Origini del Carnevale: significato, tradizioni e storia delle maschere
Il Carnevale è la grande festa del periodo invernale e, nei Paesi cattolici, precede la Quaresima, che con i suoi quaranta giorni di penitenza prepara i credenti alla Pasqua.
Nei tempi antichi il Carnevale era anche la grande celebrazione della fecondità della terra, che si risvegliava dal sonno invernale e nutrire le mandrie, le greggi e quindi gli esseri umani. Era in uso unire questi riti di fecondità a festeggiamenti gioiosi.
La risata come antidoto per sconfigge la morte e il lutto: tradizioni antichissime collegano il riso, le danze e le burle alla fertilità della natura e degli uomini.
Origini del Carnevale
Per alcuni, il termine deriverebbe da car navalis, un rito che riguardava la nave sacra di Iside portata in processione su un carro: simbolo del passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti (la dea era una protettrice dei naviganti sovrana del mare). Nella trasposizione romana del carrus navalis si introdusse l’elemento della burla, con la raffigurazione di personaggi pubblici che venivano sbeffeggiati.
Secondo altri, invece, Carnevale deriverebbe da carnes levare ossia togliere la carne, o carne vale cioè carne, addio, alludendo entrambi ai digiuni quaresimali considerato che le celebrazioni terminano con il cosiddetto martedì grasso, che, nei Paesi cattolici, precede il mercoledì delle Ceneri.
Nello stesso periodo, a febbraio, si celebravano nell’antica Roma vari riti che hanno lasciato le loro tracce nel Carnevale attuale.
Per cominciare, febbraio era il mese delle purificazioni, a partire dalla festa della luce, quella della Candelora. Lo scrittore latino Macrobio ricorda che il mese era dedicato al dio Februus: “Durante questo mese bisogna purificare la città e celebrare i riti funebri per i Mani, divinità del mondo sotterraneo”.
Il passaggio dall’inverno alla primavera permetteva quindi un contatto con il mondo dell’aldilà in cui i morti reclamavano cerimonie in loro onore. Sempre in riferimento a questo mese, secondo il poeta Ovidio “si onorano anche le tombe, si placano le ombre degli avi e si portano piccoli doni sui sepolcri. Poco chiedono i Mani, gradiscono la pietà come un ricco dono […]. Basta coprire la lastra con corone, offerte, basta spargere grano con un poco di sale, con preghiere e gesti del rito”.
Alle cerimonie di purificazione e di commemorazione si intrecciavano riti di fecondazione, come nei Lupercali, feste antichissime in onore di Marte e del dio Fauno.
Il riso che sconfigge il lutto
Durante il Carnevale si festeggiava la fecondità della terra che, dopo il risveglio dal sonno invernale, doveva nutrire gli animali e gli esseri umani.
Grande valore avevano i riti di fecondità e il riso, inteso come espressione di ilarità.
A quest’ultimo, infatti, si attribuiva il potere di sconfiggere la morte e il lutto, e già tradizioni antichissime lo collegavano alla fertilità della natura e degli uomini. Moltissime popolazioni seminavano gli ortaggi ridendo e, per i Greci e i Romani, Ghelos e Risus, divinità del riso, erano sacre e venerate.
Le feste di Carnevale
Affermando che “a Carnevale ogni scherzo vale”, si vivono giorni all’insegna della sregolatezza, delle burle, delle mascherate danzanti, della gioia sfrenata.
Oggi, nell’assopimento forzato degli animi, dettato dalle restrizioni anticontagio, fa bene ricordare che le feste di Carnevale sono sempre state occasione di divertimento esagerato e di grandi mangiate. E ritorneranno ad essere tali.
Nel Medioevo era il tempo delle scorpacciate comunitarie e delle danze infinite. Il “re del Carnevale” garantiva l’allegria pazza e la sospensione temporanea delle leggi, delle regole e della morale. Come a Capodanno, semel in anno licet insanire: si può ben essere folli una volta l’anno. I ruoli sociali si invertivano: gli uomini si vestivano da donne e viceversa, i poveri da ricchi, i ricchi da accattoni o da giullari.
I balli, che ancora oggi contraddistinguono i veglioni, erano dedicati alle divinità della terra. Il ballo con i saltelli, come il saltarello laziale, imitava il crescere delle spighe di grano: più in alto saltavano i danzatori, più lunghi e fecondi sarebbero stati gli steli delle spighe. La danza, il riso e l’amore santificavano l’eterno ritorno della primavera.
I carri allegorici del Rinascimento
Nel Rinascimento i carri carnevaleschi esibivano la grandezza dei signori e concedevano al popolo sfrenata baldoria: “Quant’è bella giovinezza, / che si fugge tuttavia! / Chi vuol esser lieto, sia / del doman non c’è certezza”, si dice cantasse Lorenzo il Magnifico durante i grandi carnevali di Firenze. Anche a Roma, Milano, Bologna, Ferrara, Mantova si costruivano carri allegorici che rappresentavano scene mitologiche, episodi della Bibbia, allegorie di vizi e di virtù, storie della Grecia e di Roma, segni astrologici, favole e leggende dei santi.
Il carro dei “Trionfi di Carnevale” è un antico simbolo trionfale romano, ma anche biblico, ripreso nel Medioevo con il “Carroccio”, simbolo di libertà cittadina e popolare, che diviene nel Rinascimento strumento di una propaganda politica e culturale che costruiva una visione del mondo ricca e articolata offerta al popolo dall’élite al potere.
Le maschere storiche
Il Carnevale di oggi si ispira ancora alle belle maschere del tempo che fu e i bambini vogliono travestirsi da moschettieri, da pirati, da dame settecentesche e da odalische dai mille veli. Una festa che rispecchia la società, però, non può non tenere conto della sua evoluzione: e così, tra gli scaffali con i costumi fabbricati in serie, si troveranno supereroi e strani personaggi che nulla hanno a che fare con la tradizione del passato.
Le maschere sono presenti in ogni cultura, orientale e occidentale: in alcune parti del mondo nascono come raffigurazioni degli antenati e dei defunti per i riti in loro ricordo. Poi vi sono le maschere animali, come quelle dei lupi o delle capre, e infine quelle umane, che permettono, come si è detto, di invertire i ruoli maschio e femmina, ricchi e poveri, giovani e vecchi.
Nel teatro classico le maschere erano indossate dagli attori per amplificare la voce e impersonavano tipi fissi: Macco, il ciarliero sciocco, Bucco, il ghiottone scaltro, Pappo, il vecchio sempre preso in giro, oltre al soldato spaccone e alla servetta astuta.
Le maschere italiane
Le maschere italiane nacquero a Venezia e sono già ricordate verso la fine del XIII secolo. Erano usate per diversi scopi, anche per nascondere gli occhi dallo sguardo dalla gente. Da Venezia si espansero in Italia e in Europa e furono adottate dal teatro dell’arte. Ebbero la massima diffusione nei festini di Carnevale del Settecento, in cui conobbero grande fama personaggi come Rosaura la dama, Florindo l’innamorato, Lelio il bugiardo, inseriti da Goldoni nelle sue commedie.
Le maschere celebrano le tradizioni delle città e delle regioni d’Italia: il Piemonte con Gianduia, Bergamo con Arlecchino, Venezia con Pantalone e Colombina, innamorata di Arlecchino, Milano con Meneghino, la Toscana con Stenterello, Roma col Sor Tartaglia, con Rugantino e Capitan Spaventa, Napoli con il mitico Pulcinella, la Sicilia con Peppe Nappa e i personaggi della tradizione dei paladini.
Il Carnevale dei Luperci
Nell’antica Roma, la mattina del 15 febbraio, una confraternita di celebranti chiamati “Luperci”, cioè i sacerdoti del dio Luperco, si riuniva in una grotta nei pressi del Palatino chiamata Lupercale, circondata da un fitto bosco dove, secondo la leggenda, la lupa aveva allattato Romolo e Remo.
La cerimonia iniziava con l’uccisione di alcune capre e la presentazione di due giovinetti nobili ai quali si toccava la fronte con il sangue e la si purificava con il latte: i due ragazzi scoppiavano allora a ridere, dato che il riso era legato alla fecondità. Poi, indossate maschere e pelli di lupo, tagliavano le pelli di capra in strisce sottili e le arrotolavano come le nostre stelle filanti.
Correndo sfrenatamente lungo la Via Sacra, lanciavano le strisce alle passanti. Le matrone che volevano figli si facevano colpire ripetutamente dalle strisce filanti.
Scherzi da prete
Una tradizione diffusa nel Medioevo vedeva il prete organizzare scherzi e pantomime per far ridere i fedeli: erano i famosi scherzi da prete. Per l’occasione venivano lanciati dall’altare salsicciotti e castagnole provocando, inevitabilmente, fragorose risate tra i presenti.
L’usanza aveva vari scopi: era necessario rallegrare gli animi del popolo per la preparazione alla lunga Quaresima che lo attendeva. E poi, era fatto notorio che le burle disponessero i fedeli ad ascoltare meglio gli insegnamenti religiosi.