Il senso del tempo per gli alberi
Viaggio a ritroso tra arte, boschi, evoluzione, filosofia e letteratura
Centinaia di milioni di anni fa, quando da animali ci siamo distanziati dai vegetali, abbiamo occupato, nell’albero dell’evoluzione darwiniana, posizioni che rinviano ad alcune sostanziali differenze.
I vegetali stanno fermi e sono autotrofi – a nutrirli bastano il sole, l’acqua, i minerali e il gas carbonico – gli animali sono eterotrofi, cioè si nutrono (da erbivori e, con un passaggio in più, da carnivori) di materiali organici elaborati da vegetali. Mangiando frutti e foglie, un paio di milioni di anni fa, ci siamo – divenendo lentamente uomini – alzati dalla posizione di scimmie quadrupedi e abbiamo costruito il nostro dominio.
Abbiamo viaggiato partendo dall’Africa centrorientale e conquistato il pianeta; tagliando e bruciando alberi ed erbe abbiamo tolto al regno vegetale gran parte dello spazio di cui disponeva fino ad addomesticarlo soggiogandolo con l’agricoltura ai nostri bisogni. Una cosa sola ci è sfuggita: il dominio del tempo.
La vita animale (la nostra, quindi) ha un limite temporale che si misura in anni, prolungandosi (geneticamente almeno) solo con in nuovi individui mai uguali, per il disordine cromosomico che segue all’incontro tra genomi diversi, a quelli da cui provengono.
Al contrario, le piante possiedono tessuti in perenne condizione embrionale, pronti a dare origine a tutti gli organi necessari e una parte di essi (una gemma, anche una sola cellula) può condurre a riprodurre, moltiplicando teoricamente in eterno, l’individuo da cui proviene. Il tempo non è un limite e va anche oltre vite individuali che possono durare molto più a lungo di quella di un qualsiasi essere animale: conosciamo alberi di migliaia di anni.