Parole di poeti e di profeti per capire se #celafaremo
Da Geremia a Nelly Sachs, passando per Bernini (e al colonnato di San Pietro in tempo di pandemia)
Ce la faremo: stiamo disseminando questo slogan di speranza sui social, lo stiamo esponendo dai balconi e dai balconi lo stiamo gridando, ma… #celafaremo? La lunga fila di bare alle porte del cimitero di Bergamo ci ricorda che no, che in migliaia non ce l’hanno fatta e non ce la stanno facendo, nonostante l’eroica dedizione di medici, infermieri, sanitari. Tutti insieme stiamo semplicemente levando un grido verso il cielo o forse, senza saperlo (senza poterlo sapere, senza volerlo sapere) verso il Cielo.
Ventisette secoli fa Geremia, un profeta — cioè uno che, dicendo di parlare in nome di Qualcun altro, interpretava il tempo presente e i suoi “segni” e quindi presagiva il tempo futuro -, gridava così: «Una voce si ode da Rama, / lamento e pianto amaro: / Rachele piange i suoi figli, / rifiuta d’essere consolata perché non sono più». Pare ne ricevesse una consolante risposta dal Cielo: «Trattieni la voce dal pianto, / i tuoi occhi dal versare lacrime, /perché c’è un compenso per le tue pene; / essi torneranno dal paese nemico. Ti ho amato di amore eterno, /per questo ti conservo ancora pietà. Di nuovo ti ornerai dei tuoi tamburi /e uscirai fra la danza dei festanti (Ger 31,3-4 e 15-16).
Un profeta dei nostri tempi qualche giorno fa è salito in solitudine al centro del colonnato di San Pietro, quel colonnato che il suo creatore (Gian Lorenzo Bernini) aveva pensato, anche lui profeticamente, come «un portico che per l’appunto dimostrasse di ricevere a braccia aperte maternamente» il mondo intero (Biblioteca Apostolica Vaticana, manoscritti Chigiani, H. II. 22, f. 109v). Da lì, a nome di credenti e non credenti del mondo intero, papa Francesco ha rivolto al Cielo un doloroso grido di preghiera — «non t’importa che siamo perduti?» — e ha proposto, come risposta, un contro-interrogativo, tanto semplice quanto incomprensibile e inaccettabile per noi donne e uomini di cultura, emancipati, razionali: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,38 e 40).
I profeti sono sempre soli, soprattutto perché raramente o forse mai ascoltati. Lo ricordava una poetessa di origini ebraiche nel contesto della tragedia della II guerra mondiale. Era Nelly Sachs (1891-1970), premio Nobel per la Letteratura nel 1966 e quella poesia si intitola “Le stelle si oscurano” (1944-46).
Alcuni versi suonano, e risuonano, così: «Se i profeti irrompessero / per le porte della notte, / incidendo ferite di parole / nei campi della consuetudine, / orecchio degli uomini / ostruito d’ortica / sapresti ascoltare? / Se la voce dei profeti / costruisse un ponte / con gli spenti sospiri dei vecchi / orecchio degli uomini / attento alle piccolezze, / sapresti ascoltare?».
«Non t’importa che siamo perduti?». Ecco, questo è il grido al Cielo che risuona dentro molti di noi in questi giorni, e sì, abbiamo paura e non ancora (o abbastanza) fede, la quale è soprattutto quella «serena fiducia» che può portare pace a una «coscienza ferocemente turbata», come scrisse di sé nientedimeno che lo stesso Lutero nella prefazione alla prima edizione completa dei suoi scritti latini (1545). Non so se e come #celafaremo, ma #losperotanto, anche perché mi piacerebbe proprio uscire fra la danza dei festanti in buona compagnia e sotto gli occhi di un Cielo sorridente.
Articolo pubblicato su Repubblica Palermo del 14/04/2020