Alcune doverose (e dolorose) precisazioni sull’articolo “Memoria del PCI in Sicilia di Giuseppe Carlo Marino
Qualche giorno fa mi sono imbattuto nell’articolo Memoria del PCI in Sicilia, del prof. Giuseppe Carlo Marino (26 aprile 2021), che si riferisce in maniera purtroppo assai imprecisa ad un mio studio del 2009, Il Partito comunista nella Sicilia del dopoguerra 1943-1948. Ho sempre stimato il prof. Marino, ed è quindi con grande rammarico – oltre ad una punta di irritazione – che passo ad osservare quanto segue.
Nella prima delle due occasioni in cui il prof. Marino critica il mio lavoro, egli riporta quella che crede – erroneamente – ne sia una citazione letterale. Secondo Marino, avrei fatto un “torto alla realtà” scrivendo che il Pci siciliano nel secondo dopoguerra era “poco più di un pulviscolo di gruppi locali, con una forte tendenza al frazionismo”, per quanto anticipasse “l’esperienza dei movimenti per la rinascita del Mezzogiorno promossi poi da Alicata, Amendola e De Martino”. Peccato che io abbia scritto solo la prima parte di quanto riportato, peraltro limitandone la validità al 1944; la considerazione riguardante Alicata, Amendola e De Martino – come ho (ri)scoperto dopo ore di piccata e meticolosa ricerca – è invece dovuta al prof. Giovanni Cerchia, ed è contenuta nella sua recensione al mio libro pubblicata sull’Annale 2010 della Sissco (Società italiana per lo studio della storia contemporanea). Ora, delle due l’una: o il prof. Marino è incorso in una svista a dir poco marchiana, oppure – cosa che ritengo assai più probabile – non ha proprio letto il mio libro, limitandosi a scorrerne un sintetico commento. Penso infatti che, se lo avesse letto, non solo non avrebbe citato Cerchia credendo di citare me, ma soprattutto avrebbe avuto modo di constatare come quella realtà cui avrei fatto torto ci racconti abbondantemente e inequivocabilmente – sempre in riferimento alla prima fase, quella “embrionale”, del Pci siciliano – di una sorta di proto-partito attraversato da endemici conflitti ideologici (o presentati come tali), generazionali e personalistici, che diedero luogo a una miriade di scissioni, scontri di fazione e talora a precarie riaggregazioni, le quali ultime assai di rado rappresentarono reali soluzioni – almeno a breve termine – a quei conflitti.
Di più: basandosi sull’errata citazione di cui s’è detto, il prof. Marino aggiunge di trovare incomprensibile “come quel “pulviscolo” rissoso” abbia “potuto anticipare la “rinascita del Mezzogiorno”. Mentre suggerisco al prof. Marino di porre il quesito al prof. Cerchia, cui spetta la paternità della frase “incriminata”, non posso comunque esimermi dal rilevare che si tratta di un’osservazione critica del tutto inconsistente, sia nel caso in questione che in generale. Per quanto concerne il caso specifico, il prof. Marino non tiene in alcuna considerazione le difficoltà e la conseguente gradualità del percorso che portò il Pci siciliano a prendere finalmente le forme – come scrivo nel mio studio – di “un’organizzazione stabilmente strutturata e centralizzata” (pp. 43-44); un percorso faticoso e accidentato, del quale alle pp. 36-43 adduco una grande quantità di prove documentali. Più in generale, ritenere impossibile per un piccolo gruppo, o per un insieme di piccoli gruppi, trasformarsi in un attore significativo o addirittura determinante della scena politica, significa assumere implicitamente, facendo stavolta davvero “un torto alla realtà”, che tutti i partiti nascano come Atena dalla testa di Zeus, già pienamente attrezzati per affrontare i compiti inscritti nella loro matrice socio-ideologica. Quanto fallace sia una tale visione risulta evidente, per fare un esempio macroscopico, soffermandosi anche solo superficialmente sulla storia del NSDAP, Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, che nei suoi primi anni di vita raccoglieva circa il 3% dei voti, per poi decuplicare i propri consensi elettorali nel giro di un decennio, con gli effetti che ben conosciamo.
Come se non bastasse, anche la seconda “citazione” che dovrebbe riguardarmi è erronea (di questa seconda svista non sono però riuscito a trovare l’origine). Secondo il prof. Marino, avrei “non troppo felicemente” definito quella del Pci siciliano degli anni Quaranta una “linea contadinesca”. Tuttavia, io non ho mai utilizzato tale formula, la cui connotazione spregiativa – senza contare le ovvie considerazioni metodologiche che ne sconsiglierebbero l’uso già in linea di principio – mi è totalmente estranea. Nel mio libro, come chiunque (a patto di leggerlo) può constatare, ricorre più volte solo ed esclusivamente il termine “contadinista”, che mi pare – oggi come allora – ben descriva l’essenza dell’azione politica del Pci siciliano nelle condizioni e nel contesto del periodo preso in considerazione in quella sede.
In conclusione, ribadisco di essere profondamente rammaricato per essere stato costretto alle precedenti precisazioni, specie perché riferite a uno studioso di grandissimo valore, le cui opere sono state molto importanti per la mia formazione. Uno studioso che onestamente (e opportunamente) – ha definito il suo articolo “il dettato celebrativo di un vecchio militante in occasione di un centenario”. Il pericolo è che, a lasciare troppo spazio alla voce del cuore, le sue eventuali stonature possano sentirsi forti e chiare: proprio com’è avvenuto in questo caso.
Misterbianco (CT) 30/06/2021 Sebastiano M. Finocchiaro