Mai come quest’anno, il Festival delle letterature migranti è portato a viaggiare. Di necessità virtù, ma non solo. La pandemia può e deve essere occasione per rivedere, considerare nuove prospettive, esplorare percorsi comunicativi.
Mai come quest’anno, il Festival delle letterature migranti è portato a viaggiare. Di necessità virtù, ma non solo. La pandemia può e deve essere occasione per rivedere, considerare nuove prospettive, esplorare percorsi comunicativi.
La sua popolarità al grande pubblico, inutile negarlo, è dovuta principalmente all’interpretazione di Mimì Augello nella serie su Montalbano giovane. A Palermo ha tenuto una settimana intensiva di recitazione cinematografica organizzata dalla scuola Piano focale, diretta da Pippo Gigliorosso. Un lavoro finalizzato alla preparazione di un monologo e alla simulazione di un provino cinematografico, ammesso che si superi un percorso interiore che non fa sconti a nessuno.
Quella del ritorno al monologo è una scelta obbligata, o almeno privilegiata, in una fase di ripresa del teatro dal vivo.
Da schiavista a predicatore e attivista per i diritti dei neri. A John Newton è sopravvissuta più di ogni cosa la sua “Amazing grace”, inno alla vita da uomo libero.
A scriverla fu il pastore anglicano John Newton nel periodo in cui era approdato a una vita in cui probabilmente aveva imparato ad amare, mettendosi nei panni delle persone che, una volta, trasportava come schiavi. Non dev’essere stata un’esistenza facile, la sua.
Non erano nere, le vittime, ma siciliane. Di Cefalù: i tre fratelli Giuseppe Joe Defatta, Francesco (Frank) Defatta, Pasquale (Charles) Defatta e poi Rosario Fiduccia e Giovanni Cirami.
Nessuno di loro era una stinco di santo, sia chiaro. E il ferimento del dottore fu un’azione che convinse i cittadini di Tallulah della volontà di uccidere di quel gruppo rissoso di siciliani. Siciliani: dago. Così erano chiamati.
Francesco Macaluso, Imam di Palermo, racconta con quale spirito i fedeli vivono questa importantissima ricorrenza con regole mai sperimentate prima
Alberghi, ristoranti, dolcerie ed empori: la città di fine secolo nella guida di Luigi Natoli. Un viaggio, il nostro, che potrebbe continuare all’infinito, e che non coinvolge solo la storia, ma tutti i quanti i sensi. E i sentimenti: come rintracciare nella categoria “banchieri” Ignazio e Vincenzo Florio e, tra i medici, un certo dottor Giuseppe Pitré.
E se è fin troppo ovvio paragonare la vicenda della pandemia a una discesa negli abissi o alla lotta strenua contro una balena che, come il Leviatano, incanutisce e paralizza di terrore il mondo, è anche vero che di testimoni, di sopravvissuti, in questo caso ce ne sono tanti. Non solo testimoni diretti, ma anche, insieme a loro, persone che in questa via crucis hanno fatto e fanno da veri e propri ammortizzatori. Qualcosa in meno di “sopravvissuti per raccontare” e qualcosa in più di osservatori diretti.
Angelo, demone, vestale della casa o causa di sventure per l’uomo che le si accompagna. Ingenua o pienamente consapevole dei propri mezzi. Sono solo alcune delle declinazioni con cui la donna è rappresentata in letteratura.
“Ma alla fine, lei sua madre l’ha perdonata?”
Una domanda da cento miliardi di dollari, che si sarà sentita rivolgere mille e mille volte. Forse nella speranza, da parte di chi chiede, di un lieto fine.
“Non dovevo perdonarla, io mi sento una figlia in tutto. Legga il libro: non troverà un’oncia di rabbia”. L’essenza di Costanza Rizzacasa D’Orsogna, giornalista e scrittrice di natali palermitani, è tutta in questa risposta: elegante, forse d’altri tempi perfino in quella citazione di un’unità di misura che non esiste più.
Sulle tracce di una delle figure più affascinanti e (consumisticamente) celebrate della storia. “Duole ammetterlo, ma il 14 febbraio è entrato ormai da tempo nel calendario dei bisogni indotti, quello che alimenta le ricorrenze in funzione dei consumi. In questo senso, San Valentino non è diverso da Natale o dalla festa di San Giuseppe”. Ad affermarlo è padre Giuseppe Bucaro, direttore dell’ufficio Beni culturali dell’Arcidiocesi palermitana. Chissà che cosa ne avrebbe pensato Valentino da Terni, vescovo e martire cristiano che pagò con la vita il proprio credo. Una vita che gli fu risparmiata una prima volta, probabilmente in virtù della propria appartenenza a una famiglia patrizia.
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