Che fine hanno fatto quei giorni del 1582?
La riforma del calendario
La riforma del calendario nel XVI secolo sistemò l’annosa questione dell’equinozio di primavera, ma papa Gregorio XIII dovette cancellare dalla storia dieci giorni (dal 5 al 14 ottobre)
Il calendario giuliano
Nel 1582 papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni (Bologna, 1501 – Roma, 1585), emanò il 24 febbraio la bolla Inter gravissimas, con la quale introdusse un nuovo calendario.
Fino ad allora era stato utilizzato il calendario giuliano, elaborato nel 46 avanti Cristo dall’astronomo Sosigene di Alessandria su ordine di Giulio Cesare. Per uniformare i diversi e, talvolta, imprecisi calendari utilizzati nei vari domini di Roma, l’alessandrino modificò il calendario solare egizio di 365 giorni. I suoi calcoli aggiungevano sei ore all’anno solare, una misurazione molto precisa per gli strumenti in uso allora. Tuttavia, l’anno solare è inferiore di circa undici minuti.
All’errore di Sosigene si aggiunse nel VI secolo il rimedio del monaco scita Dionigi il Piccolo che introduceva un correttivo di cinque minuti. Il calendario giuliano prevedeva dodici mesi e l’anno bisestile ogni quattro, ossia l’aggiunta di un giorno ai 365. Malgrado ciò, i calcoli approssimativi con cui era stato determinato il “ciclo del Sole” – giacché non era ancora noto che fosse la Terra a girare intorno al Sole (la cosiddetta teoria copernicana non era nota ai più ed era considerata soltanto un’ipotesi) – provocavano il ritardo di un giorno ogni 128 anni rispetto all’equinozio di primavera.
Così, dal 46 avanti Cristo al 1582 dopo Cristo, l’equinozio primaverile si era spostato di circa dieci giorni rispetto alla data del 25 marzo prevista dal calendario giuliano.