La Sicilia e il casellario politico centrale
Il casellario politico centrale venne utilizzato come strumento di controllo politico-sociale per fronteggiare i partiti considerati sovversivi. A partire dal governo Crispi fino alla fine del fascismo, con particolare attenzione al contesto siciliano
Nascita e sviluppo del casellario politico centrale
La fine dell’Ottocento fu contraddistinta da aspre lotte politiche e sociali, portate avanti dalle prime organizzazioni politiche e sindacali, a carattere nazionale, del proletariato laico e cattolico.
La fondazione del partito socialista (nel 1892) e dei movimenti cattolici contribuirono allo sviluppo politico e sociale della classe operaia e contadina fino ad allora esclusa dal novero della scena nazionale. Si ebbe quindi una rappresentanza del proletariato in contrapposizione agli interessi del partito liberale, costituito dal ceto padronale e dalla borghesia cittadina.
Le sommosse locali del proletariato, portatore di istanze libertarie, ampliarono ancora di più la partecipazione alla vita pubblica.
Le varie agitazioni sociali che scossero la penisola da nord a sud – come il movimento dei Fasci siciliani (1889-1894) – furono represse duramente dal governo Crispi, attraverso lo stato d’assedio, con migliaia di arresti perpetrati soprattutto tra i dirigenti dei movimenti insurrezionali.
Vennero inoltre adottate delle misure eccezionali, che, tramite la promulgazione di leggi speciali, sopprimevano la libertà di stampa e di riunione e prevedevano lo scioglimento delle associazioni sovversive.
All’interno di tale processo furono emanate le circolari della Direzione generale di pubblica sicurezza del 25 maggio 1894, n. 5116 e del 16 agosto 1894, n. 6329 che costituirono l’atto di nascita del casellario politico centrale.
Ovvero del servizio dello schedario biografico degli affiliati ai partiti sovversivi maggiormente pericolosi nei rapporti dell’ordine della pubblica sicurezza.
Nel 1896, la Direzione generale, con la circolare n. 5116, emanò nuove disposizioni ed istruzioni per rendere ancora più efficiente il sevizio di schedatura dei sovversivi. Tutto questo facilitato dall’aggiornamento delle informazioni, raccolte nel corso del tempo.
Le schede dei sovversivi
La circolare n. 5116 del 1896, in particolare, emanava le norme a cui gli uffici di pubblica sicurezza dovevano attenersi per compilare le schede biografiche dei sovversivi.
Queste dovevano contenere:
- Generalità complete. Cognome e nome, paternità e cognome e nome della madre; luogo, giorno, mese e anno della nascita del sovversivo, residenza, professione e mestiere, soprannome, e se ammogliato, nome della moglie e numero dei figli.
- Condotta morale e civile. Valutazione dell’influenza che il sovversivo aveva nell’opinione pubblica, di carattere, educazione, intelligenza, grado di cultura. Descrizione degli studi compiuti, titoli accademici, rendimento al lavoro, frequentazioni, cariche amministrative o politiche ricoperte.
- Condotta sulla divulgazione dei principi sovversivi. Descrizione dei partiti sovversivi a cui il soggetto apparteneva, sua influenza all’interno dell’organizzazione, contatti in Italia o all’estero. Eventuali condanne, adesioni ad associazioni sovversive, di mutuo soccorso o di altro genere, eventuale collaborazioni con i giornali, comportamento tenuto con le autorità.
- Ammonizione.
- Domicilio Coatto.
- Condanne. Esplicitazione delle cause di condanna e indicazione dei nomi dei sovversivi di rilievo politico (1).
Controlli incrociati
Per ogni scheda biografica veniva fatta una copia sia dall’ufficio che l’aveva compilata che da quello che l’aveva trasmessa, insieme alla trascrizione di tutte le variazioni che venivano inviate al ministero dell’Interno, in modo da poter controllare e confrontare, al momento opportuno, le schede esistenti nei vari uffici.
Infine di massima importanza era la schedatura dei sovversivi che dimoravano nelle province diverse da quella di nascita, soprattutto per poter mettere in luce le relazioni che questi intrattenevano con gli altri affiliati del partito.
Il valore delle schede biografiche
Le schede biografiche rappresentavano il tramite attraverso cui attingere informazioni importanti per il riconoscimento di un individuo o per schedarne uno nuovo.
Gli schedari di ogni ufficio di pubblica sicurezza venivano inviati alla Direzione generale agli altri uffici dipendenti nelle varie province, in modo da poter controllare stabilmente ogni passo, ogni azione ed ogni vicenda legata agli elementi sovversivi.
Per facilitare la conoscenza delle variazioni dei dati e la loro diffusione ai vari uffici, sulle schede venne applicato uno speciale modulo a stampa. Un foglio di carta turchina attraverso cui gli uffici di pubblica sicurezza e le prefetture dovevano riferire all’ufficio schedario della Direzione generale tutto ciò che fosse in relazione con imputazioni, arresti, condanne, ricezione o spedizione di stampe sovversive, cambiamenti di residenza, scomparse, emigrazioni, ritorni nel Regno e varie.
Un servizio efficiente
L’efficienza del servizio schedario dipendeva dall’osservanza di tutte queste norme e disposizioni la cui efficacia era legata anche al rispetto di alcune precise avvertenze quale l’iscrizione, nelle rubriche di ciascuna provincia, di ogni tipo di variazione. Questa doveva essere comunicata tempestivamente al ministero dell’Interno.
In ogni foglio di variazione venivano sempre indicati il cognome, nome, soprannome, paternità, luogo di nascita e residenza dell’individuo. L’erronea trascrizione nei foglietti di variazione causò spesso gravi intralci nelle indagini e nei controlli.
Qualora il sovversivo si fosse spostato, le notizie di trasferimento avrebbero dovuto essere comunicate, tramite modulo, alle comunità locali, con la trasmissione di una copia della scheda biografica con annessa variazione.
Le variazioni venivano in questo modo aggiornate continuamente per poter essere facilmente confrontate le une con le altre.
Le rubriche per provincia
Per completare il servizio di schedatura e facilitare sia le ricerche che il controllo, si procedeva compilando delle rubriche per provincia.
Queste dovevano essere compilate presso ciascuna provincia su registri a modulo; anche gli uffici circondariali e le varie delegazioni distaccate di pubblica sicurezza dovevano possedere una rubrica analoga. All’interno venivano riportati i nomi di tutti gli individui presenti nelle schede biografiche, segnando vicino al nome, su una colonna apposita, i dati corrispondenti.
Nella colonna “annotazioni” venivano identificati con la lettera A gli anarchici, con la lettera S i socialisti e con la lettera R i repubblicani, insieme alla professione di ciascun inscritto (2).
La mole che raggiungevano alcuni fascicoli del casellario politico centrale dipendeva soprattutto dall’attività dei sovversivi e anche dagli aggiornamenti effettuati dalle Prefetture. I documenti presenti potevano risalire anche a prima dell’istituzione del casellario, ma mai ad una data antecedente al 1880.
Il casellario al tempio del fascismo
Con l’avvento del fascismo il casellario venne ampliato ancora di più.
Soprattutto dopo l’approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e l’emanazione, nel 1926, delle legge eccezionali insieme alla creazione dell’Ovra, la polizia politica del regime che divenne un ufficio dipendente dalla prima sezione della Divisione affari generali e riservati.
Il nuovo ufficio procedette al riordinamento e alla riorganizzazione di tutto il materiale fino ad allora esistente, sollecitando in continuazione le Prefetture ad aggiornare le notizie sui sovversivi schedati. Attraverso tale procedura si scoprì che alcuni di essi erano morti da tempo, mentre altri, paradossalmente, erano entrati a far parte del partito nazionale fascista o erano semplicemente espatriati.
Per coloro che erano inattivi si dispose una stretta vigilanza per accertarne la buona condotta, se il soggetto dimostrava una stretta aderenza al fascismo veniva radiato dal casellario. Al contrario, l’annullamento del proprio nome non avveniva se il soggetto era ancorato ai suoi ideali sovversivi o intratteneva rapporti con cellule clandestine.
La rubrica di frontiera
Per poter mantenere un controllo capillare anche sugli espatriati, le ambasciate procedettero risolutamente indagando sulla residenza, il comportamento e l’adesione degli espatriati verso i partiti sovversivi.
Poche furono le cancellazioni dei nomi dal casellario, molti furono invece iscritti nella rubrica di frontiera con annesso il rispettivo provvedimento da adottare in caso di rimpatrio permanente o temporaneo.
L’Ovra, la polizia politica
Un altro strumento di cui si avvalse il regime fu il dispiegamento della polizia politica (l’Ovra), dislocata nei comuni più popolosi attraverso una rete capillare di collegamenti tra i vari agenti, i cui uffici, presenti sul territorio italiano, erano posti sotto l’anonimato.
Le informazioni acquisite dall’Ovra erano molto più dettagliate, anche se a volte deformate da particolari motivi politici.
Gli agenti che ne facevano parte non erano poliziotti nel senso letterale del termine, la maggioranza era costituita da delatori prezzolati che, a volte, più per il compenso economico che per altro, venivano contattati ed espletavano le loro funzioni e, proprio per ottenere facili guadagni, spesso inventavano notizie che non corrispondevano alla reale situazione oggetto d’indagine.
Il bollettino di ricerca
Un altro registro di schedatura, che faceva parte del casellario Politico, fu il bollettino di ricerca all’interno del quale veniva segnalato il sovversivo che non era reperibile. Questo registro aveva un carattere prettamente amministrativo, diverso dal mandato di cattura: serviva infatti per elencare i soggetti di cui non si aveva più notizie.
Accanto a provvedimenti drastici vi furono misure repressive minori. Tra queste:
- L’ammonizione. Era preceduta da un certo periodo in carcere e seguita da una serie di limitazioni a cui doveva attenersi il sovversivo: l’obbligo di presentarsi periodicamente in questura, di non abbandonare il luogo di residenza, di non uscire e di non rientrare nella propria abitazione dopo un certo orario e soprattutto di non frequentare locali pubblici.
- La Diffida. Si può considerare la misura più lieve, un avvertimento impartito dal questore di non frequentare determinati luoghi o persone sospette. Il diffidato era soggetto a periodiche perquisizioni domiciliari e doveva disporre di una speciale carta di identità sulla quale veniva applicato il termine di diffidato politico. Talvolta il sovversivo veniva inscritto tra coloro che potevano essere arrestati in determinate circostanze, ovvero in qualsiasi momento, soprattutto durante le ricorrenze fasciste.
Gli schedati
In totale gli schedati del casellario politico furono circa 158.000. Molti fascicoli sono andati perduti, altri vennero distrutti durante la guerra. La schedatura non era comunque automatica, ma dipendeva da alcuni criteri di valutazione e dall’operato delle varie questure, nonché dalle direttive del regime (3)
La radiazione dal casellario non comportava la fine della sorveglianza del sovversivo, semplicemente il soggetto non veniva più considerato pericoloso e la sua scheda non era più oggetto di frequenti aggiornamenti o controlli.
Con l’avvicinarsi della fine della dittatura (1943), l’aggiornamento avvenne con minore scrupolosità e molti documenti non vennero più spediti a Roma, ma rimanevano presso la questura.
Ufficialmente il casellario cessò di esistere nel 1943 con la caduta del regime fascista. In realtà esso rimase in auge fino agli anni Cinquanta come strumento di controllo di quei partiti di sinistra considerati pericolosi, in un contesto particolare come quello della guerra fredda (4).
La situazione politica in Sicilia
La Sicilia aveva conosciuto un periodo di sconvolgimenti politici e sociali fin dalla fine dell’Ottocento con i Fasci dei lavoratori, repressi duramente dal governo Crispi.
Nel 1920 le condizioni politiche e sociale non erano cambiate i disordini sociali furono repressi nel sangue dalle squadre fasciste. Diversi dirigenti del partito socialista furono uccisi mentre le Camere del lavoro e le sedi di partito furono distrutte provocando diversi morti soprattutto nei comuni di Modica, Vittoria e Scicli.
Nel 1921 nacque il partito comunista in Sicilia. Furono ben presto attivate 37 sezioni, ma durante le elezioni di quell’anno i partiti di sinistra ottennero pochi voti, il partito socialista ne uscì sconfitto e debilitato ottenendo solo due seggi.
Le cose non andarono meglio nelle elezioni del 1924 a causa della spaccatura del partito socialista in PSI e partito socialista unitario, che si presentarono in liste autonome e distinte, mentre il partito comunista si era indebolito ulteriormente a causa degli arresti sistematici di gran parte dei suoi dirigenti. Nemmeno le agitazioni e le proteste causate dalla morte di Matteotti riuscirono a far risorgere i partiti antifascisti. Al contrario, in Sicilia come nel resto d’Italia ogni tipo di opposizione fu stroncata e insieme ad essa gran parte dei giornali locali antifascisti come Unione PSI, Libertà, Il Babbio, ‘U Buddaci.
Nel 1925 le elezioni amministrative siciliane si aprirono con una grande novità: i gruppi liberali al seguito di Vittorio Emanuele Orlando si allontanarono dal partito fascista e si schierarono con i partiti dell’opposizione fondando le Unioni per le libertà a cui aderirono il partito socialista, il partito socialista unitario e il partito popolare italiano.
Nel 1926 la situazione politica cambiò radicalmente con le leggi fascistissime che delegittimarono i partiti d’opposizione attraverso il Tribunale speciale e il confino.
Tra il 1927 e il 1929 vi furono in Sicilia più di quaranta condanne del Tribunale speciale e ciò causò la chiusura di gran parte delle cellule clandestine d’opposizione.
Il Fronte unico antifascista italiano
Negli anni ‘30, in partito comunista promosse nuovi legami con i partiti e le organizzazioni antifasciste come il FUAI (Fronte Unico Antifascista Italiano) che aveva riscosso un certo successo in Sicilia, promuovendo, al contempo, il proprio credo politico tra le masse attraverso organi di stampa come Sicilia Rossa.
L’attività del FUAI si diffuse soprattutto a Ragusa, Agrigento e Palermo, ma la cellula fu scoperta e 34 dei suoi membri furono condannati dal Tribunale speciale.
Tra il 1940 e il 1943 ai partiti antifascisti si aggiunsero movimenti moderati che professavano l’indipendentismo della Sicilia come il MIS (Movimento Indipendentista Siciliano).
Negli stessi anni l’iniziativa più importante fu il convegno dei partiti antifascisti a Lentini per deliberare la resistenza nell’isola contro le forze fasciste e tedesche. Durò poche settimane nell’isola, ma molti siciliani contribuirono alla Resistenza, come il comandante partigiano Colajanni (5).
I sovversivi siciliani iscritti nel casellario
Dai dati del sito dell’archivio centrale di Stato, a Roma, risulta che in Sicilia gli iscritti al casellario politico centrale erano in totale 6505. Di questi, 6405 erano uomini e un centinaio le donne.
La provincia con più sovversivi politici era Palermo (1412) seguiva Agrigento (926), Catania (900), Trapani (832), Messina (748), Siracusa (515), Caltanissetta (485), Ragusa (428), Enna (257).
La maggior parte degli schedati erano contadini (449), poi calzolai (363), muratori (266) avvocati (253), braccianti (204).
Per quanto riguarda il colore politico, al primo posto troviamo i socialisti (2250), seguivano gli antifascisti (1644), i comunisti (1335), gli anarchici (894), i repubblicani (117), socialisti rivoluzionari (11), sovversivi in generale (8) massoni (3), socialista dato incerto (3), socialista antimilitarista (3), anarchico dato incerto (1), antinazionale (1), bolscevico (1), fascista (1), socialista collettivista (1), socialista Unitario (1), sospetto anarchico (1), sospetto comunista (1), nessun colore politico (261).
Per quanto riguarda le annotazioni presenti per ogni soggetto riscontriamo 2442 radiati dal casellario, 1372 iscritti alla rubrica di frontiera, 421 confinati, 408 diffidati, 353 ammoniti, 352 denunciati per offesa al capo del Governo, 168 denunciati al Tribunale speciale, 15 internati, 4 naturalizzati, 3 detenuti politici e 1837 “assenti”, cioè senza alcuna annotazione.
Se poi vogliamo confrontare la Sicilia, con il resto d’Italia si evince che la regione con più sovversivi iscritti al casellario politico centrale è la Toscana (20490) segue l’Emilia Romagna (20432), Lombardia (14966), Piemonte (11725), Veneto (10232), Friuli (8954), Marche (8001), Lazio (6717), Sicilia (6505) (6).
Note:
1 Abate, Azzorri, Antifascisti nel Casellario Politico Centrale, Anppia, Roma 1988.
2 Ivi p. 16
3 Ivi p. 18
4 Gianni Donno, La Gladio Rossa del PCI (1945-1967), Rubettino, Soveria Mannelli, 2001
5 G. Miccichè, La Sicilia tra fascismo e democrazia, Centro Studi Feliciano Rossitto, Ragusa, 1985
6 http://dati.acs.beniculturali.it/CPC/