibile individuare un confine fisico, un limes, che delimiti l’accesso ai due territori dove un soggetto, dotato di personalità giuridica, eserciti una giurisdizione. Una discriminante che non è sufficiente a comprendere la complessità che caratterizza il ruolo della Sicilia nel rapporto tra l’islam e l’occidente; bisogna invece evidenziare l’attenzione sul tema della frontiera considerata
come «spazio di transizione», una sorta di area «deterritorializzata» contraddistinta dall’interazione interculturale e dominata dall’esperienza dell’ibridazione … A emergere è stata infatti una consapevolezza della natura “dinamica” della frontiera, non riducibile a mero e statico prodotto di un processo unidirezionale messo in moto dalla macchina statale, ma al contrario leggibile come spazio alla cui costruzione concorre una pluralità di attori sociali, attraverso una costante interazione tra «lived frontier» e «discursive frontiere» che fa delle terre di confine il luogo di incontro privilegiato tra progetto politico statale centrale ed esperienze, interessi, pratiche sociali prodotte dalla trama del contesto locale (Meriggi e Di Fiore 2013).
Per leggere questa interazione nella realtà siciliana è necessario evidenziare che nell’isola esistono almeno tre frontiere una verso l’Occidente, una verso l’Islam, molteplicità di frontiere interne.
Come sottolinea Gaetano Sabatini il tema delle frontiere è stato condizionato dalla storiografia del XIX° secolo che ha come obiettivo principale l’esaltazione del raggiungimento dell’unità nazionale che trova il suo compimento nel “risorgimento” che comporterà l’abbattimento di tutte le frontiere interne e il consolidamento delle frontiere esterne che assumono ben precise caratteristiche anche sul territorio (Sabatini e Favarò 2011, 177-178).
L’Islam una frontiera liquida
La costruzione di una frontiera nei confronti dell’Islam è uno dei temi di maggior rilievo che la Monarchia spagnola deve affrontare nel ‘500 nel momento in cui con Carlo V si decide di fare della Sicilia la fortezza del Mediterraneo perno, insieme con i cavalieri di Malta, della politica di contenimento dell’espansione Ottomana. In realtà in Sicilia, al di là delle dichiarazioni di principio pronunciate nei dibattiti parlamentari o inserite nelle prammatiche vicereali, si considera irrilevante l’individuazione fisica della frontiera fra occidente e islam, bensì si ritiene necessario identificare le regole non scritte del “grande gioco” attraverso le quali gli interlocutori delle due diverse realtà riescono a costruire i canali di comunicazione e a creare un tavolo comune di confronto e trattativa.
Il dato obiettivo è che il canale di Sicilia non è una frontiera: le squadre delle galere di Sicilia o dell’Ordine di Malta non sono sufficienti a fare del mare una frontiera (Favarò 2007), solo i poderosi lavori di fortificazione con torri di avvistamento, la realizzazione di un sistema di comunicazione visiva tra le torri e i reparti di pronto intervento e la costruzione di bastioni a difesa delle principali città faranno delle coste della Sicilia una frontiera controllata da strutture militari territoriali costituite da siciliani in grado di far fronte alle incursioni dei barbareschi e, soprattutto, di predisporre una difesa flessibile (Giuffrida, La fortezza indifesa e il progetto del Vega per una ristrutturazione del sistema difensivo siciliano, 2007). Il canale di Sicilia diventa, quindi, la non frontiera, la zona grigia necessaria per permettere la gestione del rapporto interattivo tra il mondo dell’Islam e quello dell’Occidente cristiano. Merci, uomini, denaro, mediatori, rinnegati sono il motore di un universo parallelo dove le «non frontiere» costituiscono le premesse necessarie per costruire lo spazio dello scambio, un processo nel quale ha un particolare rilievo la figura del captivo profondamente diversa da quella dello schiavo (Giuffrida, L’evoluzione del concetto di schiavitù dal Medioevo all’età moderna, 2020). Quando si vende uno schiavo nel nuovo mondo, il prezzo di mercato è determinato dal confronto tra il negriero europeo e il proprietario di una piantagione anch’esso europeo. Nel caso del riscatto di un captivo nell’Africa del nord la transazione prevede il coinvolgimento di due mondi profondamente diversi: quello musulmano e quello occidentale cristiano. Tutto ciò comporta che entrano in gioco non soltanto fattori economici e di mercato, bensì il confronto tra due realtà nelle quali la determinazione del prezzo del riscatto o la decisione di accedere alla richiesta dello stesso passa per il tramite di determinazioni politiche profondamente condizionate da interferenze ideologiche e religiose. Diventare un captivo, psicologicamente è considerato un rischio ineluttabile per alcune categorie professionali quali i pescatori, i marinai o i mercanti che solcano il canale di Sicilia.
Sulle vicende dei captivi si costruirà un complesso sistema di intermediazione tra le due frontiere per il riscatto di coloro i quali, attraversando la frontiera liquida con l’Islam, finivano nelle mani dei pirati barbareschi. L’Arciconfraternita dei Cattivi costituirà il tentativo di costruire un ponte con questa realtà. Vedremo meglio come sarà coniugato questo tentativo di governo della frontiera.
La non frontiera con l’Occidente
Nei confronti dell’altra metà del mondo non esisteva un’unica frontiera ma tante frontiere sempre legate al mare e costituite dai porti di approdo delle imbarcazioni. Genovesi, toscani, veneziani, lucchesi dovevano fare i conti con le Secrezie, cioè con i varchi doganali le uniche frontiere che si frappongono non certo per il loro sbarco sulle coste siciliane bensì per la circolazione delle loro merci sia in entrata sia in uscita, per l’importazione e per l’esportazione. Ovviamente il termine frontiere è improprio in quanto ci troviamo di fronte ad una barriera che si interponeva ad una libera circolazione delle merci e non già degli stranieri. Tuttavia, le dogane di terra e di mare costituiscono in nuce gli organismi giuridici e strutturali intorno ai quali si costruirà il concetto stesso di frontiera così come si organizzerà tra la fine del sec. XVIII e l’inizio del XIX. La controprova del come si sviluppa e si consolida la evoluzione del concetto della frontiera siciliana nei confronti del “mondo occidentale” lo si ha leggendo la realtà del contrabbando, cioè della violazione della struttura di controllo delle barriere doganali. In realtà non esiste una sola frontiera per le merci ma tante frontiere moltiplicate per il numero delle barriere doganali presenti sul territorio. Il mare da un lato e le mura cittadine vigilate dai doganieri rappresentano dei confini tangibili. Nel sentire comune il “cittadino” ha come “patria” la sua città dove sono vigenti delle norme ben precise per acquisire il diritto giuridico di definirsi “cives”. La concessione della cittadinanza comporta l’acquisizione di un vero e proprio passaporto necessario per operare nella realtà dell’isola.
Partendo da questa premessa utilizziamo come chiave di lettura, per comprendere l’articolazione e il funzionamento della pluralità delle frontiere nella realtà siciliana, il tema della repressione del contrabbando.
L’elemento dirimente è che il contrabbando in Sicilia è combattuto dalla Regia Corte non come un reato amministrativo bensì come una vera e propria lesione della cosa pubblica, alla quale si deve applicare il regime riservato alle res quasi sacrae, conseguentemente sequestrare l’oggetto del contrabbando e reprimere con decisione il reato. In realtà le migliaia di testimonianze e di relazioni allegate agli atti processuali ci mostrano come il contrabbando sia una realtà diffusa anche se non quantificabile facilmente e costituisce una componente importante dei flussi economici dell’economia siciliana. Franco Benigno nel capitolo dedicato al piccolo cabotaggio e contrabbando sul porto di Trapani nel ‘700 chiarisce molto bene come opera la flotta da pesca trapanese, la quale supporta con il suo naviglio una capillare rete di cabotaggio che alimentava non soltanto il trasporto merci conto terzi ma una vera e propria attività commerciale in proprio (Benigno, Il porto di Trapani nel settecento Rotte, traffici, esportazioni (1674-1800) 1982, 38). Si sviluppa una struttura commerciale parallela a quella ufficiale dei grandi mercanti ma che ha l’opportunità di sfuggire a tutto il complesso di dichiarazioni, responsali, manifesti di carico con i quali la regia Corte regolava il flusso di merci che transitavano dalle dogane di terra e di mare. Una barca può approdare lontano dalle guardiole dei doganieri e procedere allo scambio merci: sale, tonno, vino, corallo erano scambiati con formaggi, cuoi e altri prodotti agricoli. Benigno afferma che
Il contrabbando trapanese di esportazione veniva cioè praticato dagli stessi agenti e attraverso gli stessi canali del commercio ufficiale e ne costituiva non un’appendice ma una componente essenziale (Benigno, Il porto di Trapani nel settecento Rotte, traffici, esportazioni (1674-1800) 1982, 41-42).
I fascicoli processuali relativi alla lotta al contrabbando testimoniano come il modello individuato da Benigno per il Settecento trapanese sia pienamente operante anche nel ‘500 siciliano. Esistono due mondi paralleli che alimentano i flussi mercantili che riforniscono il mercato siciliano: quello ufficiale che transita per il tramite dei responsali e i registri delle Secrezie e quello del contrabbando che può proficuamente funzionare grazie ad un’articolata rete di complicità che coinvolge, in modo quasi tutti, tutti: mercanti, doganieri, responsabili della dogana, capitani di navi, padroni di barche, mulattieri. Le inchieste sul contrabbando della seta a Messina mostrano chiaramente come lo stesso mercante ripartiva sulla stessa nave con la seta imbarcata di notte fuori dogana e con la seta regolarmente registrata nei responsali. Ovviamente si crea un mercato su due livelli, i quali interagiscono per il tramite di complicate triangolazioni di acquisti e vendite che funzionavano essenzialmente con lo scambio merci e con transazioni fittizie grazie alle quali si riciclavano i proventi del contrabbando. Si imbarcavano di notte balle di seta sulle galeazze della muda veneta per le fiandre e di giorno si sbarcavano pezze di panno che il mercante messinese faceva registrare regolarmente in Dogana. Un gioco delle parti che dura sino a quando lo permetta il mantenimento degli equilibri politici tra Regia Corte, mercanti e responsabili del governo delle strutture doganali. Non è casuale che il Visitatore regio metta sotto inchiesta il potente Secreto di Messina Baldassare Saccano e passa al setaccio cinquant’anni della sua attività (Giuffrida, Gabando e fraudando la regia Dogana 2017).
Ninni Giuffrida
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Benigno, Francesco. Il porto di Trapani nel settecento Rotte, traffici, esportazioni (1674-1800). Trapani, 1982.
Benigno, Francesco. «Un’isola non isola .» In Storia della Sicilia 1. Dalle origini al Seicento a cura di Francesco Benigno e Giuseppe Giarrizzo. Roma-Bari : La Terza , 2003.
Favarò, Valentina. «La esquadra de galeras del Regno di Sicilia: costruzione, armamento, amministrazione (XVI secolo).» In Mediterraneo in armi (secc. XV-XVIII), di Rossella Cancila. Palermo: Associazione Mediterranea, 2007.
Giuffrida, Antonino. «La fortezza indifesa e il progetto del Vega per una ristrutturazione del sistema difensivo siciliano.» In Mediterraneo in armi (secc. XV-XVIII) , di Rossella Cancila. Palermo: Associazione Mediterranea , 2007.
Giuffrida, Antonino. «L’evoluzione del concetto di schiavitù dal Medioevo all’età moderna.» In Medioevo e Mediterraneo: incontri, scambi e confronti Stuidi per Salvatore Fodale, di Patrizia Sardina, Daniela Santoro , Maria Antonietta Russo e Marcello Pacifico. Palermo: New Digital Frontiers /Unipapress, 2020.
Giuffrida, Antonino. «Gabando e fraudando la regia Dogana.» In Per vie illegali Fonti per lo studio dei fenomeni illeciti nel Mediterraneo dell’età moderna (secoli XVI-XVIII) a cura di Paolo Calòcagno. Soveria Mannelli: Rubbettino Editore , 2017.
Meriggi, Marco, e Laura Di Fiore. Movimenti e confini : spazi mobili nell’Italia preunitaria / a cura di Laura Di Fiore e Marco Meriggi. Roma : Viella , 2013.
Sabatini, Gaetano, e Valentina Favarò. «Frontières externes, Frontieres internes Implications politiques et sociales de l’institution des milices territoriales dans les royaumes de Naples et de Sicile (XVI – XVII siècle).» In Les sociétés de frontière de la Méditerranéé à l’Atlantique ( XVI – XVIII sècle), di Michel Bertrand e Natividad Planas. Madrid , 2011.