Carlo V, l’imperatore del Sacro romano impero
Carlo V d’Asburgo è stato imperatore del Sacro romano impero germanico e arciduca d’Austria dal 1519, re di Spagna (Castiglia e Aragona) dal 1516, e principe dei Paesi Bassi come duca di Borgogna dal 1506.
Nel periodo in cui regnò ebbe come obiettivo la costruzione di un’unità politica e religiosa in Europa sotto il nome di “monarchia universale cristiana”.
La sua vita fu segnata dal viaggio. Sul suo cammino incontrò ostacoli che minacciarono la sua autorità tanto da abdicare nel 1556. Svanì così il suo sogno dell’impero universale.
Carlo V, la vita dell’imperatore
Il 21 ottobre 1496 Massimiliano I d’Asburgo – arciduca d’Austria, nonché imperatore del Sacro Romano Impero – mediante un’accorta politica matrimoniale, fece in modo che il proprio figlio ed erede al trono Filippo, detto “il bello”, prendesse in moglie Giovanna di Castiglia, figlia minore dei cattolici sovrani di Spagna Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia.
I coniugi reali si spostarono nel 1499 da Bruxelles verso l’antica capitale Gand, nella contea delle Fiandre, dove, il 24 febbraio 1500, nacque Carlo. Successivamente alla coppia nacquero altri cinque figli.
È un mondo che ha una formazione culturale e una struttura dei rapporti sociali rigidissima, come spiega lo storico Ninni Giuffrida. La formazione di Carlo ricevette le basi dai più illustri tutori dell’epoca: tra questi anche Adrian Florensz di Utrecht, all’epoca decano di San Pietro e vice-cancelliere dell’università, il futuro papa Adriano VI. Tutta l’educazione del giovane principe si svolse nelle Fiandre, impregnata di cultura fiamminga e in lingua francese, nonostante i suoi natali austro-ispanici.
Praticò la scherma, fu abile cavallerizzo – celebre è il ritratto del 1548 di Tiziano Vecellio che lo ritrae a cavallo – ma cagionevole di salute perché soffriva di epilessia. Contrariamente a quanto avveniva comunemente a quei tempi, Carlo contrasse un solo matrimonio, l’11 marzo 1526, con la cugina Isabella del Portogallo dalla quale ebbe sei figli.
> Leggi anche: Carlo V e il sogno infranto: il tramonto di un impero
Le imprese di Carlo V
Carlo sarebbe divenuto in breve tempo il sovrano più potente del mondo. In virtù di avi d’eccezione infatti poté ereditare un vastissimo impero, oltretutto in continua espansione, ed esteso su tre continenti: Europa, Africa e America.
Nelle sue vene scorreva il sangue blu delle più disparate nazionalità: austriaca, tedesca, spagnola, francese, polacca, italiana e inglese. I re di Aragona erano inoltre discendenti degli Hohenstaufen tramite Costanza, figlia di re Manfredi. Questo, di fatto, permise a Carlo – di fatto discendente dall’imperatore Federico II di Svevia, detto lo stupor mundi – di ereditare i regni di Napoli e Sicilia.
Il 12 gennaio 1519, con la morte del nonno paterno Massimiliano I, il sovrano, già re di Spagna da tre anni, concorse per la successione imperiale. Gli altri pretendenti erano Enrico VIII d’Inghilterra e Francesco I. L’imperatore venne nominato da sette elettori: gli arcivescovi di Magonza, Colonia e Treviri, e i signori laici di Boemia, del Palatinato, Sassonia e Brandeburgo.
Nell’occasione, per finanziare l’offerta e pagare gli elettori, Carlo fu appoggiato da Jacob II che rappresentava i banchieri Fugger di Augusta. L’elezione si risolse quando fu chiara la posizione di papa Leone X, che declinò l’offerta in favore di Carlo quindi eletto dai principi elettori con voto unanime.
L’obiettivo di Carlo V era la costruzione una unità politica e religiosa in Europa, che prendeva il nome di monarchia universale cristiana. A tal fine mise in piedi un vasto esercito costituito da lanzichenecchi tedeschi, tercios spagnoli, cavalieri borgognoni e condottieri italiani.
In linea con il suo disegno universalistico, il sovrano viaggiò continuamente nel corso della sua vita senza stanziarsi in un’unica capitale. Incontrò sul suo cammino tre grandi ostacoli che minacciarono l’autorità imperiale in Germania e Italia: il Regno di Francia, ostile all’Austria e circondato dai possedimenti carolini di Borgogna, Spagna e Impero; la nascente Riforma protestante, appoggiata dai principi luterani; e infine l’espansione dell’Impero ottomano ai confini orientali e mediterranei dei domini asburgici.
Nominato difensor ecclesiae da papa Leone X, Carlo promosse la Dieta di Worms (1521), che mise al bando Martin Lutero. Tra il 1529 e il 1535 affrontò la minaccia islamica, dapprima difendendo Vienna dall’assedio turco e poi sconfiggendo gli ottomani in Nord Africa e conquistando Tunisi.
Tuttavia, questi successi furono vanificati negli anni Quaranta del Cinquecento dalla fallimentare spedizione di Algeri e dalla perdita di Budapest. Nel frattempo, Carlo V era giunto a un accordo con papa Paolo III per dare inizio al Concilio di Trento (1545). Il rifiuto di prendervi parte della luterana Lega di Smalcalda provocò una guerra che si concluse nel 1547 con la cattura dei principi protestanti.
Quando le cose sembravano prendere il giusto verso per il sovrano, Enrico II di Francia garantì appoggio ai principi ribelli, alimentando di nuovo i dissidi luterani, venendo a patti con il sultano Solimano “il magnifico”, il nemico più pericoloso di Carlo V fin dal 1520. Di fronte alla prospettiva di un’alleanza tra tutti i suoi disparati nemici, Carlo V abdicò nel 1556 dividendo l’impero asburgico tra suo figlio Filippo II di Spagna – che ottenne Spagna, Paesi Bassi, Regno delle Due Sicilie, oltre alle colonie americane – e suo fratello Ferdinando I d’Austria.
La morte di Carlo V
Carlo V si ritirò nel 1557 in Spagna presso il monastero di Yuste, avendo abbandonato il sogno dell’impero universale di fronte alla prospettiva del pluralismo religioso e all’emergere delle monarchie nazionali.
La sua salute diede segni di peggioramento, con febbri sempre più frequenti che lo costringevano spesso a letto, dal quale però poteva assistere ai riti religiosi attraverso una finestra che aveva fatto aprire in una parete della sua camera e che prospettava direttamente nella chiesa.
Morì il 21 settembre 1558, probabilmente di malaria, dopo tre settimane di agonia. Le cronache riferirono che, approssimandosi il momento del trapasso, Carlo, stringendo al petto un crocefisso ed esprimendosi in lingua spagnola, esclamò: “Ya, voy, Señor”.
Sto venendo, Signore. Erano le due del mattino. Il suo corpo fu immediatamente imbalsamato e sepolto sotto l’altare della piccola Chiesa di Yuste. Sedici anni dopo la sua salma fu traslata dal figlio Filippo nel monastero dell’Escorial intitolato a San Lorenzo, che lo stesso Filippo aveva edificato sulle colline a nord di Madrid destinandolo a luogo di sepoltura di tutti i sovrani Asburgo di Spagna.
Carlo V, la discendenza
Dal matrimonio nel 1526 con Isabella d’Aviz, Carlo ebbe sei figli: Filippo, unico maschio sopravvissuto, erede al trono della corona di Spagna; Maria, che sposò il cugino Massimiliano II; Ferdinando, morto in fasce come il piccolo Giovanni; Giovanna, che sposò Giovanni Manuel D’Aviz; e infine un altro bambino di cui le testimonianze dicono sia nato morto.
Ebbe anche cinque figli cosiddetti “illegittimi”, secondo le regole dell’epoca: Isabella che, come alcuni sostengono, probabilmente era figlia della regina vedova Germana de Foix; Margherita, figlia di Giovanna van der Gheynst, duchessa di Firenze e di Parma; Giovanna, avuta da una nobildonna di Nassau; Taddea, figlia di Orsolina della Penna che sposò Sinibaldo di Copeschi; Giovanni, avuto da Barbara Blomberg con la quale Carlo ebbe una relazione dopo essere rimasto vedovo.
Carlo V e Giovanna “la pazza”
Giovanna è cresciuta nella rigida corte degli Aragona Castiglia, a soli sedici anni venne promessa in sposa al giovane principe fiammingo Filippo detto “il bello”. Si innamorò follemente di lui e venne ricambiata, i due infatti furono avvolti da una passione profonda, come racconta lo storico Ninni Giuffrida.
Filippo “il bello” racchiudeva in sé le tipiche caratteristiche di un principe dell’epoca: ligio al dovere di marito agli occhi del regno ma di facili costumi, non lasciandosi sfuggire le più belle donne del reame. Giovanna, al corrente di ciò, non rimase impassibile ma le reazioni, sebbene da donna e da madre umiliata e ferita, le costarono care soprattutto per il suo ruolo di futura regina.
Alle preoccupazioni della corte dinanzi alle sfuriate di gelosia di Giovanna, si aggiunsero le scosse che il potere regale spagnolo subì a causa delle morti premature dei successori legittimi: quella del fratello Giovanni nel 1497, a distanza di un anno da quella della sorella Isabella, regina del Portogallo, e del suo erede Michele, avvenuta nel 1500, pochi mesi dopo la nascita di Carlo, secondo figlio di Giovanna e Filippo “il bello”.
Giovanna sarebbe stata l’unica erede ai troni di Castiglia e di Aragona, e questo destava forte preoccupazione.
Nel 1502, Filippo e Giovanna si recarono a Toledo per ricevere la fedeltà dalle Cortes di Castiglia come principessa delle Asturie, il titolo tradizionalmente dato all’erede di Castiglia. Filippo e la maggior parte della corte rientrarono nei Paesi Bassi l’anno successivo, mentre Giovanna, incinta, rimase a Madrid per partorire il loro quarto figlio, Ferdinando.
> Leggi anche: Laura Sciascia – Tutte le donne del reame. Regine, dame, pedine e avventuriere della Sicilia medievale
Giunto il momento di partire per raggiungere il marito, spiega Giuffrida, i suoi genitori glielo impedirono perché pretendevano che il piccolo Ferdinando fosse allevato in Spagna. Le tolsero i cavalieri della scorta e le fecero trovare sbarrato il portone della fortezza di Medina del Campo, in cui alloggiava.
Giovanna cominciò a digiunare e a urlare contro il suo stato di reclusione in cui si trovava. La madre, malgrado la malattia, cercò di convincerla dell’opportunità delle scelte fatte, ma la figlia, prosegue lo storico, sembra che l’accolse con epiteti talmente oltraggiosi che alla fine i sovrani si risolsero a lasciarla andare, pur trattenendo alla corte spagnola il piccolo Ferdinando.
Quando Giovanna e Filippo si riunirono, la loro relazione si complicò poiché, nell’anno in cui la donna era stata assente, il sovrano era stato con un’altra donna. La loro unione si mantenne comunque salda anche nei periodi di tensione. Nacque infatti un’altra figlia, Maria, nonostante i continui tradimenti di Filippo provocassero, come conseguenza, violente crisi di gelosia da parte di Giovanna.
Alle continue dimostrazioni di escandescenza fu attribuita un’instabilità psichica – di cui ancora non ci sono documenti atti a testimoniare la veridicità – che ebbe serie conseguenze per la vita sociale di Giovanna e per la sua nomea nei secoli a venire.
Una “follia” di comodo: per gli altri
Giovanna “la pazza” venne chiamata. È presumibile pensare – come hanno riconosciuto vari storici – che questi segni di pazzia fossero stati utilizzati dal padre Ferdinando d’Aragona (e poi mantenuti dal figlio Carlo) come escamotage per la dichiarazione di incapacità mentale della donna, determinante per ristabilire l’ordine del regno: sarebbe stata altrimenti lei l’unica erede al trono.
A Giovanna toccò la stessa sorte di altre donne dell’epoca, troppo vicine al potere tanto quanto un re. Anche lei è stata, prima che una regina, un corpo di donna o meglio “un utero” per utilizzare l’espressione di Laura Sciascia nel suo libro “Tutte le donne del reame”, la cui funzionalità è stata appunto di assicurare alla famiglia la sopravvivenza e il mantenimento del potere.
La parola di queste regine è sempre stata messa a tacere – tranne al momento di fare testamento – e se dall’atteggiamento o dal profilare di qualche opinione fosse venuta fuori un’idea non convenzionale per l’epoca, la condanna a morte del libero pensiero sarebbe stata assicurata.
È lecito pensare che sia accaduto questo anche a Giovanna detta “la pazza” per la quale la dichiarazione di incapacità mentale andò a pronunciarsi proprio su una futura regina altresì poco devota e dalle idee non confacenti con i dettami della religione e del clero, segnate per l’appunto da scetticismo. Ciò aveva allarmato sua madre Isabella, fondatrice dell’Inquisizione spagnola nel 1478 contro gli eretici. Una casualità? La regina Isabella era nota per il suo fanatismo religioso e avrebbe preferito lasciare che il Paese si spopolasse piuttosto che vederlo preda dell’eresia.
Il figlio Carlo continuò la politica del nonno lasciando la madre nella stessa condizione in cui l’aveva trovata: prigioniera nel palazzo di Tordesillas.
La femminile ribellione intellettuale doveva continuare ad essere tenuta a bada.