Vacanze di guerra
Le colonie, “scoperta” del ventennio fascista
Per molti italiani, agosto è sinonimo di ferie, vacanze, viaggi in luoghi esotici o in località turistiche nostrane. Per i bambini è godersi il meritato riposo dopo un anno scolastico intenso, mentre per gli studenti che terminano il ciclo delle superiori significa iniziare a riflettere se intraprendere un percorso universitario o cercare un lavoro.
Nell’anno del Covid-19, il modo di passare le vacanze e di pensarle è stato rivoluzionato completamente: molti hanno preferito rimanere in Italia o addirittura non spostarsi da casa.
Tornando indietro nel tempo, a un periodo come quello dell’Italia fascista, che cosa significava andare in ferie?
Con l’affermazione del fascismo, il governo decise di istituire le cosiddette “colonie marine”. Vari sono i casi nel nostro Paese, uno tra tutti la Romagna.
Nel primo lustro del ventennio fascista il regime individuò subito nella colonia marina una struttura ideale dove svolgere attività di propaganda giovanile, così da inquadrare i più piccoli già durante gli anni cruciali della formazione. Il progetto ideato dal governo fu efficace: favorito dalla pratica della talassoterapia – che era stata messa a punto nel XIX secolo – portò la maggior parte degli italiani a passare i periodi estivi all’interno di queste strutture balneari.
Nella già citata riviera romagnola vi fu un proliferare di questi stabilimenti: Novarese Miramare, la Agip di Cesenatico, la Dalmine di Riccione o la Bolognese di Rimini. Molte di queste colonie erano frequentate dagli operai delle omonime industrie, che avevano avuto l’idea di creare dei lidi in cui passare l’estate con le proprie famiglie. Sulla colonia della Bolognese di Rimini nel corso del ventennio, ecco la testimonianza di un piccolo Enzo Biagi: “Ho visto il mare la prima volta dopo le elementari. Colonia della decima legio, Rimini. Balilla, grado: caposquadra. Se ci ripenso sento un acuto odore di marmellata gelatinosa in mastelli”.
Le parole del futuro giornalista sono i pensieri di un balilla spensierato che aveva finito la scuola elementare e che finalmente poteva godersi il mare e le vacanze.
Tuttavia, con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista, le colonie non furono più un luogo in cui passare momenti spensierati ma di rifugio per i bambini. Un caso emblematico furono i bambini che provenivano dalle colonie dell’impero, come la Libia. Le famiglie italiane mandavano i propri figli in colonia per saperli al sicuro, consapevoli di non poterli rivedere se non alla fine della guerra.
Nel secondo dopoguerra, una volta ristabilita la pace in Europa, anche se per poco tempo le spiagge italiane nel periodo estivo si ripopolarono. In un filmato del 1964 dell’Istituto Luce, “Romani sulla spiaggia di Ostia”, viene ripreso un lido senza divi del cinema o altre celebrità, affollato di ombrelloni e persone. Il lido di Ostia, afferma il proprietario di uno stabilimento nel cortometraggio, era frequentato – come accade che oggi nelle spiagge libere o nei lidi attrezzati – nel fine settimana o nei giorni festivi da un totale di cinquemila persone e poco affollato nei giorni feriali.
Oggi la speranza degli italiani, nonostante lo stato di emergenza prolungato, è che tutto possa tornare alla normalità il più presto possibile.
“Ci sono estati che ci porteremo addosso per sempre, estati che ricorderemo”: è una frase del film “L’estate addosso”, diretto da Gabriele Muccino nel 2016.
L’estate 2020 rimarrà impressa sulla pelle e nella memoria collettiva di tutti quando verrà sconfitto definitivamente questa guerra conto il “nemico invisibile”.