Breve storia dell’inchiostro – Parte Seconda
L’inchiostro: dal medioevo alla penna stilografica
Le formule medievali per la preparazione dell’inchiostro
Durante il medioevo le formule per la preparazione dell’inchiostro erano molto varie, così che in Occidente, a seconda dei prodotti e delle percentuali adottate, il suo colore poteva variare dal nero al bruno al giallastro. Nel IV-V d.C. secondo la sua consistenza era simile alla lacca e il suo colore oscillava fra il giallo scuro brillante e il marrone olivastro. Nel VI secolo si utilizzava un inchiostro più bruno, ottenuto facendo macerare nel vino rametti di biancospino o di prugnolo, ma aggiungendo a questo del vetriolo o del nerofumo il suo colore diventava più scuro. Nel VII secolo predominava l’inchiostro marrone, mentre nell’VIII il suo colore tendeva al verdastro per un aumento della percentuale dei composti di rame (vetriolo verde o solfuro di rame). In Irlanda e nei paesi anglosassoni (Bretagna e Germania) si usava invece un inchiostro nero o brunastro. Infine, nel Basso Medioevo l’inchiostro ritornò nero o marrone scuro, essendo composto di una miscela di vetriolo e noce di galla mescolati con vino, acqua piovana o aceto; in questo periodo è in ogni caso possibile trovare anche inchiostri più chiari.
Sempre per quanto riguarda gli inchiostri medievali in Occidente, sono numerose le opere che riportano diverse formule. A esempio, questa è la ricetta tratta dal manoscritto di Jehan Le Bègue, del XV secolo:
«Per fare un buon inchiostro per scrivere particolarmente i libri prendi quattro bottiglie di ottimo vino rosso o bianco e una libbra di galla poco fratturata, si ponga questo nel vino e ci stia per dodici giorni e si mescoli ogni giorno con un bastoncino. Il dodicesimo giorno si filtri con un pezzo di lino fine e si versi in un pentolone sterilizzato e si riscaldi finché non bolla. Poi si levi dal fuoco e quando si sia raffreddato tanto da essere tiepido si pongano quattro once di gomma arabica ben lucida e bianca e si agiti con un bastoncino. Poi si aggiunga mezza libbra di vetriolo romano e si agiti bene sempre con un bastoncino finché tutto sia ben amalgamato, si faccia raffreddare e sarà pronto per l’uso…».
Quest’altra ricetta invece, è di Petrus Maria Caneparius (1619), ed è tratta dal De atramentis cuiuscumque generis del 1619 ristampato nel 1660:
«Si mescolino per quattro giorni 4 libbre di vino bianco, un bicchiere di aceto fortissimo e 2 once di galla fratturata. Poi si cuociano al fuoco fino all’evaporazione di un quarto di essi. Dopo si colino e alla colatura si può aggiungere due once di gomma arabica tritata e mescolando bene bene si rimetta al fuoco perché bolla il tempo necessario a dire tre “pater noster”. Quindi si tolga dal fuoco e si aggiungano 3 once di vetriolo romano tritato mescolando continuamente con un bastoncino finché sia quasi freddo. Quindi si riponga in una coppetta di vetro che deve essere tenuta ben riparata dalla luce e dall’aria. Dopo che sia stato tempo bello per tre giorni completi si coli e si usi» (Ruggiero 2002, 116-117).
Nei manoscritti si scriveva anche con inchiostro rosso, in particolare per indicare l’inizio dei capitoli, e in alcuni casi era usato un inchiostro dorato (crisografia), o argentato (argirografia) non solo per i codici biblici e liturgici, ma anche per quelli profani; le pagine di pergamena infine potevano anche essere miniate. Nei manoscritti medievali il testo, scritto tutto di seguito senza cambiare pagina all’inizio di un nuovo capitolo per risparmiare spazio e quindi pergamena, era diviso dai titoli rubricati cioè scritti in rosso (dal latino rubrum = rosso).
Inchiostro tipografico
L’inchiostro moderno è definito dalla Norma UNI 7290:1994 § 5.6 come:
«Elemento di contrasto, liquido, solido o in polvere, trasferito o attivato sul supporto di stampa per costituire il grafismo ».
Gli inchiostri destinati alla stampa differiscono da quelli per la scrittura in quanto contengono una vernice che funziona come mezzo per fissare la sostanza colorante sulla carta. In passato questa vernice era costituita essenzialmente da olio di lino; oggi è a base di resine sintetiche. Gli inchiostri nel XV-XVI secolo finalizzati alla scrittura manoscritta sulla pergamena o sulla carta, erano di tipo metallo-gallici, ottenuti miscelando estratto di tannino più un sale metallico e un legante. Questo tipo d’inchiostro nero che spesso corrodeva la carta, era molto liquido, e se fosse stato utilizzato per inchiostrare la forma di stampa sarebbe colato, impedendo l’impressione dei caratteri sul foglio. Occorreva quindi un inchiostro che si potesse spalmare uniformemente sulla superficie metallica senza formare granuli. La soluzione fu trovata nei colori oleosi dei pittori fiamminghi del XV secolo: olio di lino, trementina, acqua ragia, vernice soda o liquida, secondo della stagione per regolare la viscosità (Bloy 1967, 99-101). Come pigmento nero, fu utilizzato il nerofumo di lampada, come negli inchiostri più antichi e la marcassite, un solfuro di ferro simile alla pirite. Il cinabro e la lacca erano invece impiegati per l’inchiostro rosso.
S.H. Steinberg (1962, 22-26) ritiene che l’unica grande invenzione di Gutenberg senza la quale non sarebbe stata possibile la stampa in Occidente nel senso moderno della parola, sia stato l’inchiostro oleoso. In realtà l’inchiostro oleoso era già noto ai tempi di Gutemberg, e Bloy (1967, 3) ipotizza che la sua formula fosse già conquista dal tipografo tedesco.
Per i secoli seguenti disponiamo di maggiori informazioni che ci provengono dall’opera di Joseph Moxon, Mechanick Exercises, (London, 1683-1684), più volte ristampata, primo manuale organico di tipografia. Nella sua opera il Moxon loda il metodo olandese di fare l’inchiostro, ritenendolo il migliore del suo tempo, caratterizzato dall’aggiunta di buon olio di lino caldo e in qualità limitata di colofonia, quest’ultima una resina vegetale residuo della distillazione delle trementine (resine di conifere) nota anche con il nome di pece greca.
Gli inchiostri per la stampa moderna sono molteplici, in funzione delle diverse esigenze del processo di stampa cui sono destinati. Possono genericamente essere divisi in:
- inchiostri per giornali: contengono ingredienti di bassa qualità che rispondono all’esigenza di breve durata di questo mezzo di comunicazione;
- inchiostri tipografici per incisioni o altre stampe pregiate, che contengono non solo sostanze coloranti di più elevata qualità ma anche vernici di qualità all’olio di lino;
- inchiostri per la stampa a colori, che contengono pigmenti naturali o di sintesi;
- inchiostri per l’offset, che contengono vernici a base di olio di lino, un agente essiccante a azione molto veloce e un solvente che li rende molto fluidi e rapidi all’asciugatura.
Nell’inchiostro moderno inoltre si distinguono i pigmenti neri, che sono d’abitudine neri di carbonio, cioè ottenuti dalla combustione controllata di oli minerali e di gas naturali; i pigmenti bianchi, suddivisi in opachi, cioè coprenti, usati per esempio per ottenere tinte pastello, e in trasparenti. I pigmenti colorati, sono per lo più inorganici, cioè prodotti per via sintetica. Nella stampa, un buon legante deve distribuire i pigmenti in modo omogeneo, far aderire l’inchiostro alla carta attraverso il complesso meccanismo dei rulli e delle matrici e resistere, una volta fissato, alle possibili deformazioni. Molto dipende dai componenti del legante: gli inchiostri grassi, usati nella stampa offset, hanno per legante oli vegetali (per esempio olio di lino) o minerali (ricavati dal petrolio) mentre gli inchiostri così detti liquidi, usati nella stampa rotocalco e flessografica, ne sono del tutto privi, preferendo solventi volatili come l’acetato di etile e gli alcoli.
Inchiostro moderno delle penne
L’inchiostro moderno è a base di anilina, un liquido oleoso, moderatamente solubile in acqua, incolore appena preparato, ma in grado di virare al giallo bruno in presenza di ossigeno. Entra nell’uso generale come base per i coloranti sintetici nel 1856 con l’avvento della fucsina, un composto che si scioglie in acqua per formare soluzioni colorate in violetto. La maggior parte degli inchiostri all’anilina sono coperti da brevetto, per cui la loro esatta composizione non è nota. I primi inchiostri moderni erano molto sensibili all’esposizione all’aria e alla luce; la migliore qualità delle varietà prodotte al giorno d’oggi conferisce loro maggiore stabilità, anche se sono facilmente attaccati dagli agenti chimici. Tra gli inchiostri all’anilina di più largo consumo si debbono ricordare quelli per le penne a sfera (solubili in acqua e nei più comuni solventi organici) e quelli per le penne stilografiche (solubili in acqua e molto sensibili alla luce).
Opere citate
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