Bodies Exhibition: un viaggio tra corpi nei corpi
Dal 19 al 21 Aprile si è tenuta a Palermo la mostra Bodies Exhibition presso l’Astoria Palace Hotel. Il visitatore è guidato in un viaggio all’interno del corpo umano, navigando tra scheletri, arti e organi fino ad arrivare a cadaveri, privati della superficie epidermica e cristallizzati in azioni quotidiane, mentre parlano tra loro, fanno sport o semplicemente attendono, seduti su una sedia, che il regno dei vivi li visiti.
Il viaggio nell’Ade dell’anatomia inizia con un ascensore carontideo che conduce nei sotterranei del noto hotel palermitano: due piani sotto terra, ad accogliere il visitatore, si trova un corpo che – tramite una cerniera metaforica posta sull’addome – mostra l’apparato digerente umano e, da lì, mette in evidenza il sistema motorio e parte del sistema nervoso. Proseguendo la passeggiata nella sala minimalisticamente addobbata, incontriamo un altro corpo, fotografato in una funambolesca posizione che ne distende i muscoli e ne svela anatomia e architettura. A fianco, troviamo lo strato più superficiale dell’epidermide, adagiato su un lettino, come fosse un vestito da indossare prima di entrare in scena. Pochi passi avanti e siamo di fronte ad un altro corpo, questa volta diviso in due eguali metà, specularmente posizionate, che evidenziano tutti gli organi del corpo umano sezionati. Infine ci imbattiamo in uno scheletro, appartenuto ad un uomo cui probabilmente la ladra silenziosa che è l’osteoporosi aveva fatto visita, rendendo in vita la sue ossa di porcellana. Al centro della stanza troviamo un lungo tavolo, di circa due metri, apparecchiato con listelle di egual misura di un corpo umano interamente sezionato tramite piani orizzontali.
Tra un cadavere e un altro si possono osservare “organi senza corpo”, pezzi anatomici e funzioni fisiologiche basiche: troviamo il cuore e l’apparato cardiocircolatorio, l’apparato digerente e gli organi sessuali (sia maschili che femminili); possiamo ancora osservare i polmoni e le vie respiratorie e, infine, arti superiori e inferiori di cui viene messa in luce la sofisticata struttura.
Le indicazioni ci conducono poi in un’altra stanza, in cui in passato abbiamo probabilmente assistito a conferenze, giornate di studio o campagne elettorali. Ad attirare la nostra attenzione adesso non sono però discorsi politici o interessi scientifici, ma l’accostamento tra organi sani e organi malati. Anzitutto possiamo osservare la differenza tra i polmoni cinerei dei fumatori rispetto a cui risaltano i vermigli organi respiratori degli obiettori di coscienza del tabagismo. In un tavolo a fianco troviamo una serie di assaggi di organi danneggiati da gastriti, tumori e altre malattie di gravità variabile. A condire la location vi sono sezioni di corpo, tagliate secondo piani orizzontali o verticali, che svelano, come radiografie, l’interno dello scrigno osseo che ci sorregge. Di grande impatto, sia visivo che emotivo, la mostra non espone modelli di corpi umani ma veri corpi umani conservati tramite un processo di plastinazione.
La plastinazione, ideata dall’anatomopatologo Gunther Von Hagens (1977) presso l’Università di Heidelberg negli anni Ottanta, è un metodo di conservazione del corpo umano tramite la sostituzione di liquidi con polimeri di silicone, tecnica che rende i reperti organici rigidi ed inodore, mantenendo inalterati i colori. Un corpo che si fa statua, quindi, ottenuto in seguito ad una serie di trattamenti del cadavere donato volontariamente all’Anatomy Art, l’ibridazione tra scienza e arte. O forse faremmo meglio a dire: le statue e le tavole anatomiche di vesaliana memoria divengono modello del corpo (van Dijck 2001), rendendolo, letteralmente, una natura morta ottenuta tramite una prima fase di imbalsamazione e dissezione anatomica – finalizzata a bloccare i processi degenerativi – cui segue la rimozione dal corpo di grassi e acqua tramite un’immersione del cadavere nell’acetone, in seguito sostituito dall’introduzione pervasiva di silicone. Infine il corpo può essere sezionato per illustrare funzioni fisiologiche basiche oppure può mantenere la sua forma “umana” venendo fotografato per l’eternità e cristallizzato in una determinata posizione tramite aghi e spaghi.
In entrambi i casi il risultato è talmente sorprendente da fare invidia ai protagonisti de La morte ti fa bella, il celebre film di Robert Zemeckis in cui Bruce Willis – nei panni del Dottor Ernest Menville – si guadagna da vivere truccando e rendendo presentabili i cadaveri dei vip.
La mostra fornisce l’occasione per riflettere sull’identità corporea e l’intrusione dell’artificiale nel corpo umano. Sembra lecito infatti chiedersi se il corpo plastinato – composto per il 70% da strutture artificiali – possa essere ancora considerato un corpo umano. Domanda che ne presuppone un’altra: cos’è un corpo umano? La connessione tra le due domande ci pone innanzi all’esigenza di ridefinire l’universo del corpo umano, non più pensabile secondo una logica binaria che oppone umano e non umano, organico e tecnologico.
La tecnologia oggi agisce pervasivamente nella nostra vita, tanto da riordinare e riorganizzare il materiale organico su cui interviene: essa diviene strumento di metamorfosi che opera sul corpo e nel corpo e che conduce all’assimilazione, nell’essere umano, del dato tecnologico. L’intervento pervasivo della tecnologia fa crollare dunque la concezione rinascimentale e illuministica di corpo come ciò che è dato, unità di materia e identità. Come conseguenza sorge l’esigenza di riscrivere lo statuto del corpo, un post–body che rimpiazza il corpo organico, “naturale”, trasformandolo in un terreno in fieri, costantemente sperimentato e sollecitato alla metamorfosi (Vallorani 2012).
Von Hagens (2007) e i suoi seguaci affermano di essere interessati al “corpo reale”. Qui “corpo reale” è un cadavere chirurgicamente modificato, un corpo che rappresenta la natura ibrida del corpo contemporaneo che non possiamo classificare né come esclusivamente organico, né come esclusivamente artificiale. Passeggiando per la mostra ci troviamo di fronte a corpi cyborg (Clynes & Kline 1960) o post-umani (Deitch 1992), un misto di parti organiche e tecnologiche, né naturali né artificiali giacchè tale distinzione ha ormai perso ogni significato (Halberstam & Livingstone 1995, Hayles 1999).
Per giungere al plastinato, il cadavere viene inizialmente depersonalizzato tramite la rimozione della pelle e la successiva sostituzione dei tessuti con la plastica, per essere poi ripersonalizzato tramite l’attribuzione di un’identità per l’eternità in base alla posizione o la funzione che si fa assumere al cadavere. È in questi processi di depersonalizzazione e ripersonalizzazione che l’identità del corpo è radicalmente trasformata: insieme queste operazioni evidenziano l’artificialità dei plastinati risultanti, i quali mostrano come la tecnologia sia stata incorporata nell’organicità umana, ristrutturandola per intero.
L’intrusione della tecnologia nel corpo umano continua infatti dopo la morte: per sopravvivere, il corpo si trasforma in corpo post–mortale, una nuova categoria la cui immortalità è tecnologicamente derivata tramite una commistione sempre più profonda di organico e inorganico, di organico e cibernetico.
Body Exhibition è dunque un esempio dell’intervento della tecnologia sui nostri corpi, sulla rappresentazione che abbiamo di essi e sul modo in cui li percepiamo e li trattiamo. Ma non solo. La mostra ci restituisce, infatti, un corpo frammentato, proprio come conseguenza dell’azione della tecnologia su esso. Osservando i plastinati, sia nella loro forma “umana” sia come dissezioni anatomiche, giungiamo alla concezione di un corpo costituito da pezzi ricombinabili, un corpo di composizione metonimica in cui ogni parte va per suo conto e dunque può essere modificata indipendentemente dalle altre.
Questa concezione frantuma la percezione che abbiamo dei nostri corpi come entità coese, unitarie e connesse, pensabili solo nella loro integrità: il corpo si presenta in pezzi, costituendo un mosaico le cui tessere possono essere sostituite o trasformate ed infinitamente ricombinate. Ci troviamo di fronte organi che hanno perso la loro caratteristica di essere in un recinto delimitato dalla pelle, inducendoci a pensare al corpo non nei termini di unità statica ma di complessità dinamica ed infinitamente riscrivibile.
Ripensando in tal modo lo spazio corporeo, i confini tra umano e non umano divengono meno netti e non sono più disturbati dagli apparenti codici visuo-culturali che vogliono l’uomo in cima alla scala gerarchica dei viventi.
I corpi plastinati perdono infatti la loro individualità, personale e di specie: nessun nome, né etnia, genere né esperienze o memorie sono conservate. “Andando oltre la pelle” (Wegenstein 2003) emergono le somiglianze tra corpi che inducono il visitatore a mettere in discussione il limite tra ciò che è umano e ciò che non lo è: la mostra svela che umano e non umano sono connessi l’un l’altro in una diade inscindibile in cui l’umano necessita del non umano per comprendersi e per essere compreso, rivelando una profonda continuità e complessità tra i diversi gradi ontologici del reale.
Riferimenti bibliografici
Clynes M. E. & Kline N. S. (1960) Cyborgs and space in Astronautics.
Deitch, J. (1992) Post Human. FAE Musee d’Art Contemporain Pully: Lausanne.
Halberstam, J. & Livingstone, I. (1995) Posthuman Bodies. Indiana University Press: Bloomington.
Hayles, K. (1999) How We Became Posthuman: Virtual Bodies in Cybernetics, Literature and Informatics. University of Chicago Press: Chicago.
Wegenstein, B. (2003) “Getting Under the Skin, or, How Faces Have Become Obsolete,” in Configurations, special issue Makeover: Writing the Body into the Posthuman Technoscape. Part I Embracing the Posthuman, ed. Timothy Lenoir, n. 10.2 (pp. 221-259).
Vallorani, N. (2012) “Final cuts. Identità, corpo, cultura” in Marini, L. (ed.) Il corpo post-umano: scienze, diritto, società. Carocci: Roma.
Van Djick J. (2001) “Bodyworlds: The Art of Plastinated Cadavers” in Configurations 9:1.
Von Hagens, G. (2007) “Anatomy and Plastination” in Von Hagens, G. & Walley, A. (eds.), Body Worlds: The Anatomical Exhibition of Real Human Bodies (pp. 9-37). Arts and Sciences: Heidelberg.
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