Il contagio, ieri e oggi
Storia della peste in Molise, Campania, Lazio. Con presunti untori e fake news
Come amava sottolineare spesso il nostro grande e carissimo maestro, il professore Giuseppe Galasso, la storia non è “magistra vitae”. È piuttosto la vita che ha da insegnare alla storia: sicuramente le detta, o così dovrebbe essere, molte delle domande che riempiono poi l’agenda degli storici.
Così è anche nei giorni, nelle settimane e nei mesi di questa nuova pandemia. I paragoni tra le epidemie di ieri e di oggi si ripetono più o meno costantemente sui media, sui giornali, nelle nostre considerazioni. Anche a noi è stato chiesto e, al di là delle analogie e differenze che qua e là si possono riscontrare, vorremmo qui condividere la riflessione che tali comparazioni ci hanno indotto a fare.
Cominciamo con qualche dato.
Più e più volte abbiamo sentito paragonare la pandemia provocata dal Covid 19 alle grandi epidemie di peste del passato e le loro narrazioni: Paolo Diacono, Boccaccio, Alessandro Manzoni, Albert Camus. L’ultima grande peste che imperversò nelle terre del Mezzogiorno d’Italia fu quella del 1656. Napoli, la grande città capitale, ne fu colpita tra marzo e maggio del 1656, portata dai marinai di una nave. Si diffuse rapidamente in tutta la città, favorita dal grave ritardo con cui i governanti riconobbero il carattere contagioso della malattia e adottarono i provvedimenti opportuni, ovverosia l’imposizione di un cordone sanitario tutto intorno alla capitale al fine di controllare l’ingresso e l’uscita dal centro cittadino a chiunque fosse sprovvisto dei bollettini di sanità.
Le misure prescrittive di contenimento e di controllo del territorio si rivelarono, però, largamente inefficaci. I divieti furono più o meno disinvoltamente evasi, sia per garantire il rifornimento annonario della città, sia perché furono in tanti, soprattutto tra l’aristocrazia, a cercare rifugio altrove, lontano dall’affollamento della città, meglio se al riparo delle residenze nei feudi di provincia.
In Molise, l’area su cui abbiamo focalizzato la nostra attenzione, la peste arrivò a fine maggio, attraversando la provincia di Terra di Lavoro, dapprima a Castelpetroso. Ad agosto, complice il trasferimento di molti nobili dalla capitale nei propri feudi, si era diffusa in molte altre località della provincia e certamente a Campobasso, Busso, Bojano, Castropignano e San Massimo, Campochiaro, Campodipietra, Cantalupo, Macchia d’Isernia, Morcone, Pescolanciano, Agnone, Forlì.
Cercepiccola, per esempio, fu devastata dalla peste. Le fonti attestano che, dieci anni dopo, si contavano ancora le vittime e le distruzioni all’abitato apportate dal morbo, con una popolazione ridottasi del 50% (da 160 fuochi a poco più della metà) e oltre 30 tra case ed edifici abbandonati. Le comunità più colpite furono quelle poste lungo l’antica via della transumanza, del commercio delle eccedenze alimentari e del rifornimento del mercato alimentare della grande capitale. Le strade, cioè, della mobilità delle persone, e non solo quella dei ceti popolari, ma anche dei ceti medi delle professioni che ruotavano intorno l’amministrazione dei feudi e delle curie ecclesiastiche.
Una curiosità, poi.
Anche nel corso di quell’evento si sparsero false notizie, delle fake news diremmo oggi. Si disse, per esempio, che si erano visti degli strani forestieri in giro nell’atto di spargere polveri velenose veicolo della diffusione del morbo. Questo per dire che anche in passato popolazioni rese fragili dalla paura hanno pensato di trovare una ragione all’assurdo teorizzando macchinazioni organizzate da ipotetici nemici.
La considerazione più forte comunque che viene dal ripercorrere quegli eventi è che allora come oggi è la politica che può fare la differenza nell’impatto della malattia. Già Ludovico Antonio Muratori, nel 1720, molti anni dopo quindi quegli eventi ebbe, a dire: «La vera Peste non nasce come i funghi, né ha le ali da volar lontano, se non gliele prestano gli Uomini stessi. È necessario poter disporre di buoni magistrati, che colla lor vigilanza e prudenza arrestino il morbo a i confini, ovvero l’imprigionino in qualche terra, o porzione del paese, ove sia penetrato» (L.A. Muratori, Del governo della peste e delle maniere di guardarsene, trattato, diviso politico, medico, & ecclesiastico). A Roma, nel 1656, il cardinale Girolamo Gastaldi, nominato da papa Alessandro VII Chigi commissario straordinario alla Sanità, impose misure rigorosissime di controllo del territorio, promulgando finanche la pena di morte a chi avesse evaso le disposizioni. Il cordone sanitario imposto intorno la città di Napoli ebbe invece numerose falle e la peste dilagò anche nelle province.
Le emergenze sanitarie non godono di virtù catartiche livellatrici. Non sono per tutti uguali. Ahimè, le crisi e le risposte alle crisi rendono fragili ancor più i deboli. Equilibri già di per sé precari – come quelli di chi vive in 5 o 6 in 50 metri quadrati o arrotondano una magra pensione con qualche “lavoretto” in nero – in momenti come questi possono saltare del tutto senza adeguate reti di protezione.