Il debito pubblico italiano in età contemporanea
Premessa: una riflessione sul significato di “debito pubblico”
Il debito pubblico è il debito dello Stato nei confronti di altri soggetti economici nazionali o esteri (individui, imprese, banche o Stati esteri) che hanno sottoscritto un credito allo Stato nell’acquisizione di obbligazioni o titoli di Stato (in Italia BOT, BTP, CCT, CTZ e altri).
In estrema sintesi, può essere definito come l’ammontare complessivo del debito che uno Stato contrae e ha contratto nel passato per far fronte al proprio fabbisogno.
La crisi economica e finanziaria iniziata negli Stati Uniti nel 2007-2008 ha contagiato l’Europa e ha generato la crisi dei debiti sovrani nel 2010-2011, esponendo maggiormente ai tumulti del mercato i PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). In questi Paesi, accomunati da un alto debito pubblico in rapporto al Pil, si è parlato di debito pubblico come sinonimo di debolezza e inaffidabilità dello Stato. La crisi del 2020 scatenata dal Covid-19 ha riproposto il debito pubblico come indicatore della salute economica e della credibilità finanziaria degli Stati coinvolti nella richiesta di aiuti sul mercato internazionale.
Gaetano Sabatini, in un suo breve saggio dal titolo “Qualche riflessione sul debito pubblico in una prospettiva storica: miti, realtà, falsificazioni”, ha spiegato che: «l’Italia è tra quei Paesi più colpiti dalle difficoltà di bilancio e dal rialzo dei tassi d’interesse della rendita pubblica, segnale inequivocabile, quest’ultimo, della poca fiducia dei possibili acquirenti del debito nelle reali capacità di uno Stato di onorare i propri impegni. Tuttavia, nell’immaginario collettivo il debito pubblico viene quasi sempre assimilato, nelle sue modalità e nelle sue forme, con il debito che si realizza tra soggetti privati: io ricevo in prestito una certa somma, devo restituirla a una data scadenza, o in più rate, incrementandola di una frazione, di una entità più o meno ragionevole, per remunerare il prestatore del suo servizio. Questa identificazione è vera solo nella forma ma è falsa nella sostanza e contribuisce spesso ad alimentare un senso di colpa collettivo rispetto all’accumulazione del debito pubblico. Inoltre, è sempre enfatizzata dai sostenitori delle misure di austerità di bilancio, quali l’incremento delle tasse, la vendita dei beni pubblici e delle imprese di Stato, i tagli alla spesa pubblica, sotto forma di minori trasferimenti a famiglie e imprese, minori servizi, riduzione delle remunerazioni dei dipendenti pubblici. Se però il debito pubblico viene inteso non come una variabile macroeconomica avulsa dal contesto storico e, soprattutto, è analizzato in una prospettiva temporale di più ampio respiro, molti dei caratteri attraverso i quali esso viene in genere rappresentato appaiono sotto una luce assai diversa, evidenziando anche delle palesi manipolazioni».
Visualizzare il debito pubblico italiano (1861-2020)
Grafico numero 1 – Il debito pubblico italiano dall’Unità d’Italia a oggi
Fonte: il Sole 24 Ore / Banca d’Italia: https://www.ilsole24ore.com/art/debito-pubblico-come-quando-e-perche-e-esploso-italia-AEMRbSRG
Grafico numero 2 – Debito pubblico e governi italiani dagli anni Settanta a oggi
Fonte: il Sole 24 Ore / Banca d’Italia: https://www.ilsole24ore.com/art/debito-pubblico-come-quando-e-perche-e-esploso-italia-AEMRbSRG
Grafico numero 3
Fonte: Banca d’Italia: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2008-0031/QEF_31.pdf
Grafico numero 4
Fonte: Banca d’Italia: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2008-0031/QEF_31.pdf
Grafico numero 5
Fonte: Banca d’Italia: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2008-0031/QEF_31.pdf
Breve storia del debito pubblico italiano (1861-2020)
Come spiegano gli studi di Roberto Artoni (ex commissario Consob e docente emerito di Scienza delle finanze all’università Bocconi di Milano), di Maura Francese e Angelo Pace (Banca d’Italia), nell’arco dei 159 anni tra il 1861 e il 2020, si possono individuare quattro esplosioni del debito pubblico italiano.
«Il primo boom del debito italiano si verifica nel 1897, con la crisi economica di fine Ottocento, quando raggiunge il 117% del Pil nonostante un saldo primario positivo. Solo con la tumultuosa crescita economica del periodo giolittiano torna a scendere a quota 70% (nonostante le spese legate alla guerra di Libia). Le altre due impennate del debito si verificano durante i conflitti mondiali. Nel primo dopoguerra, in particolare, l’enorme debito contratto per lo sforzo bellico tocca il 160% del Pil, a livelli non lontani da quelli della Grecia nel 2018».
Artoni descrive in dettaglio come il rapporto debito-Pil sale dal 71% del 1913 al 99% del 1918, per poi impennarsi nel “biennio rosso” 1919-1920, raggiungendo il massimo storico di 160% nel 1920. Si tentò di ridurlo ma senza successo: quattro anni dopo era ancora al 142%. «Solo con la sistemazione, o la cancellazione di fatto, dei debiti di guerra, oltre che con una rilevante caduta del debito interno, la seconda crisi di finanza pubblica fu superata».
Gli effetti della crisi del 1929 e della Grande Depressione tornarono a far gonfiare il debito portandolo all’88% del Pil nel 1934, «con una spesa costante in termini nominali ma una rilevante diminuzione delle entrate». Nella seconda metà degli anni Trenta, tuttavia, il buon andamento economico consentì al Regno d’Italia di ridurre il passivo al 79% del prodotto interno lordo, nonostante l’aumento delle spese militari. Con l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale il debito raggiunse però il 108% (1943). Negli ultimi due anni del conflitto e nell’immediato secondo dopoguerra «un’inflazione spaventosa sbriciolò il debito», riportando il rapporto con il Pil al 40% (1946).
La quarta fase di boom del debito è quella di cui stiamo ancora pagando le conseguenze. Il cosiddetto «ventennio perduto del debito (1974-94)». È un problema che non si è ancora risolto, sottolinea Artoni, visto che per la prima volta nella storia d’Italia non stiamo riuscendo a riassorbirlo. Gli sforzi non sono mancati: «il nostro Paese è stato l’unico in Europa a chiudere in attivo (al netto degli interessi sul debito) 22 bilanci pubblici su 23 tra il 1995 e il 2017. Nel 2007 siamo riusciti a riportare il “mostro” al di sotto del confine del 100%, ma la Grande Crisi l’ha fatto ripiombare al di sopra del 130% del Pil. Zavorrati verso il fondo dalla spesa per interessi e da una crescita economica anemica, non riusciamo a uscire da questa palude del debito creata in un’altra epoca».
Osserviamo in dettaglio come si sono create le sabbie mobili nelle quali siamo imprigionati. «Nel luglio 1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi avviano il “divorzio”: via Nazionale, come altre banche centrali, si libera dall’obbligo di acquistare i titoli di Stato invenduti, tornando a essere indipendente nelle sue scelte di politica monetaria. La decisione, avversata da tutti i principali partiti politici, permette alla lira di restare all’interno del Sistema monetario europeo, la banda di fluttuazioni tra le valute del Vecchio Continente introdotta nel 1979 e destinata a diventare il nucleo della futura Unione monetaria».
Il periodo in cui assistiamo all’esplosione del debito pubblico italiano è quello tra il 1983 e il 1990. «È in questi anni che il debito decolla, anche perché con un’inflazione che non scende sotto il 10% fino al 1985, per trovare acquirenti di BoT e BTp il tasso medio dei nostri titoli di Stato resta sempre a doppia cifra. Il mostro del debito diventa spaventoso: nel 1980 era appena sotto il 60%, ma dieci anni dopo è già volato al 100% del Pil».
Conclusioni
Concordiamo con le considerazioni di Sabatini: «Nel corso di mezzo millennio di vita, in genere ogni debito pubblico emesso si è sempre accresciuto fino al verificarsi di una delle tre seguenti situazioni: 1. il prodursi di un forte fenomeno di inflazione, che, pur lasciando inalterato il valore nominale del debito pubblico, ne riduce, sensibilmente, il valore reale, sino, a volte, ad azzerarlo del tutto; 2. una forte frattura istituzionale o politica (una guerra, un colpo di stato, un cambio di regime, ecc.) porta il “nuovo” Stato a non riconoscere il debito emesso dal “vecchio” Stato; 3. una sopravvenuta situazione di insostenibilità spinge lo Stato a mettere in atto misure di consolidamento del debito, ovvero a dichiarare la sospensione, temporanea o definitiva, parziale o totale (cioè verso alcuni gruppi di sottoscrittori o verso tutti) del rimborso del capitale e del pagamento degli interessi.
In altre parole, con molte poche eccezioni (una di esse rappresentata dallo Stato della Chiesa), nel corso dei secoli nessun debito pubblico è mai stato ripagato sino in fondo e molti non sono stati ripagati affatto. È facile verificare la veridicità di questo asserto ove solo si consideri quanto accaduto nel corso del Novecento in Europa, come effetto delle due guerre mondiali, dei cambi di regime politico che ad esse hanno fatto seguito, nonché degli effetti delle fasi di forte inflazione prodottesi nelle fasi postbelliche e negli anni Settanta. Per la prima volta nel corso degli ultimi cinque secoli, tuttavia, la fase storica che stiamo vivendo, quella della crisi economica e finanziaria sopraggiunta a partire dal 2008, sembra invece delineare un diverso modo di comportarsi dei poteri sovrani a fronte della sopravvenuta insostenibilità del debito pubblico.
Nessuna delle tre situazioni che tradizionalmente portano ad uscire da questa situazione si è sino ad ora prodotta, mentre sono state praticate misure di drastica riduzione della spesa pubblica e di incremento delle entrate sistematico (soprattutto mediante maggiore imposizione fiscale) o una tantum (soprattutto mediante la vendita dei beni pubblici e delle imprese di Stato). Queste misure sono state adottate massicciamente nei paesi aderenti all’Unione Europea, o come scelta fatta discendere dai trattati sottoscritti, primo tra essi il Trattato di Maastricht, oppure come condizione imprescindibile per avere accesso ad aiuti finanziari, per quei paesi che, a vario titolo e in differenti forme, per sostenere l’onere del debito pubblico hanno dovuto ricercare l’aiuto principalmente della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale.
In realtà a questo ruolo il FMI non è nuovo: nato nel dopoguerra principalmente con la funzione di intervenire a sostegno delle nazioni con gravi squilibri di bilancia commerciale, il FMI si è trasformato nello strumento di più ferrea tutela degli interessi dei detentori del debito pubblico a partire dagli anni Ottanta, successivamente cioè alla fine del sistema monetario di Bretton Woods e alla crisi del debito estero accumulato da molte economie in transizione o in via di sviluppo, soprattutto come conseguenza dell’alto costo del petrolio negli anni Settanta. Nel corso di un trentennio, il FMI ha gradualmente consolidato le sue funzioni di inflessibile tutore dell’ortodossia di bilancio, impedendo che fossero adottati i tradizionali strumenti di decompressione della morsa del debito pubblico, tuttavia è solo dalla fine della scorsa decade che questo ruolo è stato esercitato anche nel cuore dell’Europa, nel centro del mondo occidentale.
L’imposizione di misure draconiane di riduzione della spesa pubblica e di incremento delle tasse non ha ricevuto nessuna seria opposizione da parte dei governi nazionali, anzi è stata in genere invocata come ineluttabile, ad onta dell’effetto gravemente recessivo che questi strumenti hanno indotto e stanno continuando a causare (la forte contrazione della domanda, e quindi della produzione e dell’occupazione, genera ovviamente un circolo vizioso giacché più diminuisce l’occupazione più si riduce la domanda, e così via all’infinito), ad onta del fatto che la contrazione dell’attività economica causa la caduta del gettito fiscale, e quindi l’incremento dei deficit pubblici, e anche ad onta dei pesantissimi costi umani che tutto questo sta generando in termini di disagio, tensioni, disgregazione del tessuto sociale, distruzione delle classi medie.
Possiamo trarre qualche insegnamento da queste riflessioni sulle vicende del debito pubblico in un passato più remoto e più recente? A parere di chi scrive sì. L’ossessiva ripetizione dell’impossibilità di percorrere qualsiasi strada alternativa all’austerità di bilancio come conseguenza delle condizioni ferree stabilite dalla Unione Europea è una foglia di fico, o almeno è una giustificazione tanto credibile quanto i lamenti di colui che prima ha costruito una gabbia, poi ci si è chiuso dentro e ora grida perché non può uscirne: come sono state fatte, quelle stesse condizioni possono essere adattate al mutato contesto economico, politico e sociale prodottosi a partire dalla seconda metà della precedente decade. Allo stesso tempo, è importante avviare questo processo andando a indagare com’è cresciuto il debito pubblico negli anni delle privatizzazioni e in che relazione esso è con la realizzazione delle grandi opere infrastrutturali, entrambi passaggi spesso accompagnati da reiterati episodi di corruzione e sprechi».
Concordiamo infine anche con le considerazioni pubblicate dall’Osservatorio Conti Pubblici Italiani di Carlo Cottarelli: «In teoria il problema del debito ha una soluzione semplice che consiste in riforme strutturali volte ad accrescere il saggio di sviluppo dell’economia: occorre rendere meno difficile fare impresa. Come noto, da questo punto di vista l’Italia non è messa bene, malgrado un drappello di imprese manifatturiere che in questi anni hanno saputo rinnovarsi e reggere alla sfida dei mercati internazionali. Come certifica l’indicatore Doing Business della Banca Mondiale, l’Italia è uno dei Paesi in cui è più difficile fare impresa. Peraltro, le molte riforme che sono state fatte negli ultimi due decenni non sembrano aver dato i risultati sperati. Ancora oggi il tasso di crescita dell’Italia è fra i più bassi dell’Unione europea».
Le fonti:
Artoni Roberto (2005), Note sul Debito Pubblico Italiano dal 1885 al 2001, Rivista di Storia Finanziaria, vol. 15, pp. 77-110.
Artoni Roberto e Sara Biancini (2004), Il Debito Pubblico dall’Unità ad Oggi, in Ciocca, Pierluigi e Gianni Toniolo (2004), Storia Economica d’Italia, Bari, Banca Intesa – Laterza, pp.269-380.
Sabatini Gaetano, Qualche riflessione sul debito pubblico in una prospettiva storica: miti, realtà, falsificazioni, Articolo pubblicato in Studium, n. 12, Roma 2013, pp. 940-945.
Il debito pubblico in Italia: perché è un problema e come se ne esce, Osservatorio CPI, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-il-debito-pubblico-in-italia-perche-e-un-problema-e-come-se-ne-esce
Il debito pubblico italiano dall’Unità a oggi. Una ricostruzione della serie storica a cura di Maura Francese e Angelo Pace, Questioni di Economia e Finanza, Occasional papers n. 31, ottobre 2003: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2008-0031/QEF_31.pdf
Marro Enrico, Debito pubblico: come, quando e perché è esploso in Italia, il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2018: https://www.ilsole24ore.com/art/debito-pubblico-come-quando-e-perche-e-esploso-italia-AEMRbSRG