Il tempo continuo del lockdown
Lo spaziotempo individuale e quello collettivo riletti attraverso una nuova lente
«[…] sul continuum tra biografia e statistiche aggregate, c’è una zona crepuscolare da esplorare, un’area dove la nozione fondamentale è che le persone mantengano la loro identità nel tempo, dove la vita di un individuo è il suo progetto principale, e dove il comportamento aggregato non può sfuggire a queste realtà. Con una preoccupazione per l’individuo, ne consegue che abbiamo bisogno di capire meglio cosa significa per una posizione avere non solo coordinate spaziali ma anche ordinate temporali.»
(Hägerstrand, 1970: 9-10, traduzione dall’originale)
Il termine lockdown pretende il riconoscimento di una potenza evocativa tale da superare qualsivoglia diversità culturale, in quanto siamo tutti ricondotti ai divieti claustrofobici imposti da un “blocco spaziale”. Tuttavia, lo stato di isolamento al quale gli italiani (e non solo) sono stati costretti manifesta preoccupazioni che vanno oltre la tridimensionalità: sovente si concede voce a una critica rivolta al tempo, a un tempo che è “troppo lungo”, che si accompagna alla noia e che, nei casi più emblematici, è portavoce di una crisi di identità.
Il lockdown è, evidentemente, anche un problema temporale.
Nel tentativo di fornire una risposta circa la natura di tale temporalità, sono necessarie alcune premesse teoriche già parzialmente svelate e che si implicano a vicenda. Partendo, infatti, dalla constatazione dell’impossibilità di parlare dello spazio senza il tempo e viceversa, si tratta di concepire l’individuo compatibilmente ai presupposti del “Dasein” di Heidegger (1927), della “Situazione” di Sartre (1943) e, in un certo senso, dell’insegnamento di Hegel (1807), la cui “Fenomenologia dello Spirito” si propone con una trama scritta dal dialogo tra lo spazio e il tempo. Il legame indissolubile tra lo spazio e il tempo è anche la robusta base della teoria della relatività generale di Einstein, secondo la quale un oggetto, un ente in generale, è tale a partire dalla curvatura che la sua presenza fornisce allo spaziotempo, un palcoscenico costituito dalle quattro dimensioni capaci di giustificare l’esistenza stessa.
Accogliere siffatta stretta di mano tra la filosofia e la scienza significa ammettere che il nostro Sé, la nostra identità, si fonda proprio sullo spaziotempo che ci compete in quanto essere-spazio ed essenza-tempo. Il passo successivo consiste nel richiamo a un concetto di cronogeografia, anticipato dalla considerazione di Hägerstrand (1970) riportata sopra. Si tratta del daily prism, ossia il prisma quotidiano che, attraverso la rappresentazione grafica su un diagramma cartesiano a quattro dimensioni (le tre coordinate dello spazio sull’asse delle ascisse, la coordinata del tempo sull’asse delle ordinate), fornisce le possibilità giornaliere di un individuo.
E, quindi, lo spaziotempo che gli compete in quanto “percorso”, che dovrà sempre tenere conto di una home base quale punto fisso.
Il daily prism nasce da una riflessione circa l’identità di un individuo, troppe volte schiavo di costrizioni che si tramutano in una battaglia tra lo spaziotempo personale e quello che la società si aspetta che venga accettato, in nome di un determinato ruolo sociale. Ciò comporta, il più delle volte, la presa in carico di tale incompatibilità attraverso ritmi di vita frenetici, in difesa di un’identità pirandelliana fatta da tanti piccoli pezzi di Sé che, in parecchi casi, non gradiscono stringersi la mano.
Eccoci dunque pronti ad approvare il path dell’individuo che è l’instancabile ricercatore, ma anche l’appassionato di sport, o il genitore che vorrebbe dedicarsi interamente ai figli, e così via verso un’identità composta “per salti”. Tentando e accettando i limiti di una semplificazione matematica molto qualitativa, si potrebbe dire che un Sé così formato si distanzia parecchio da una funzione continua: un genitore, per esempio, dedicherà un arco temporale specifico al suo ruolo per poi “mettersi in pausa” nell’intervallo di tempo successivo, pronto a recuperare ciò che aveva lasciato in sospeso quando la sua quotidianità lo consentirà, colmando nel frattempo gli intervalli con altri ruoli.
Il lockdown, tuttavia, è impermeabile a tale riflessione, poiché rappresenta uno scenario in cui la casa è l’unico spazio che l’individuo può permettersi. La casa-base non è più qualcosa da raggiungere durante la giornata, bensì l’unico luogo concesso: ciò che ne consegue è un tempo caratterizzato da una continuità senza salti che, se fosse disegnata su un pezzo di carta, sarebbe il risultato di un libero scorrere della matita, senza interruzioni, su un foglio spaziotemporale chiamato casa. Nonostante l’evidente maggiore facilità di gestione di un tempo di questo tipo, lo scarto con il prisma (o i vari prismi) della routine quotidiana precedente è talmente palese da costringerci a mettere in discussione la nostra stessa identità, che necessita di essere ricostruita anche nelle relazioni che la caratterizzano. Riprendendo l’esempio precedente, un genitore e un figlio in isolamento nella stessa dimora si ritrovano a essere tali “continuamente”, con la conseguente scoperta di un’incompatibilità di prismi rispetto alla quale non è possibile fingere un improvviso stato di cecità e sordità.
Se volessimo, dunque, cercare una “morale della favola filosofica”, potremmo concludere con una provocazione costruttiva: il lockdown ha rappresentato un’occasione per acquisire consapevolezza di una continuità dell’individuo più pacifica per tornare, domani, a procedere sempre in accordo ai salti sociali pretesi e ambiti, ma senza rischiare di giocare con gradini troppo alti, rompendoci le ossa. Il blocco spaziotemporale potrebbe esserci stato utile, tutto sommato, per scovare alcune forzature di cui prima non ci preoccupavamo abbastanza, senza però trasformare il tutto in un esonero dal raggiungimento degli obiettivi individuali e sociali.
Riferimenti bibliografici
Hägerstrand, T. (1970). What about people in Regional Science?, in «Papers of the Regional Science Association», XXIV, 7-21.
Hegel, G.W.F. (1807). La fenomenologia dello spirito, a cura di G. Garelli, Torino, Einaudi, 2008.
Heidegger, M. (1927). Essere e tempo, a cura di F. Volpi, Milano, Longanesi, 2005.
Sartre, J. (1943). L’essere e il nulla, La condizione umana secondo l’esistenzialismo, a cura di F. Fergnani, M. Lazzari, Milano, Il Saggiatore, 2014.