Breve storia dell’inchiostro – Parte Quinta
L’esperienza araba
Inchiostro arabo
Le formule per preparare l’inchiostro rivestono nel mondo dei calligrafi arabi un ruolo molto importante. Escludendo l’uso del nero di seppia, per il quale non esistono fonti, gli inchiostri arabi possono essere di tre tipi: quello al carbone, detto midād ricavato dal nerofumo delle lampade (Gacek 2001. 133), quello metallo-gallico basato sulla miscela di tannino con un sale metallico, chiamato ḥibr (Déroche e Sagaria Rossi 2012, 120-124; ), e un terzo misto ottenuto unendo due tipi precedenti.
Gli inchiostri al carbonio
Per gli inchiostri al carbonio, molto spesso erano impiegate sostanze vegetali: le fonti citano senza un ordine specifico la farina di frumento, il legno di abete, la zucca, i datteri, le noci, l’olio ricavato da diverse piante (Déroche e Sagaria Rossi 2012, 82-83). La trasformazione di sostanze organiche o minerali in carbone, seguiva procedimenti più o meno raffinati; a volte si trattava di semplice carbonizzazione in cui i residui erano raccolti e ridotti in polvere per azione meccanica. Spesso la materia era setacciata per ottenere un prodotto più fine; sotto questo punto di vista la vaporizzazione raggiungeva risultati ancora più soddisfacenti: un oggetto, per esempio una coppetta posta sopra un fuoco, raccoglieva il nerofumo che la combustione di una materia ricca di carbonio sprigionava; sistema simile era in uso presso i Cinesi, i Coreani e i Giapponesi. A Costantinopoli si suole raccontare che il deposito che si accumulava sulle lampade delle moschee fosse utilizzato per farne inchiostro. Come legante la gomma arabica era l’ingrediente più diffuso, ma in una ricetta di presunta origine indiana Ibn Bādīs segnala il bianco d’uovo.
Inchiostri metallo-gallici
Le ricette per la preparazione dell’inchiostro metallo-gallico sono conosciute sin dall’antichità. Esse si basano sulla reazione chimica tra le due componenti che le contraddistinguono: il tannino e il sale di rame o di ferro. Il tannino è estratto dalla noce di galla (in arabo ‘afṣ) o cecidio, escrescenza sviluppata da foglie e rami di alcune specie di quercia come reazioni a punture d’insetti che depositano così le uova; la foglia forma allora un cuscinetto che, secondo gli autori, è tanto più ricco di acido tannico quanto più la larva è penetrata nell’involucro senza perforarlo. Le fonti arabo-islamiche menzionano altri vegetali stimati per il loro elevato tenore di tannino, tra i quali si trovano il mirabolano, la scorza di melograno, un decotto di mirto fresco. Il sale metallico è generalmente un vetriolo, composto di un solfato ferroso di colore verde o di rame tendente al blu (Déroche e Sagaria Rossi 2012, 83-84). Ricette che riflettono forse pratiche persiane, riportano un allume come il solfato doppio di potassio e di alluminio. Gli inchiostri metallo-gallici possono corrodere il supporto; infatti non è raro trovare dei manoscritti la cui carta è stata corrosa dall’inchiostro. Zerdoun Bat-Yehouda (1983, 327-243) fornisce numerose ricette provenienti dall’Africa del nord. Tra tutte, se ne cita una a scopo esemplificativo (Chabbou, 1995, 59-76):
noce di galla (arabo: ′afṣ‛): una parte;
vetriolo: un quarto di parte;
gomma arabica: una parte;
acqua: tre parti.
Inchiostri misti
Molte ricette trasmesse dalle fonti sono miste e includono tutti gli ingredienti di un tipo d’inchiostro integrandoli con uno o più elementi dell’altro gruppo. In tal modo si aggiunge nerofumo a preparazioni metallo-galliche, con lo scopo di rendere più durevole quel nero caratteristico di una varietà che tende ad alterarsi. Secondo una fonte persiana del XVI secolo l’introduzione di queste composizioni sarebbero legate al nome di Ibn Muqlah (Déroche e Sagaraia Rossi 2012, 84-85).
Inchiostri colorati
Nei manoscritti islamici è frequente l’uso del rosso per i titoli, ma era usato anche l’inchiostro dorato per scrivere l’inizio della prima sura del Corano, in forma di rispetto. Nel Medioevo i codici più pregiati recavano i capilettera filigranati o miniati con vivaci colori (blu, rosso, verde, ecc.) ottenuti da sostanze differenti nelle diverse epoche. L’uso degli inchiostri colorati, ereditato dall’antichità, è un elemento costante nel mondo arabo-islamico, come testimoniato nei primi secoli dell’Égira. In copie paleograficamente databili al VII secolo, l’inizio delle sure è indicato in rosso; in rosso sono anche i primi sistemi di vocalizzazione, perfezionati poi con punti verdi e gialli. Insieme al rosso, i copisti e miniatori molto presto e in maniera variabile ricorrevano anche all’oro e all’argento, benché motivi giuridici inerenti l’Islàm abbiano talora messo in discussione l’impiego di queste materie preziose. Il settimo capitolo dell’opera di Ibn Bādīs è dedicato alla scrittura con oro, argento, rame, stagno e loro sostituti. Per l’oro vi sono descritte preparazioni a base di oro polverizzato unito ad aceto o con allume o con mercurio e gomma arabica; oppure è indicata una miscela di zolfo giallo, allume, cera, arsenico, zafferano. Per l’argento è indicato il metallo liquefatto unito al mercurio e a gomma arabica o l’argento polverizzato e gomma arabica, oppure lo stagno bianco con mercurio, gomma arabica e gomma adragante (Déroche e Sagaria Rossi 2012, 85-88).
Lacca
La lacca, originariamente utilizzata in Cina, fu impiegata anche in Iran Turchia e India dal XV al XIX secolo. Vi sono rari esempi di lacca applicata al cuoio, mentre usualmente era utilizzata sul cartone e specialmente nel tardo periodo, sulla carta decorata. Molte delle testimonianze che ci sono prevenute, provengono dal periodo Qajar, dinastia che governò in Persia dal 1781 al 1925 (Gacek 2012 138-139).
Opere citate
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