Il conformismo dei sentimenti e il paternalismo pandemico
I rischi per la democrazia nei comportamenti dettati dall’alto
“Il vivere libero è assai più bello del vivere in carcere; chi ne dubita? Eppure anche nelle miserie d’un carcere, quando ivi si pensa che Dio è presente, che le gioie del mondo sono fugaci, che il vero bene sta nella coscienza, e non negli oggetti esteriori, puossi con piacere sentire la vita. Io in meno di un mese avea pigliato, non dirò perfettamente, ma in comportevole guisa, il mio partito”.
Silvio Pellico, Le mie prigioni, Milano, BUR.
Negli ultimi mesi in molti abbiamo sperimentato una singolare forma di reclusione a causa della pandemia che ha colpito molti Paesi nel mondo, tra cui l’Italia.
Nel tentativo di contrastare la pandemia da Covid-19, molte nazioni hanno adottato come principali contromisure il distanziamento sociale e la diagnosi precoce. Le misure di contenimento sociale sono volte a limitare la diffusione del virus e soprattutto a mitigare i suoi effetti sui sistemi sanitari, in modo da poter curare meglio le persone disponendo di un lasso di tempo più grande. Assoggettarsi a tali norme restrittive delle libertà personali è stato generalmente considerato come un male minore rispetto ai rischi per la salute pubblica.
Eppure, in tale mansuetudine si nasconde qualcosa di pericoloso per la qualità della democrazia, almeno per i Paesi che ne conoscono le forme più avanzate e liberali. Si tratta di ciò che potremmo chiamare “conformismo dei sentimenti”. Questa forma di conformismo ha solide basi nei valori maggiormente condivisi e nelle più comuni forme di coesione sociale. È come quando si vede qualcuno sghignazzare a un funerale. Non sta bene. Però, ragionando in questo modo, si rischia l’intolleranza e di pretendere che tutti si regolino sullo stesso tono emotivo.
All’inizio della “reclusione” occorreva coltivare forme comuni di sostegno emotivo, come il ritrovarsi affacciati alle finestre e ai balconi di casa per condividere l’inno nazionale e alcune melodie popolari. In seguito, è sembrato appropriato intristirsi all’unisono e sanzionare chi sembrava fare diversamente. “Sembrava”, appunto. Non c’è ragione di credere che andando a correre o a far ginnastica in un parco si sia cinici o indifferenti alle sofferenze altrui. Eppure, sia i singoli cittadini sia le forze dell’ordine deputate a far rispettare le norme di contenimento sociale hanno spesso condannato moralmente i “trasgressori”, anche quando non c’era alcuna trasgressione delle norme.
Si è fatta molta confusione tra la percezione più comune di cosa sia appropriato socialmente e cosa sia invece giuridicamente lecito. Alcuni sono stati fermati dai vigili sotto casa perché correvano da soli intorno alla loro abitazione, con le forze dell’ordine improvvisamente trasformate in guardiani della morale pubblica. Altri hanno subito lo stesso trattamento perché facevano pesca subacquea, naturalmente in compagnia soltanto delle onde e dei pesci. Il conformismo dei sentimenti è il primo passo verso l’autoritarismo.
Anche se il conformismo dei sentimenti e il gusto per l’autoritarismo possono essere sembrati appropriati nei momenti peggiori della pandemia, purtroppo riveleranno i loro effetti peggiori quando il contagio sarà terminato. C’è di mezzo la qualità della democrazia liberale. È questione di essere cittadini in senso pieno, invece che sudditi e succubi delle aspettative emotive prevalenti. Se tali piccole storture non vengono notate mentre si verificano, in futuro rischiamo di continuare a tollerarle. I governanti potrebbero approfittarsene, accelerando le tendenze oggi molto diffuse verso forme di governo populiste e scarsamente partecipate. Il paternalismo, che è uno dei nemici principali delle democrazie liberali, trova così un terreno fertile per diffondersi. Al rischio del contagio da Covid-19 si aggiunge, sfortunatamente, il rischio del contagio del paternalismo.
Nei riguardi del genere di preoccupazioni appena menzionate, l’obiezione è ben nota. Se tutti, abitando in campagna, vanno a funghi in un certo bosco, quell’attività – di per sé innocua ed anzi salutare – può generare un pericoloso assembramento. Siccome la gente non sa regolarsi, allora sospendiamo le attività che sembrano frivole. Alcuni ritengono che la risposta risieda nel formulare norme sempre più dettagliate, fino al limite del ridicolo e incapaci di coprire tutto il novero dei casi possibili. Altri, semplicemente, scoraggerebbero i comportamenti “frivoli” senza troppa indulgenza.
La risposta, invece, risiede nel fare appello al senso comune. Se è consentito correre sotto casa, ma uscendo trovo una folla di corridori, è meglio che vada altrove o torni a casa. Per fortuna il buon senso non è una esclusiva delle élite culturali e sociali di un Paese. È una risorsa distribuita in modo ubiquitario. Inoltre, se una comunità di comunicazione si affida al buon senso dei suoi membri, quest’ultimo tenderà a diffondersi tra gli individui.
Al contrario, il paternalismo genera la rabbia sociale di alcuni e l’assoggettamento cieco da parte di altri. In definitiva, se proprio dobbiamo scegliere, è il buon senso a dover limitare la legge, e non la legge a limitare il buon senso. Almeno, se abbiamo a cuore i valori della cittadinanza responsabile tipici delle democrazie mature. Se cediamo al paternalismo, al conformismo dei sentimenti e guardiamo con favore le tirate autoritarie dei governanti, quando tutto questo sarà finito avremo tra le mani una democrazia più fragile e più disponibile alla corrosione del populismo e all’idiozia.