Breve storia dell’inchiostro – Parte Prima
Una Premessa
Con il Direttore della Biblioteca centrale della Regione iniziamo un percorso che dal manoscritto ci porterà al libro stampato. Un percorso molto articolato che dagli inchiostri ci porterà ai supporti per la scrittura che dalle tavolette, ai papiri giunge alla carta senza la quale non poteva maturare il processo tecnologico della stampa. Ma non voglio anticipare nulla, in queste prime tre puntate del suo percorso, Carlo Pastena affronterà il tema dell’inchiostro fornendoci anche le ricette che, forse, sarebbe interessante cercare di replicare e di sperimentare. L’importanza del lavoro di Pastena sugli inchiostri è legata al suo tentativo di realizzare un “storia globale dell’inchiostro”.
Un lettore attento potrà, quindi, percepire come le tecniche di produzione e di utilizzo del prodotto inchiostro abbiamo notevoli punti di contatto fra di loro e come la circolazione delle tecniche sia l’elemento chiave per scrivere con cognizione di causa sull’inchiostro.
Augurandovi una buona lettura delle prossime cinque puntate spero che possiate interagire con noi ponendoci domande o esprimendoci le vostre perplessità.
Antonino Giuffrida
Gli inchiostri greco-romani
L’inchiostro greco-romano
L’inchiostro greco- romano era di regola nero, in greco detto graphikòn mélan o più semplicemente mélan, in seguito chiamato énkauston (latino: encaustum), forse perché preparato con il fuoco e conservato in un recipiente di terracotta o di metallo chiamato in greco melandόkocheíon e in latino atramentarium. Secondo Egger (Bat-Yehouda 1983, 29), il termine «encaustum indicava per i romani un inchiostro particolare il cui impiego era riservato ai magistrati… da cui deriva il termine encaustarium o encaustarius che indicava i registri pubblici, visti e firmati dai magistrati». Sempre secondo Egger, il termine sarebbe poi passato nelle cancellerie bizantine e nel nord Europa riprendendo l’uso di questa parola. Il termine encaustum fu detto più tardi encautum e incaustum da cui l’italiano inchiostro, l’antico provenzale encaust l’inglese ynk e poi ink, il medio e basso tedesco inket, e le diverse forme del francese enque, enca, encquere, ancre e infine encre.
- Zerdoun Bat-Yehouda (1983, 13-21) divide l’inchiostro nero in quattro grandi classi: inchiostri a base di carbone; inchiostri metallo gallici; inchiostri misti; inchiostri incompleti.
Inchiostri a base di carbone
Gli inchiostri a base di carbone sono i più antichi. Utilizzati per primi dagli Egiziani, e poi presso tutti gli altri popoli, occidentali e orientali. Questo inchiostro è costituito da un pigmento nero (nerofumo o prodotti carbonizzati) cui era aggiunto un legante che varia secondo le epoche e i luoghi (gomma, miele, gelatina, bianco d’uovo, olio, ecc.).
Uno dei più antichi testi con la ricetta per ottenere l’inchiostro nero, si trova nell’opera di Vitruvio (80-15 a.C.) De architectura (VII, 10, 1-3):
«[1] Veniamo ora a quelle sostanze che attraverso particolari processi di lavorazione acquistano da altre le caratteristiche coloranti; e innanzitutto parliamo del nerofumo che è di largo impiego e molto utile nelle costruzioni, affinché si vengano a conoscere le tecniche e il procedimento per poterlo ottenere. [2] Si costruisca una stanza a volta simile a un laconico (o sudatorio) [ambiente delle terme romane per bagni di sudore, così chiamato per la credenza che fosse tipico degli Spartani, di pianta circolare o poligonale, con aperture in alto sulla volta, posto vicino alla sorgente di calore], ben rifinita a stucco marmoreo e ben levigata. Davanti ad essa si disponga una piccola fornace con degli sfiati che diano nel laconico e dopo avervi introdotta della resina si chiuda con cura la bocca del forno perché la fiamma non si disperda all’esterno. Il calore del fuoco farà si che questa liberi attraverso gli sfiati che danno nel laconico una fuliggine che si andrà a depositare sulle pareti e sulla volta della stanza. Raccolta poi questa fuliggine in parte sarà impiegata per produrre inchiostro dopo averla impastata con gomma e in parte sarà utilizzata per la decorazione delle pareti, mescolandola con la colla. [3] Per non ritardare i lavori in mancanza di nerofumo si può ricorrere a questa alternativa: si brucino dei sarmenti di vite o delle schegge di legno resinoso, e quando si sarà formata la brace, si spenga e la si frantumi mescolandola con colla; si otterrà così un colore tutt’altro che disprezzabile per l’impiego degli intonaci. [4] Lo stesso si può ottenere facendo seccare e cuocere nella fornace la feccia del vino da mescolarsi poi con colla e quindi da utilizzare sfruttando le sue tonalità di nero particolarmente gradevoli; anzi quanto migliore sarà la qualità del vino, tanto più lo sarà la tonalità del colore più vicino all’indaco che al nero».
Un’altra ricetta è contenuta nell’opera di Dioscuride De materia medica (V, 162):
«L’inchiostro con cui noi scriviamo si ricava dalla fuliggine accumulata dal fumo di piccole torce. Per ciascuna oncia di gomma, si aggiungono tre once della fuliggine delle torce. Si può ottenere anche a partire dalla fuliggine proveniente dalla combustione della resina e dal nerofumo dei pittori di cui sopra (cfr. V, 161). Dobbiamo quindi prendere una mina [circa 500 grammi] di nerofumo, una libbra e mezzo di gomma, un’oncia e mezzo di colla di toro e un’oncia e mezzo di chalcanthon».
Una terza ricetta si trova nell’opera di Plinio (Hist. 35, 41-42):
«[41] Anche il nero [atramentum] sarà fra gli artificiali, sebbene sia anche del terreno, di doppia origine. Infatti o trasuda al modo della salsedine, o la terra stessa del colore del zolfo si presta a ciò. Furono scoperti pittori, che estraevano dai sepolcri contaminati i carboni. Assurde e recenti tutte queste cose. Infatti si ottiene anche dalla fuliggine in molti modi, con resina e pece bruciate, per questo costruirono anche laboratori che non emettessero questo fumo. Il più apprezzato si ottiene nello stesso modo dalle fiaccole. Viene adulterato con la fuliggine delle fornaci e dei bagni quello che usano per scrivere i libri. [42] Ci sono quelli che cuociono anche la feccia seccata del vino e affermano, che se questa feccia è ricavata dal vino buono, questo nero presenta l’aspetto dell’indaco. Polignoto e Micone , famosissimi pittori, ad Atene lo ricavarono dalle vinacce, chiamandolo tryginon [nome dell’inchiostro derivato dalle vinacce]. Apelle pensò di farlo dall’avorio bruciato, che è detto elefantino».
Una preparazione simile a quella fornita da Vitruvio si trova nell’opera di Isidoro di Siviglia (Etym. XIX, XVII, 17):
«L’atramentum, ossia il nerofumo, è stato così chiamato in quanto atrum, ossia nero. Le sue specie sono indispensabili tanto per scrivere o dipingere, quanto per differenti usi quotidiani. Si tratta di un colore artificiale ottenuto attraverso procedimenti vari, dalla fuliggine che si deposita sulle fiaccole, con l’aggiunta di una resina, raccolta in un piccolo contenitore, che trattiene il fumo. Per aumentarne lo splendore, i pittori aggiungono al nerofumo glutine mescolato con acqua». E ancora, parlando dei colori (Etym. XIX, XVII, 18): «Se si ha fretta di condurre a termine un lavoro, anche dei carboni ricavati bruciando sarmenti vecchi, triturati insieme con glutine, danno un colore simile al nerofumo che si può applicare alle pareti che si vogliono ricoprire. Alcuni lo preparano cuocendo la feccia del vino fatta previamente seccare e dicono che, se si utilizza feccia di vino buono, il colore dell’atramento così ottenuto ricorda quello dell’indaco. Anche il sarmento dell’uva nera, lasciato seccare al sole e quindi bagnato con vino di eccellente qualità, se lo si brucia e tritura con aggiunta di glutine, assume il colore brillante dell’indaco». Quest’ultimo passo ricorda la preparazione dell’inchiostro secondo quando descritto da Vitruvio nel suo De architectura.
Va comunque ricordato che probabilmente sia i Greci sia i Romani conoscevano, oltre l’inchiostro al nerofumo, anche quello al nero di seppia. Decimo Magno Ausonio (310-395 d.C. ca) e Persio (34-62 d.C.) utilizzano il termine sepia nel senso di inchiostro, il che lascia pensare che effettivamente doveva essere utilizzato per questo scopo.
Inchiostri metallo-gallici
All’inizio del medioevo in Europa, si diffuse l’utilizzo della pergamena in sostituzione del più costoso papiro. Questo comportò delle modifiche anche nell’inchiostro utilizzato. Infatti utilizzando al posto del papiro la pergamena, poiché l’inchiostro a base di carbone aderiva male a questo tipo di supporto, si cominciarono ad utilizzare inchiostri metallo-gallici. Questi erano preparati partendo da estratti vegetali che contenevano un’alta dose di tannino. Gli estratti erano ottenuti per decozione o per macerazione.
Nel primo caso i vegetali erano fatti bollire in un liquido (in genere acqua, ma anche vino) al fine di estrarre le sostanze attive. Nel secondo caso invece, per ottenere lo stesso effetto, le sostanze vegetali erano lasciati a macerare nell’acqua o in altro liquido per un tempo più o meno lungo. Al liquido ottenuto si aggiungeva un sale metallico, solfato di rame o di ferro. Il solfato, allo stato cristallino, provoca una reazione con il principio attivo dell’estratto vegetale, dando un colore nero. Infine per mantenere la viscosità dell’inchiostro si aggiungeva un legante, più spesso gomma arabica. Gli inchiostri metallo-gallici, sono molto spesso molto corrosivi, come dimostrano i documenti che ci sono pervenuti, che spesso mostrano una totale corrosione del supporto cartaceo o pergamenaceo.
Inchiostri misti
Una terza categoria di inchiostri è rappresentata da quelli detti misti. In questo caso all’inchiostro fatto con il carbone, erano aggiunti die prodotti tanninici o dei sali metallici, con lo scopo di accentuare il colore nero.
Inchiostri incompleti
La quarta categoria di inchiostri, definiti da M. Zerdoun Bat-Yehouda incompleti, sono del tipo metallo-gallico, ma a loro manca un ingrediente. Se a esempio un inchiostro metallo-gallico era composto da: estratti vegetali + sale metallico (vetriolo) + legante (gomma arabica); quelli incompleti potevano essere di tre tipi:
Tipo A: estratto vegetale + sale metallico;
Tipo B: Estratto vegetale + legante (gomma arabica);
Tipo C: Sale metallico + gomma arabica. L’inchiostro greco-romano non presenta particolari caratteristiche, essendo ricavato dal nerofumo con l’aggiunta di un collante come legame.
Opere citate
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