Napoleone Bonaparte: cinque curiosità sul generale francese
Napoleone ha generato un autentico mito della sua persona. Tra false leggende sulla sua statura, piccoli tic e le storiche acquisizioni di grandi opere d’arte come la Gioconda, rimase un personaggio polarizzante per tanti grandi intellettuali della sua epoca e non solo
Cinque cose che non sapevi su Napoleone
L’altezza di Napoleone
Napoleone non era certo un gigante, eppure quello della sua bassa statura è sicuramente considerabile come un falso mito. Secondo Jean-Nicolas Corvisart des Marets, che per anni fu il suo medico personale, il generale francese era alto tra 1,67 e 1,69 cm. Perfino più alto della statura media dei francesi dell’epoca che era di 1,64cm.
Da cosa deriva allora l’idea che fosse basso? Napoleone venne nominato comandante in capo dell’Armata d’Italia nel 1796 a soli 27 anni. Il suo genio militare sovvertì gli esiti di una campagna che fino ad allora si era arenata su una sterile guerra di posizione guadagnandosi il nomignolo di “piccolo caporale”. L’aggettivo “piccolo” non è perciò da intendersi in relazione alla sua statura ma alla giovane età del comandante in capo.
Da non sottovalutare poi l’impatto che ebbe la propaganda inglese dell’epoca, dove Napoleone veniva tratteggiato come amorale e assetato di sangue, e sempre raffigurato come un nano. Tra le caricature più famose vi sono quelle di James Gillray.
Napoleone e la Gioconda
Nel diario di viaggio scritto dal canonico Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona che in quell’epoca era in viaggio in Francia, si fa riferimento ad un incontro tra il cardinale e Leonardo da Vinci, il 10 ottobre 1517.
Nel resoconto si annotano diversi quadri in possesso di Leonardo, tra i quali il San Giovanni Battista, la Sant’Anna con la Vergine e il Bambino e due ritratti non identificati di cui uno che si pensa essere proprio la Gioconda.
Il capolavoro di Leonardo, dunque, si sarebbe trovato già in Francia ben prima della campagna d’Italia del 1796. Inoltre, la Gioconda entra ufficialmente a far parte della collezione del re Francesco I di Francia già a partire dall’anno successivo, il 1518. Molti studiosi ritengono che l’opera fosse stata venduta al sovrano d’oltralpe da Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì, uno degli allievi di Leonardo.
Di sicuro è cosa nota che Napoleone amasse molto quel quadro, tanto da appenderlo nelle stanze private della moglie, Giuseppina di Beauharnais. Nel 1804 la Monna Lisa venne definitivamente esposta al Louvre di Parigi (all’epoca “Museo Napoleone”).
Il furto della Gioconda ad opera di Napoleone è perciò un falso mito. C’è da dire tuttavia che, durante la Campagna d’Italia, furono effettivamente trafugate delle opere di Leonardo tra cui i manoscritti e il Codice Atlantico, ovvero la grande raccolta di disegni e scritti che furono esposti al Louvre fino al 1815 per poi essere restituiti ed esposti nella biblioteca Ambrosiana di Milano.
Il famoso ritratto di Napoleone con la mano dentro il gilet
Quella di Napoleone con la mano all’interno del gilet è una posa abbastanza classica, che compare in molti ritratti tra XVIII e XIX secolo. Possiamo trovare raffigurazioni simili nei ritratti di Wolfgang Amadeus Mozart, di George Washington, del poeta Paul Verlaine e perfino in un ritratto di Karl Marx.
Tuttavia il gesto è iconicamente associato alla figura di Napoleone Bonaparte. Vi sono molte speculazioni a riguardo: una delle più accreditate è quella dello storico Thierry Lentz, che sostiene che la mano sul ventre fosse dovuta a una serie di dolori di stomaco, forti disturbi gastrici che lo porteranno il generale al tumore, causa della sua morte.
Altre teorie tuttavia affermano che si tratti semplicemente di una posa che aveva a che fare con l’oratoria dell’epoca. Si tratta, infatti, di una postura ispirata dai quadri del filosofo e noto retore ateniese Eschine, che si pensa fosse solito tenere i suoi discorsi con una mano sul petto.
Vi sono anche ipotesi legate al costume dell’epoca ,che vedeva come estremamente sconveniente l’atto di lasciar cadere le braccia pendenti lungo il corpo. In quel periodo, infatti, i pantaloni non avevano delle tasche e pertanto si era soliti riporre gli oggetti di valore all’interno del proprio gilet.
Il cavallo di Napoleone
Una dei quadri più famosi che raffigura Napoleone è quello ad opera di Jacques Louis David intitolato Bonaparte valica il Gran San Bernardo (o più comunemente Bonaparte valica le Alpi), dipinto tra il 1800 e il 1803, che ritrae il condottiero in sella ad un maestoso cavallo bianco di nome Marengo.
Il nome gli fu dato in ricordo della vittoriosa battaglia di Marengo, combattuta il 14 giugno 1800 nel corso della seconda campagna d’Italia. Si trattava di stallone arabo bianco (anche se in realtà era più tendente al grigio) portato in Francia dall’Egitto nel 1799, quando aveva 6 anni.
Marengo accompagnò Napoleone nelle battaglie di Austerlitz, Jena, Wagram e Waterloo. E in ben otto battaglie, l’animale fu ferito riuscendo sempre a sopravvivere e dimostrandosi un cavallo di grande forza e affidabilità. Il destriero era dotato di grande velocità, capace come era di percorrere la distanza che tra Valladolid e Burgos (ben 120 chilometri) in sole cinque ore, secondo le testimonianze dell’epoca.
Fu catturato nel 1815 durante la battaglia di Waterloo da William Henry Francis Petre che lo portò con sé nel Regno Unito dove morì all’età di 38 anni. Il suo scheletro (senza uno zoccolo) è tuttora conservato al National Army Museum di Londra.
Odi et amo: l’immagine di Napoleone per gli intellettuali
Mentre era ancora in vita, un personaggio di tale rilevanza non mancò di far discutere gran parte degli intellettuali europei. Fu Napoleone stesso a favorire in tutti i modi il mito di sé, creando durante il suo impero un vero e proprio culto della sua personalità nei modi tipici di ogni dittatura. Tuttavia anche dopo la sua morte, la leggenda del gran condottiero militare che aveva conquistato l’Europa, donando ordine e leggi uno volta salito sul trono, non smise mai di affascinare.
Lo sbigottimento per la morte di un uomo di così grande statura fece da scintilla creativa per il componimento di una delle più celebri opere di Manzoni, Il cinque maggio. Manzoni non era certo nella schiera degli estimatori di Napoleone – viste le sue idee liberali che mal si conciliavano con il culto di un uomo che di fatto aveva esercitato in Europa un potere di natura dittatoriale – tuttavia, complice la scoperta della conversione cristiana in fin di vita del grande statista, decise di dedicargli un’ode.
Nel tratteggiare le grandi imprese e le rovinose cadute, Manzoni si astiene da un vero e proprio giudizio su un uomo di tale importanza con parole ancora oggi usate per esprimere un dubbio difficile da sciogliere: Fu vera gloria? Ai posteri / L’ardua sentenza.
Tra i grandi sostenitori della figura napoleonica invece troviamo Stendhal che, tra il 1817 e il 1818, lavora ad una Vita di Napoleone (opera che tuttavia non verrà mai pubblicata) che si configura come una vera e propria elegia di un “essere straordinario che assurge a paradigma di pastore di popoli”, come lo scrittore stesso stesso lo definisce. Per Stendhal, infatti, Napoleone era chi avrebbe dovuto condurre la stanca Europa dell’ Ancien régime verso la il compimento degli ideali della Rivoluzione francese del 1789.
Un caso particolare è invece quello del compositore Ludwig van Beethoven che compose la sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55, intitolandola “Sinfonia a Bonaparte”. Tuttavia si racconta che, dopo aver saputo che Napoleone si era incoronato imperatore nel 1804, profondamente irritato decise di strappare il frontespizio, togliendo ogni riferimento a Bonaparte e rinominando l’opera con un più generico Grande sinfonia Eroica per celebrare il sovvenire di un grande uomo, o più semplicemente Eroica.