I Gesuiti a Palermo nel nuovo studio di Giuseppe Scuderi: quando la parola diventa “casa”
Le case dei Gesuiti a Palermo. Già il titolo di questo attento studio – che verrà presentato lunedì 25 novembre alle 17, alla biblioteca centrale della Regione siciliana, firmato da Giuseppe Scuderi e pubblicato da Palermo University Press – delinea un complesso universo semantico. Dal quale si dipana un macrocosmo che ha diramazioni nell’architettura, nell’istruzione, nella formazione di quella che oggi chiameremmo “classe dirigente” e perfino della scansione dei ritmi della giornata.
Le parole sono importanti, diceva qualcuno. E queste sono il punto da cui parte Giuseppe Scuderi, architetto, studioso dell’evoluzione delle biblioteche nella storia della Sicilia e anima della manifestazione “La via dei librai”.
A proposito di parole, dunque: “Iniziamo con l’osservare che quello dei Gesuiti non è un ordine, ma una compagnia, ispirata ai principi dell’autosufficienza. Avevano quindi un progettista, un architetto, che si occupava con precisi criteri della costruzione degli edifici. È significativo – dice Scuderi – che questi non si chiamassero conventi ma case, come il nome Casa Professa dimostra. Edifici in cui vivere come fratelli, costruite da professionisti interni all’ordine”.
Uno per provincia religiosa: e la dice lunga il fatto che la Sicilia, da sola, costituisse una provincia e che la seconda comprendesse invece tutto il resto dell’Italia.
“La nostra isola, a trazione spagnola, era un avamposto contro i turchi – spiega l’autore – e i Gesuiti avevano una forte impronta militare. Lo dimostra la loro organizzazione capillare ma anche il fatto che avessero posizionato alcuni dei propri edifici in luoghi strategici. Entro il 1701 avevano già costruito a ridosso delle porte: un vero e proprio piazzamento militare”.
Tempi relativamente brevi, quelli di insediamento nelle maglie della città e di edificazione, se si considera che i primi religiosi ad arrivare, nel 1548, erano poche decine, ospiti delle famiglie nobili Reggio e Platamone.
“Passa poco tempo e il rapporto con il territorio si consolida – continua lo studioso – tanto che diverse famiglie decidono di fare entrare nelle case rette dalla compagnia quegli eredi comunque destinati alla vita religiosa, o di fare istruire i figli dai Gesuiti. Nel 1550 nasce la prima domus studiorum, per cui il Senato palermitano stanzia una cifra per quei tempi da capogiro: 200 scudi, l’equivalente di mezzo miliardo di lire”.
E così, passo dopo passo, i Gesuiti riescono ad avere il controllo dell’istruzione: con la grande intuizione di partire proprio dai bambini, che vengono allevati con i metodi dei religiosi fino, diremmo oggi, alle scuole medie. Il passo successivo per continuare gli studi era prendere i voti.
“In meno di due secoli dal loro insediamento – nota Scuderi – i Gesuiti potevano contare su ben cinque edifici in città: Casa Professa, la domus studiorum, due noviziati e una casa di preghiera. Senza contare i terreni agricoli e le altre proprietà. Una fortuna considerevole. Da un punto di vista artistico, diedero impulso alla lavorazione dei marmi mischi, che inserirono in quel barocco maestoso e inimitabile che ancora oggi ci invidia il mondo”.
Un vero e proprio microcosmo, quello della Compagnia di Gesù, che seppe integrarsi nella società al punto da esercitare la propria influenza nell’istruzione, nella cultura, rivendicando sempre una forte autonomia rispetto agli altri ordini. Una compagnia, appunto: con case al posto dei conventi. Ancora una volta tutto parte dalle parole, per trasformarsi in edifici e in azioni.
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