Quarantena da Covid-19: note sullo stato d’eccezione
Da Agamben a Foucault, dall’epidemia alla coercizione
Il 26 febbraio, Giorgio Agamben pubblica sul sito della casa editrice Quodlibet un breve intervento dal titolo già di per sé provocatorio: “L’invenzione di un’epidemia”.
L’epidemia di cui parla uno dei filosofi italiani più tradotti al mondo sarebbe proprio quella causata dal nuovo Coronavirus. Nelle settimane successive, quando l’epidemia in Lombardia si aggrava e l’OMS dichiara ufficialmente la pandemia, Agamben continua a pubblicare diversi interventi ribadendo essenzialmente la sua posizione iniziale: come avviene in ogni stato d’eccezione, la sospensione dell’ordine giuridico non farà altro che favorire un accentramento del potere.
Questo intervento suscita presto molto scalpore nella comunità scientifica internazionale e non tardano ad arrivare le risposte polemiche di sociologi, antropologi e filosofi del calibro di Jean-Luc Nancy (https://antinomie.it/index.php/2020/02/27/eccezione-virale/).
In un momento estremamente delicato come quello attuale, dove neanche la scienza ha l’ultima parola e subentra piuttosto la pratica medica, sarebbe forse più opportuno chiedersi quale sia adesso la funzione che la filosofia è chiamata a svolgere. Se in uno stato eccezionale come quello presente è ancora più necessario sforzarsi di fornire un’interpretazione degli eventi, ciò non deve tuttavia indurre a frettolose semplificazioni. Semplificazioni, queste, che rischiano di trasformare la biopolitica di foucaultiana memoria in una teoria cospirazionista di alto profilo. Il rischio è, infatti, quello di sprecare e corrodere strumenti concettuali già ampiamente utilizzati nel dibattito contemporaneo, riducendoli inevitabilmente in affascinanti slogan pubblicitari. Sembra urgente sottolineare che la filosofia dovrebbe contrastare l’opinionismo diffuso, piuttosto che alimentarlo. Per questa ragione è il caso di compiere un passo indietro e guardare direttamente all’elaborazione della biopolitica proposta da Michel Foucault.
Facciamo un salto temporale abbastanza lungo. Nel 1975, Foucault pubblica un testo destinato a fare la storia: “Sorvegliare e punire. Nascita della prigione”. Nell’opera citata si trova il celebre capitolo sul Panoptismo, dove il filosofo francese riprende il modello del Panopticon, il carcere ideale progettato nel 1791 da Jeremy Bentham. Il capitolo in questione non si apre però con la descrizione della struttura carceraria, bensì con l’immagine drammaticamente attuale della città appestata.
L’operazione compiuta da Foucault è quella di mettere a confronto due dispositivi disciplinari di natura diversa: città appestata da una parte, panopticon dall’altra. Possiamo infatti leggere quanto segue: “Città appestata, stabilimento panoptico; le differenze sono importanti. Esse segnano, a un secolo e mezzo di distanza, le trasformazioni del programma disciplinare. Nel primo caso, una situazione di eccezione: contro un male straordinario, si erge il potere; esso si rende ovunque presente e visibile […] Il Panopticon, al contrario, deve essere inteso come un modello generalizzabile di funzionamento; un modo per definire i rapporti del potere con la vita quotidiana degli uomini”.
Cosa si può ricavare da questa breve citazione? Innanzitutto ci viene offerta un’indicazione molto importante: è lo stesso Foucault a fornirci gli strumenti per operare una differenziazione concettuale in seno all’annosa questione dello stato d’eccezione. L’eccezione costituita dall’epidemia consente infatti al dispositivo disciplinare di tornare a svolgere la sua funzione originale: la neutralizzazione del pericolo. Un pericolo naturale e concreto che non presenta alcun carattere “inventivo”. L’innovazione tecnologica apportata dal Panopticon, e la conseguente diffusione culturale del panoptismo, non aprono necessariamente ad una narrazione storicistica lineare.
Per questa ragione la città appestata ed il Panopticon non rappresentano due fasi temporali che si susseguono in modo ordinato, ma piuttosto due modelli al contempo distinti e connessi tra loro.
Sembra importante sottolineare questo aspetto rispetto alla situazione che stiamo vivendo. Ai tempi del Covid-19 riemergono fenomeni naturali di cui ci eravamo pressoché dimenticati: l’esistenza delle pandemie. Questo imprevisto rivolgimento temporale che rievoca alla mente le antiche immagini della peste, dell’untore o del lebbroso, consente di svolgere una riflessione complessa su determinati meccanismi di potere che difficilmente può condensarsi nell’avvento di un nuovo Security State (con buona pace di Agamben).
La differenza fondamentale tra la città appestata ed il Panopticon risiede infatti nella visibilità del potere: più questo potere riesce a celarsi e a fondersi con la quotidianità degli individui, più accresce se stesso e la sua efficienza. Diventa chiaro quindi il motivo per cui il Panopticon è un modello “generalizzabile”, mentre la città appestata no. Quest’ultima consente, al contrario, di rendere visibili determinati meccanismi di potere e di esplicitarli; e mai come in questo momento esplodono con evidenza le laceranti contraddizioni della società occidentale tardocapitalistica.
Infine, se la microfisica del potere può risultare calzante nell’analisi delle misure draconiane impiegate da paesi quali la Cina o la Corea del Sud, nel contesto occidentale s’impone con bruciante urgenza la seguente questione: è possibile una biopolitica democratica? È possibile pensare una biopolitica che parta dal basso e non implichi necessariamente il ricorso alla coercizione?
È da queste domande che parte, ad esempio, la contro-risposta ad Agamben di Panagiotis Sotiris (https://criticallegalthinking.com/2020/03/14/against-agamben-is-a-democratic-biopolitics-possible/). Se per “biopolitica” intendiamo quel nesso imprescindibile tra politica e vita biologica, da ciò non segue automaticamente una valutazione antagonistica e negativa dei rapporti di potere che ne scaturiscono. Una simile lettura non renderebbe giustizia alla complessità della riflessione foucaultiana e cederebbe al fascino perturbante esercitato dalla distopia.
Senza alcuna pretesa di completezza, e consci del fatto che simili domande non possono che rimanere aperte, basti segnalare in chiusura che lo stesso Foucault sembra muoversi in questa direzione nei suoi ultimi lavori. Ci riferiamo in particolar modo ad una serie di conferenze tenute all’università di Berkley nel 1983 sul tema della parrhesia greca, tradotte anche in italiano e pubblicate nel volume “Discorso e verità nella Grecia antica”.
Riferimenti bibliografici
Agamben, G., Lo stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino, 2003
Foucault, M., Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Paris, 1975 [trad. it. di A. Tarchetti, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 2014]
Foucault, M., Naissance de la biopolitique (1978-1979), Paris, EHESS, Gallimard, Le Seuil, coll. « Hautes études », 2004 [trad. it. di M. Bertani – V. Zini, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano, 2015]
Foucault, M., Le Gouvernement de soi et des autres II : Le Courage de la vérité (1983-1984), Paris, EHESS, Gallimard, Le Seuil, coll. « Hautes études », 2009 [trad. it. di M. Galzinga, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1983-1984), Feltrinelli, Milano, 2009]
Foucault, M., Discorso e verità nella Grecia antica, Donzelli, Roma, 2005