Una modesta proposta
O degli anziani al tempo del Covid-19 in Italia
“Una modesta proposta per evitare che i bambini della povera gente siano di peso ai loro genitori o al paese, e per renderli utili alla comunità” è il titolo completo del pamphlet satirico scritto nel 1729 da Jonathan Swift.
Prendendo spunto dalle intollerabili condizioni di miseria in cui versa l’Irlanda del XVIII secolo a causa dell’indiscriminato sfruttamento colonialista operato dall’Inghilterra, e adottando ironicamente lo stile dei filosofi utilitaristi, Swift propone la soluzione più semplice per evitare che i figli degli irlandesi siano un peso per l’economia della famiglia e dell’intero paese: basta che i pargoli più grassi vengano messi in vendita e cucinati per sfamare i cittadini più ricchi. In tal modo sovrappopolazione e disoccupazione caleranno drasticamente, gli indigenti risparmieranno e tutta la nazione ne trarrà beneficio.
Forse oggi la vena brutalmente satirica di Swift si sarebbe rivolta con accenti analoghi allo straordinario esperimento di iniquità nella gestione della sanità e di asservimento dell’etica alla logica del profitto rappresentato dalla vicenda degli anziani nelle residenze sanitario assistenziali (RSA) italiane, e in specie nella Lombardia, durante la prima fase della pandemia da Coronavirus. Mentre l’Italia lentamente riemerge dal lockdown imposto dall’emergenza Covid-19, i primi dati ufficiali sembrano confermare che nelle RSA italiane, le case di cura per malati non autosufficienti che ospitano prevalentemente anziani, si è consumato un massacro silenzioso sul quale dovremo attentamente riflettere.
Secondo l’ultimo rapporto (14 aprile 2020) pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sulle infezioni da Covid-19 nelle RSA, dal 1° febbraio al 14 aprile 2020, in un campione di 1.082 strutture – su un numero totale di 4.630 RSA in Italia – sono state registrate 6.773 morti tra i residenti; il 40,2% di questi decessi (2.724 su 6.773) si è verificato con infezione da Covid-19 o con sintomi simil-influenzali associabili a una infezione da Coronavirus non diagnosticata (1). La Lombardia – la regione con il maggior numero di posti in RSA – è stata la più colpita, con la metà dei decessi imputabili all’infezione(2).
I dati disponibili coprono ancora solo una parte delle strutture e sono rilevabili differenze sostanziali tra le varie aree, un fatto però è chiaro sin da adesso: in Italia la pandemia ha colpito molto duramente le RSA e possiamo presumere, sebbene ancora non vi siano dati affidabili a disposizione, che lo stesso sia avvenuto nelle case di riposo.
Secondo i primi rapporti scientifici, durante l’emergenza molti fattori hanno contribuito all’incapacità di controllare la diffusione del Covid-19 nelle case di riposo italiane (3):
- Linee guida di gestione insufficienti e tardive: le case di cura sono state lasciate sole nella gestione delle persone anziane infette e nella prevenzione di ulteriori infezioni;
- Carenze di personale e di risorse preesistenti;
- Ritardo nella fornitura di dispositivi di protezione individuale (DPI) a medici e operatori sanitari: la priorità è stata data agli ospedali per la distribuzione di DPI e di altri strumenti essenziali per la gestione dei casi;
- Nessun collegamento alla rete ospedaliera. In Lombardia alcune RSA sono state addirittura costrette ad accogliere pazienti anziani dimessi dagli ospedali, ma ancora Covid-19 positivi;
- Nessuna politica di test. Lo screening tramite tamponi non è stato (e non è ancora) sistematicamente e omogeneamente pianificato per le strutture assistenziali. I test non vengono eseguiti su casi sospetti tra ospiti, medici e operatori sanitari.
I pubblici ministeri stanno indagando su decine di strutture e stanno cercando di accertare se le misure adottate dalle autorità sanitarie locali e dai governi regionali possano aver aggravato il problema. Tuttavia una rapida disamina dei fattori sopra elencati rende immediatamente chiaro che questo disastro è stato frutto della convergenza tra scelte gestionali errate – se non addirittura criminali in alcuni specifici casi – nel momento contingente e politiche di lungo termine altrettanto devastanti.
Le case di riposo erano un bersaglio facile per il Covid-19 poiché ospitano soggetti fragili, particolarmente vulnerabili alla malattia, e bisognosi di un tipo di assistenza che rende il distanziamento e l’isolamento difficili, se non impossibili. Le case di cura sono state travolte dalla pandemia in Italia, così come nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, ma esse erano in un equilibrio instabile già prima dell’emergenza Covid-19: erano pagliai pronti a prendere fuoco con una sola scintilla, con la pandemia si sono trasformate da istituzioni dimenticate in trappole mortali. La tragedia che si è consumata nelle case di cura per anziani è il risultato di decenni di trascuratezza nella pianificazione e gestione di queste strutture. Il coronavirus ha reso evidente e ha amplificato un problema strutturale ben più ampio: il nostro fallimento nel dare valore e investire in un sistema di assistenza a lungo temine sicuro ed efficace.
Quando le istituzioni italiane hanno riconosciuto l’epidemia da Covid-19 come una grave minaccia per la salute dei cittadini, l’attenzione del pubblico è stata indirizzata principalmente verso ciò che stava accadendo negli ospedali. Gran parte degli sforzi – specialmente in regioni come la Lombardia – sono stati indirizzati al potenziamento delle unità di terapia intensiva e all’incremento del numero dei posti e dei ventilatori a disposizione.
Un acceso dibattito si è sviluppato intorno all’impiego dell’età come criterio di selezione per l’accesso alle terapie intensive in caso di drammatica scarsità di posti a disposizione e sui rischi di una discriminazione nei confronti dei pazienti anziani. Ma, mentre ci interrogavamo al riguardo, qualcosa di drammaticamente discriminatorio è di fatto avvenuto da tutt’altra parte: un disastro umano e sociale le cui proporzioni devono ancora essere valutate. Mentre discutevamo del nostro dovere di prenderci cura degli anziani non lasciandoli fuori dalle unità di terapia intensiva, ci siamo dimenticati del nostro dovere di pianificare per gli anziani. Abbiamo implicitamente deciso che le case di cura non erano una priorità.
Queste scelte sono state probabilmente influenzate da un approccio implicitamente discriminatorio nei confronti degli anziani, che ha influito sulle scelte a breve termine, ma che soprattutto informa le politiche di gestione e programmazione del nostro paese. Un campanello d’allarme avrebbe dovuto suonare quando, all’inizio dell’epidemia, la notizia che il Covid-19 colpiva duramente solo gli anziani è stata presentata come rassicurante.
Le epidemie mettono sotto pressione le società che colpiscono e consentono di rendere visibili strutture latenti che risulterebbero altrimenti nascoste, ci rivelano cosa davvero conta per un paese e a chi viene attribuito un valore. Dobbiamo tristemente ammettere che al di là dei proclami, la realtà dei fatti è che i nostri anziani più fragili non valevano abbastanza da mettere in campo azioni e politiche efficaci per proteggerli.
Le scelte fatte in Italia negli ultimi decenni in termini di gestione e protezione degli anziani sembrano dimostrare che il valore che come società attribuiamo agli anziani non sia un valore assoluto, ma che in qualche modo esistano tre diversi tipi di valore associati a questa ampia ed eterogenea categoria di persone. Esiste una sorta di valore nominale attribuito agli anziani, spesso teorico e puramente formale, che li pone allo stesso livello di tutti gli altri individui che compongono la nostra società, coerentemente con il dettato della nostra Costituzione (art. 2) e con l’ispirazione egualitarista dell’intero nostro sistema. C’è poi un valore reale, il valore concreto che abbiamo dimostrato di assegnare ai nostri anziani con le politiche messe in campo per proteggerli e renderli meno vulnerabili non solo alla malattia, ma anche a sfruttamento e ingiustizia.
Ultimo, ma non meno interessante, c’è nel nostro paese un valore strumentale che attribuiamo agli anziani: si tratta della fascia di popolazione che con le proprie pensioni sostiene economicamente figli e nipoti con lavori precari e che li aiuta nella gestione dei bambini, sostituendosi alle istituzioni assenti. Gli anziani sono il pilastro del nuovo welfare della famiglia, che ha riempito i vuoti lasciati dalla crisi del Welfare State.
Nel corso degli ultimi decenni, nonostante il ruolo centrale che gli anziani hanno assunto nella società italiana in termini non solo numerici ma anche strutturali, quando è stato il momento di pianificare come proteggerli e di investire risorse economiche per farlo, il loro valore strumentale all’interno della società non è stato sufficiente per porli tra le priorità. Più tardi, quando la pandemia da Covid-19 è arrivata a bussare alle porte dell’Italia, essa ha strappato via la finzione di un valore puramente nominale attribuito a questa fascia di popolazione, lasciando emergere con chiarezza quale fosse il valore reale che attribuivamo come società a una delle nostre popolazioni più deboli.
Tristemente constatiamo che quanto scritto da Swift riguardo ai bambini irlandesi nella sua Proposta, sembra altrettanto appropriato per i nostri anziani oggi: “si sacrificano così queste povere creature innocenti, io credo, più per evitare le spese che la vergogna, ed è cosa, questa, che muoverebbe a lacrime di compassione anche il cuore più barbaro ed inumano”.
- https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/pdf/sars-cov-2-survey-rsa-rapporto-3.pdf
- https://www.cambridge.org/core/blog/2020/04/16/italys-response-to-the-coronavirus-pandemic/
- https://welforum.it/il-punto/emergenza-coronavirus-tempi-di-precarieta/covid-19-e-rsa-oggi-e-domani/