Appunti per una storia della Sicilia in età moderna – scheda XI
Pensare ad una nuova struttura organizzativa della Milizia
Il viceré Gonzaga, prendendo possesso della sua carica e celebrando il Parlamento del 1537, fa rivotare il “servizio” dei diecimila fanti «per mesi tre di fermo». L’atto deliberativo, tuttavia, prevede una variante rispetto ai precedenti atti parlamentari: «di li quali, seimila diggiano essere regnicoli et li quattromilia exteri ad arbitrio di vostra eccellencia». Il nucleo strutturale, intorno al quale si organizzano queste compagnie della milizia, è costituito essenzialmente dagli archibugieri e dai picchieri i quali marciano al suono dei tamburi e dei pifferi. La previsione che si possa ricorrere all’arruolamento di un consistente numero di fanti non regnicoli fa pensare che il Gonzaga non abbia fiducia nella preparazione militare delle milizie del Regno e preferisca fare ricorso a dei professionisti da trovare fuori dell’isola. Il mutamento della politica di arruolamento nei confronti della milizia regnicola è evidenti anche nella delibera del Parlamento del 1543, dove si prevede una «paga di tri milia fanti per sei misi lo soldo delli quali si intenda in tutto scuti sessanta milia da pagarsi per tutto il Regno in dui paghi». Nel caso in cui si profili la minaccia di un’incursione della flotta del Turco, i Deputati del Regno sono autorizzati ad effettuare una “leva” dei fanti necessari alla difesa delle coste, purché non si superino il numero di cinquemila, con la precisazione che, «de li quali fanti da farsi per dicta tuictione di Regno, ni dibbia essiri ad minus la quarta parti di Regnicoli». La delega affidata alla Deputazione potrà essere esercitata solo entro la fine del mese di ottobre del 1543.
Questo è il quadro generale che il Vega trova nel momento del suo insediamento e che modifica e ristruttura con la creazione della nuova milizia. Giarrizzo sottolinea la novità di questa decisione del viceré che «finì per coinvolgere intere popolazioni nella responsabilità della difesa, e parve per un momento tendere ─ fuori del modello machiavelliano della fortezza in terra di conquista ─ ad un rapporto diverso fra governati e governanti», tuttavia anche se recenti studi hanno cominciato a rendere disponibile la documentazione conservata presso l’archivio di Simancas, manca un approfondimento su tale tematica, che chiarisca meglio sia i processi che stanno alla base di questa decisione, sia i meccanismi di funzionamento di questa struttura. In particolare è necessario approfondire:
- il processo politico e amministrativo che sta alla base della determinazione del Vega;
- il modo attraverso cui questa decisione è trasferita sul territorio con il coinvolgimento delle amministrazioni delle città e delle terre;
- l’organizzazione di questa milizia;
- il funzionamento della catena del comando nel momento in cui è chiamata ad intervenire;
- la verifica dell’effettivo impiego sul territorio quando il turco sbarca sulle coste siciliane.
I processi decisionali e organizzativi della “nuova milizia”
Grazie a una lettura comparata dei registri del Protonotaro del Regno e dei volumi di corrispondenza di Hernando Vega, vicario generale per il Val di Noto e capitano d’arme “ad guerram”, sono riuscito a ricostruire i processi decisionali e organizzativi attraverso i quali si crea il modello di funzionamento della “nuova milizia”.
Il primo dato che emerge da questo esame è che l’idea di utilizzare una milizia territoriale da affiancare sia alle compagnie di soldati spagnoli e italiani, sia ai cavalieri feudali, è presente nella strategia di Vega sin dal febbraio del 1549 quando, nel timore di un possibile attacco della flotta ottomana, nomina tre vicari-capitani d’arme “ad guerram” per i Valli di Mazara, Noto e Demini, con il compito di organizzare le milizie cittadine, di modo che:
accadendo che dette vele mettessero in terra voi possiate in un subito con detti genti di pedi et di cavallo trovare al incontro et non solamenti resistirli et strenuamenti combattere ma debellare et fugare li nemici et reportari la vittoria.
Le difficoltà sono tante e la nomina dei vicari non raggiunge gli obiettivi organizzativi e strategici che il Vega si prefiggeva, nell’agosto del 1551, elabora perciò una variante, ampliando la platea dei responsabili della realizzazione del progetto con la nomina di quattordici capitani d’armi, ai quali affida il compito di organizzare presso ogni città e terra del Regno delle compagnie di militi e di cavalieri pronte ad integrarsi sia con i soldati “pagati” spagnoli e italiani, sia con i cavalieri del servizio militare feudale. Il progetto del viceré è esplicitato in tutte le sue implicazioni nella lunga “narratio” premessa agli atti di nomina dei capitani:
per lo servizio di nostro Signore et di sua Maestà havimo per la conservacione del Regno determinato quando detta armata [turchesca] comparisse per questi mari come è ditto la persona nostra con un corpo di genti di pedi et di cavallo andare et non solamente prohiberi che detta armata descendesse genti in terra per non far danno ma quando pur lo havessero o volessero tentare con lo ayuto de nostro Signore farcele restare et per effettuarse bene el supradetto ultra delli soldati pagati cossì spagnoli como italiani che tenemo in questa città et li cavalli del servizio militare et stipendiati che si ha ordinato stare in la città di Lentini per essere loco atto al posser soccorrere in ogne loco del Regno dove il bisogno fosse, havimo ancora provisto et ordinato in ogne città et terra del Regno che si debba descrivere una quantità di genti tanto di pedi quanto di cavallo et quelli far stare in ordine con loro arme atte alla guerra acciochè detti genti si revedano si per vedersi si sonno così atti et in ordine delli arme como si ha ordinato como ancora per farli stare presti et farli conducere dove sarà il bisogno deputando li capitani necessari et facendo le compagnie de doicento fanti per una.
Anche questo tentativo non riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati. Il Vega analizza i motivi dell’insuccesso che attribuisce alla mancanza di qualsiasi esperienza militare e di disciplina da parte della milizia raccolta dai quattordici capitani da lui nominati, rilevando che l’imperizia non può essere compensata dal numero: «i ben vero che poco giova un copioso exercito quando le soldati di esso non thengano ordine et non sono exercitati nelli arti militari». Un’affermazione molto importante per comprendere che l’attivazione della nuova milizia non avviene con uno specifico provvedimento, bensì si articola su due distinti momenti: il primo è costituito dall’elaborazione del modello teorico e strutturale di funzionamento che fa riferimento alla coeva dottrina strategica; il secondo passa attraverso la verifica di come il modello funziona nella realtà e l’eliminazione, attraverso l’esperienza maturata sul campo, delle incongruenze e degli errori progettuali.
Il progetto definitivo
Il progetto della nuova milizia approda alla sua redazione definitiva nel novembre del 1551, come si ricava da una lettera a Cesare Lanza, barone di Castania, nella quale si precisa di aver deliberato: di effettuare una leva di dodicimila fanti e duemila cavalieri presso le terre e le città del Regno; di distribuire queste forze in compagnie di trecento fanti l’una, mentre per i cavalieri la composizione dello squadrone può oscillare da cinquanta a cento unità; di prevedere un programma di addestramento formale al quale sottoporre sia i fanti sia i cavalieri, sotto la responsabilità di capitani nominati direttamente dal viceré; di concedere ai militi, per ricompensa del loro servizio, «exemptioni, honori et prerogative».
L’addestramento militare di questa nuova milizia diventa obiettivo primario per il viceré. Un compito che il viceré non affida alla feudalità, bensì a dei quadri di comando composti di professionisti scelti tra i soldati spagnoli da lui ritenuti più preparati al mestiere delle armi; infatti, nel dicembre del 1551 dispone di reclutare dodici sergenti tra i soldati spagnoli, «pratici et atti ad dicto misteri», da destinare all’addestramento militare della milizia. Questi “consiglieri militari” affiancheranno i capitani, responsabili del comando operativo della compagnia, nominati dal viceré e scelti fra i regnicoli. Il 15 maggio 1552 il viceré nomina quaranta capitani, scelti fra i regnicoli, destinati al comando delle 40 compagnie di trecento fanti da costituire sul territorio dopo avere effettuato la leva. Una nomina che permette di calcolare la distribuzione dei dodicimila fanti nei diversi valli. Nel Val di Mazara sono dislocati 2700 fanti in quanto si nominano 9 capitani, nel Val di Noto i fanti sono 4200 con 14 capitani, nel Val Demine i militi sono 5100 con 17 capitani. Una distribuzione correlata, in modo proporzionale, al numero degli abitanti del Valle, in quanto la leva della milizia è effettuata tenendo conto del numero dei fuochi. Un dato che ricavo dalla revisione chiesta dalla terra di Sinagra alla quale, essendo stata numerata per 315 fuochi, è stata imposta una quota di 60 fanti. Il viceré ritiene che il numero corretto sia di 39 e ordina una ripartizione dell’eccesso di 21 fanti tra le città e terre vicine, indicando il numero dei fuochi, la quota spettante e quella da caricare in sopranumero. Utilizzando i dati della revisione ho cercato di capire come ha funzionato il rapporto tra fuoco e numero di fanti ritenuto equo sia dalla comunità, sia dal viceré. In realtà, non c’è un rapporto direttamente proporzionale tra fuochi e militi: la media è di 9 fanti con oscillazioni tra 7 e 11; pertanto ritengo che i piccoli aggiustamenti fossero effettuati tenendo conto anche delle “facoltà” e del numero degli abitanti. Una terra più ricca o con un numero di abitanti maggiore, deve contribuire con un’aliquota leggermente più alta rispetto alle altre.
La documentazione conservata nei registri del Protonotaro mi ha permesso di delineare sia l’arco temporale nel quale prende forma e si concretizza il progetto della nuova milizia ─ dicembre 1551-maggio 1552 ─ sia gli schemi strutturali di funzionamento e di operatività strategica, pensati, verificati e messi in opera dal Vega. La corrispondenza di Hernando Vega, invece, dà la possibilità di conoscere come questi principi generali sono stati trasferiti sul territorio e come si rendano operativi coinvolgendo le comunità nella costruzione di una struttura militare che dovrebbe dare vita ad una milizia territoriale in grado di operare di concerto con le compagnie di soldati professionisti e con la cavalleria feudale.
Ancora una volta Hernando, nella qualità di vicario per il Val di Noto, costituisce l’interfaccia tra il viceré e le comunità locali. I sergenti sono nominati dal viceré, ma le istruzioni e le lettere di presentazione indirizzate ai giurati, sono firmate da Hernando, al quale spetta il coordinamento e il controllo sul loro operato.
Proprio per rendere esecutivi gli ordini che gli vengono dal viceré, Hernando convoca il 9 settembre 1552 i quattro sergenti maggiori del Val di Noto a Catania «per ordinarvi tanto abbucca comu in scriptis alcuni cosi di lu servicio di sua cesarea maestà necessarii a lu bono regimento di la nova milicia». Dopo avere illustrato gli obiettivi da raggiungere, Hernando consegna loro sia una lettera patente con la quale si rende noto a tutti gli ufficiali delle terre e città interessate la loro nomina a Sergente maggiore con l’obbligo di corrispondere agli stessi il salario previsto, sia dettagliate istruzioni sul come debbano comportarsi per attivare al meglio la funzionalità della nuova milizia.
Le istruzioni del Sergente Maggiore
Ho esaminato le istruzioni date al sergente maggiore Francesco Salcedo, destinato ad esercitare il suo servizio a Lentini e in tutte le altre città e terre “convichini”, per potere ricostruire i meccanismi con i quali il Vega pensa di attivare le singole compagnie. Una lettura dei singoli punti chiarisce meglio lo schema operativo:
- il sergente maggiore, in primo luogo, deve scegliere in ogni compagnia un sergente «che sia persuna pratica e sacha scriviri», al quale consegnare la lista nominativa dei soldati assegnati e delle armi disponibili, con l’onere di controllare che non «mancassiro in li servicii ed exercicii di la guerra»;
- si procederà alla creazione di squadre composte di 25 soldati (la compagnia di 300 fanti è articolata in 12 squadre), all’interno delle quali si sceglierà un caporale cui affidare la responsabilità del comando e, soprattutto, il controllo della presenza durante le esercitazioni;
- bisognerà notificare con un banditore l’obbligo per i soldati inseriti nell’elenco della milizia di essere presenti «tanto in li mustri et exercicii di la guerra comu in tutti altri servicii chi per vui [sergente maggiore] li sarrano commisi et ordinati»;
- la pena per i renitenti è costituita da tre tratti di corda o dall’arresto per alcuni giorni; nel caso di «viglaccaria» si redigeranno delle “informazioni” che saranno esaminate dal viceré o dal vicario;
- ogni mese si dovrà effettuare una «mustra generali in la cità di Lentini di tutti li genti cussi di pedi comu di cavallo di vostra sergentaria» per verificare il livello dell’addestramento, mentre ogni domenica si dovrà «fari mustra particulari di ditta genti cussi di pedi como di cavallo in li propri loro citati et terri»;
- il sergente maggiore ha, anche, l’onere di predisporre, lungo le coste della sua sargentaria, le vedette necessarie per l’avvistamento di eventuali navi nemiche da segnalare con segnali di fumo o di fuoco, in modo da potere intervenire immediatamente con il numero di uomini e di cavalli proporzionato alle forze nemiche, e respingere ogni attacco;
- si ribadisce che la competenza del sergente maggiore è piena «in tutti li cosi di la guerra toccanti ad vostro carrico», mentre si fa divieto di «intromettiri in li cosi di iusticia» che sono di competenza degli «officiali dille ditte citati et terri»;
- si attribuisce ai «sargenti et caporali (capisquadra)» la responsabilità del controllo delle armi consegnate ai soldati, che non possono essere vendute o donate;
- per quanto riguarda i cavalli ci si limita a disporre che si proceda alla nomina di un “locotenenti”, in quanto istruzioni più particolareggiate si danno al capitano della compagnia.
Le istruzioni sono molto lineari e devono essere integrate con quelle che si forniscono ai capitani delle compagnie di cavalieri. Comunque, la responsabilità del coordinamento militare delle due componenti della nuova milizia, soldati appiedati e cavalieri, è affidata esclusivamente al sergente maggiore, cui spetta l’onere di organizzare in tempi brevissimi una risposta efficace contro ogni tentativo di sbarco.
La responsabilità del comando delle compagnie dei cavalieri è affidata a regnicoli. Anche in questo caso le istruzioni sono redatte seguendo schemi prederminati: quasi certamente, sono state elaborate nella segreteria del viceré e, successivamente, inviate ai vicari nei tre Valli che, a loro volta, li hanno notificate ai capitani. Ho analizzato e comparato le istruzioni consegnate sia a Jacobo Boyra, capitano dei cavalieri di Noto, sia a Giovanni de Ingo, comandante della cavalleria di Caltagirone, constatando che sono state redatte facendo riferimento ad un medesimo archetipo in quanto ho potuto rilevare una sola variante relativa alle istruzioni per Caltagirone, dove il termine per la presentazione alla compagnia, in caso di assenza dalla città, e portato a 24 ore.
Utilizzo le istruzioni impartite da Hernando a Iacobo Bayra, barone di li Maccari e “capitano di cavalli” di Noto, per analizzare i modelli operativi da seguire nel caso in cui sia previsto il ricorso alla mobilitazione per far fronte ad un attacco degli ottomani. I compiti del capitano sono così enumerati :
- radunare la compagnia entro 4 ore dal momento in cui si riceve l’ordine del viceré o del vicario;
- far rispettare il bando del vicario nel quale si ordina che i cavalieri non si possano allontanare dalla città senza licenza del capitano che può concederla in modo che «non passano lo numero di dechi»;
- organizzare la compagnia suddividendola in manipoli di 10 cavalli affidandoli ad un caposquadra;
- disporre che la domenica «poy di manchari, li fariti tutti cavalcari cum loro armi et li congregariti in alcuno loco a vui ben visto cum farili industriari et exercitari in li cosi di la guerra»
- esercitare la propria giurisdizione esclusivamente sulla disciplina dei cavalieri e su tutti gli “affari della guerra”, gli altri compiti «fora di guerra, li hanno di providiri li officiali ordinarii di la cità»;
- controllare che tutti i cavalieri tengano in ordine i finimenti dei cavalli e le armi in dotazione;
- far rispettare il divieto di vendere o donare i cavalli e le armi.
Si elencano infine «li exemptioni et ymmunitati chi ditti genti di cavallo hanno di gaudiri»:
- autorizzazione a portare armi «ofensivi et defensivi fina a dui huri di notti»;
- esenzione dal pagamento «tanto di li donativi comu di colletti regi et solamenti siano obligati pagari la rata chi li tocca a lo minuto»;
- esonero dall’obbligo «a dari posata né letti» nelle loro case ad ufficiali o ad altre persone;
- dispensa dal pagamento di collette imposte per pagare le vedette lungo la costa
- regia salvaguardia per i cavalli e le armi affidategli per l’espletamento del loro servizio, che non possono essere pignorati o venduti all’asta dai creditori.
Si prevede, infine, che quando i cavalieri si allontaneranno dalla città per servizio gli si corrisponderà un’indennità mensile di onze 2.6 nel caso in cui siano armati di «scupetti et arcabuxi», mentre per quelli «che portiranno lanzuni» il rimborso spese sarà di onze 2.
Hernando vigila con attenzione affinché le istruzioni siano eseguite in tutte le città e terre, sottoposte alla sua giurisdizione, da parte dei responsabili del governo delle comunità locali. La scelta della domenica per l’esercitazione settimanale è fatta per non avere ricadute negative sulle attività lavorative; in realtà, essendo affidata a sergenti e caporali privi di reale preparazione militare, procura problemi continui e soprattutto incidenti, anche mortali, che coinvolgono sia i fanti sia i cavalieri. Hernando indaga sui singoli incidenti per evitare di trovarsi di fronte a simulatori che, in tal modo, vogliono scansarsi di prestare servizio nella milizia.
Ninni Giuffrida
Fonti
Antonino Giuffrida, La fortezza indifesa e il progetto del Vega per una ristrutturazione del sistema difensivo siciliano, in Mediterraneo in armi (secc. XV-XVIII), a cura di Rossella Cancila, Quaderni di Mediterranea 4, Tomo I, 2007.