Con la Costituzione nel cuore. Conversazioni su storia, memoria e politica di Carlo Smuraglia – Rosario Lentini
La casa editrice Gruppo Abele ha pubblicato nell’aprile dello scorso anno un tascabile di 160 pagine nella forma di libro intervista del ricercatore universitario Francesco Campobello a Carlo Smuraglia, dal titolo inequivocabile: Con la Costituzione nel cuore. Conversazioni su storia, memoria e politica.
Non sorprende tanto che il volume abbia avuto grande riscontro di lettori quanto, piuttosto, che il “giovane” novantacinquenne avvocato, professore universitario, senatore per tre legislature, attuale presidente emerito dell’Associazione partigiani, abbia viaggiato in lungo e largo per l’Italia per ben 22 presentazioni del libro in meno di un anno, dalla prima presso la sede nazionale della CGIL, all’ultima nella sala Almeyda dell’archivio storico del comune di Palermo.
Alla redazione di questo testo, Smuraglia – assai restio all’autocelebrazione e all’autobiografismo – è stato sollecitato meritoriamente dal suo intervistatore il quale, al di là delle finalità personali di studio, ha intercettato, facendosene interprete, un’esigenza generazionale e, più in generale, collettiva di acquisire dalla viva voce di un testimone e protagonista di primo piano non solo memorie e ricordi sulle vicende attraversate dall’8 settembre del 1943 – «quando tutto è cominciato» – in poi, ma di conoscere anche le motivazioni profonde che hanno presieduto alle sue principali scelte di vita, da quelle giovanili di studente alla Scuola Normale di Pisa a quelle più recenti. Mentre l’istituzione monarchica si dileguava e l’esercito si dissolveva migliaia di cittadini e di giovani come Smuraglia non si fecero travolgere dalle macerie del fascismo, né incantare dai repubblichini di Salò. Il desiderio di riscatto e di libertà era ormai incontenibile e l’assunzione di responsabilità a reagire coinvolgeva donne e uomini di ogni ceto sociale: «Il che fare e il come agire furono oggetto di grandi discussioni con gli altri studenti dell’Università. C’erano riunioni serali e notturne in cui si discuteva su tutto, con idee ancora molto vaghe, molto grezze, ma sempre idee di libertà. E presto arrivò il momento della scelta: si poteva restare nella Scuola (con il rischio di essere aggregati alla Repubblica sociale o di essere presi e portati in Germania) oppure scegliere di darsi alla latitanza e di iniziare un percorso di resistenza».
E fu proprio questa seconda via quella imboccata da Smuraglia e da molti suoi coetanei; una scelta di comune sentire e comuni ideali, seppure ancora privi di formazione politica, che sarebbe avvenuta solo in un secondo momento, dal contatto diretto con partigiani e con idee di chi già l’antifascismo lo praticava da anni, nelle carceri o in esilio: «L’incontro con queste esperienze di antifascismo ci illuminò e ci avvio a un processo di maturazione politica. Avevamo voglia di conoscere, di studiare, ma non c’erano molti libri da leggere, specialmente di carattere politico».
Liberata Ancona, sua città natale, nell’estate del ’44, decise di arruolarsi nel Corpo italiano di liberazione, condividendo in parte l’idea che bisognasse pensare al dopo e a una democratizzazione dell’esercito: «quella di arruolarmi fu una scelta più ragionata e consapevole tra restare nella tranquillità della parte d’Italia già liberata oppure arruolarsi volontari in un esercito regolare, per l’ultima fase della guerra», suscitando non poche preoccupazioni e timori nei genitori e rinviando, di fatto, il completamento degli studi che avrebbe ripreso solo a luglio del 1945.
La Liberazione, quindi, come spartiacque nella vita del Paese con la sconfitta del fascismo, la fine della monarchia e la nascita della repubblica democratica: «La scelta della repubblica non è stata determinata soltanto dalla volontà di punizione dei Savoia per la fuga a Brindisi, che è parsa ai più un tradimento: la vera ragione della scelta repubblicana è stata l’identificazione della monarchia sabauda prima di tutto con il regime fascista e poi con un sistema di potere ottocentesco e la disponibilità a qualunque cedimento o compromesso o tolleranza pur di restare in vita». Solo la forza dell’utopia ha permesso di dare un senso compiuto alla svolta democratica, utopia che nonostante le cocenti delusioni degli anni successivi (soprattutto la limitata defascistizzazione delle istituzioni e la mancata applicazione dei principi di libertà e uguaglianza) continua a tenere viva la Costituzione. È grazie alla Resistenza se finalmente le donne acquisirono il diritto di voto e di essere parte attiva in politica e nelle istituzioni, dopo aver dato un contributo decisivo alla liberazione del Paese: «A lungo si è cercato di confinare le donne della Resistenza in un ruolo secondario, quando addirittura non si è trattato di dimenticarne o sottovalutarne la partecipazione alla Liberazione».
Smuraglia ricorda non solo l’incontenibile entusiasmo della prima festa della Liberazione del 1946, ma anche la «grande giornata» della manifestazione dell’aprile 2017, all’indomani del risultato del referendum di revisione costituzionale. Come noto l’ANPI, ha sostenuto fermamente le ragioni del No ed ha avuto un ruolo importante nella valutazione del merito della proposta e nell’illustrazione delle incongruenze e dei rischi in essa contenuti. Questa battaglia che ha visto crescere il consenso e le adesioni giovanili all’ANPI in modo significativo, è servita anche a contrastare la pericolosa tendenza in atto da diversi anni a derubricare il valore della festa della Liberazione a rito della “sinistra”, a manifestazione divisiva che, invece, secondo alcuni dovrebbe includere tanto il ricordo dei partigiani quanto di chi aderì alla Repubblica di Salò: «La storia, se è vera storia, è una sola anche quando, inizialmente, non è condivisa. […] Allora non ha nessun senso dire che da un certo momento in là deve esserci una pacificazione. Ma quale pacificazione? C’è stato chi ha combattuto per mantenere una feroce dittatura e chi, invece, ha combattuto per la libertà e la democrazia. […] È un’assurdità che sia venuta meno la differenza tra partigiani e fascisti della Repubblica di Salò. La storia ci dice che c’è stata la Resistenza e che essa, alla fine, come ho detto ha vinto. […] Ciò non significa, in alcun modo, coltivare odio verso i nemici di ieri. Io non ho mai nutrito neppure durante la guerra sentimenti di odio nel senso letterale del termine».
Ed ancora, molto acute risultano le sue considerazioni sui nuovi rigurgiti di fascismo che si manifestano in tanti modi, favoriti dalla diffusa convinzione che il vecchio fascismo sia ormai acqua passata. Sfugge a molti il pericolo del fascista del “terzo millennio” e cresce la percentuale di cittadini secondo i quali un uomo solo al comando di una nazione sia la soluzione migliore, a riprova del fatto che non soltanto non si sono fatti i conti con il passato, ma che non si stia comprendendo nulla di questi nuovi fenomeni: «Oggi non è pensabile che rinascano un fascismo o un nazismo come quelli degli anni Venti e Trenta. Difficilmente la storia si ripete nello stesso modo. Però bisogna conoscerla molto bene, la storia, perché ci sono alcuni segnali che impongono di creare degli antidoti». L’autore avverte il pericolo della mancata applicazione delle leggi che già esistono, da quella che porta il nome di Scelba del 1952 alla legge Mancino del 1993, anche se si è verificato che persino alcuni magistrati hanno dato interpretazioni contrapposte a episodi di apologia del fascismo, mostrando come la riprovazione sociale non sia sufficientemente radicata nella coscienza comune (e talvolta neppure in quella dei giudici) e di come sia necessario un impegno ben più forte nel «diffondere conoscenza, cultura democratica e memoria con tutti i mezzi disponibili, a partire dalla scuola». Di certo non può bastare l’attività dell’ANPI che organizza incontri con insegnanti e studenti per spiegare cosa sia stato il fascismo se, in controcorrente, il ministero dell’Istruzione comprime ulteriormente le ore destinate alla didattica della storia.
Di notevole interesse nei passi centrali dell’intervista anche il ricordo dei ripetuti tentativi di modifica della Costituzione, con l’intento di limitarne la visione complessiva e le interpretazioni, sin dall’indomani del varo della stessa, osteggiando la nascita dei due organismi di garanzia fondamentali da essa previsti quali il Consiglio superiore della magistratura e la Corte costituzionale. In alcuni casi si è persino verificato un arretramento rispetto ai principi sanciti nella Carta; il riconoscimento della libertà dell’iniziativa economica privata, ad esempio, è previsto che si coniughi col rispetto dell’utilità sociale e della dignità, libertà e sicurezza della persona: «Ebbene l’utilità sociale è scomparsa. Nessuno ne parla più. S’è cominciato addirittura a sostenere che sia una frase vuota di significato concreto, un’espressione retorica». Smuraglia coglie lucidamente questi tentativi come frutto di una mancata accettazione della Costituzione – da una parte della società e delle forze politiche – come patrimonio comune condiviso, come regolatrice della vita delle istituzioni e delle persone; attribuisce una quota di responsabilità anche alla sinistra nell’avere alimentato l’idea che la corretta interpretazione dell’articolato costituzionale spetti agli specialisti e ai giuristi. Così facendo si è, però, tradito lo spirito e anche la sostanza del lavoro svolto dai costituenti che hanno compiuto uno sforzo considerevole di chiarezza e di semplicità espositiva come si evince dalla lettura di numerosi articoli della Carta a partire dal primo: «È singolare, ad esempio, che quando si è riformato l’articolo 111, per dare al processo penale caratteri nuovi e definire i contenuti del “giusto processo” si sia scritta una pagina intera».
L’impegno di Smuraglia si è manifestato senza riserve durante tutte le fasi della stagione referendaria 2016, per spiegare le ragioni del No, evitando accuratamente scontri e polemiche pretestuose e restando ancorato al merito delle modifiche proposte, nonostante gli attacchi personali subiti anche da esponenti del Partito Democratico, non solo dalla Destra. Si trattava di far comprendere ai cittadini che un conto è la revisione costituzionale prevista dall’art. 138, altra cosa è lo stravolgimento immaginato dal testo di riforma sottoposto a referendum; «si potrebbero costituzionalizzare le Autorità indipendenti di garanzia, per attribuire a loro maggior prestigio e ai cittadini più diritti e più garanzie. Si potrebbe costituzionalizzare uno “statuto” delle opposizioni e fissare modalità e termini rigorosi per la presa in considerazione vera delle proposte di legge di iniziativa popolare. Innovazioni di questo tipo non toccherebbero affatto l’impalcatura anche spirituale della Costituzione e rappresenterebbero novità di natura squisitamente democratica».
La narrazione di Smuraglia va ben oltre la disamina puntuale delle battaglie condotte a difesa della Costituzione e si sviluppa anche attraversando i passaggi cruciali della storia politica e sociale del Paese a cominciare dal Sessantotto, vissuto da giovane docente universitario in una posizione di “compostezza” contro ogni eccesso, ma con la profonda convinzione che il “sistema” – e specialmente il mondo della scuola e delle università – meritasse di essere modificato: «Sembrò davvero che l’università potesse cambiare in meglio; ma devo dire che guardandola ora, dall’esterno, dopo tanti anni, non trovo grandi cambiamenti; e dunque dovrei parlare di una “rivoluzione fallita”, ma non me la sento, perché nonostante tutto, qualcosa è rimasto e sopravvive, non solo nei ricordi». Di grande interesse anche la ricostruzione della vicenda che lo riguardò personalmente nella veste di componente del Consiglio superiore della magistratura dal 1986 al 1990, allorquando a parità di voto con l’altro candidato Cesare Mirabelli, per la nomina a vicepresidente, avrebbe dovuto essere eletto in quanto più anziano; ma l’allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, anziché astenersi come da tradizione, decise di “forzare” interrompendo la consuetudine dell’astensione ed esprimendo il suo voto in favore di Mirabelli per impedire che fosse Smuraglia a presiedere il CSM in sua vece. Come noto non sarebbe stata l’unica forzatura dell’era cossighiana in qualità di presidente della Repubblica.
Le riflessioni di Smuraglia investono a tutto campo il fare politica nella fase “post-ideologica” che ha avuto inizio con la caduta del muro di Berlino e con la frantumazione del ex colosso sovietico; fase che sta alimentando il falso teorema della irrilevanza e non più cogente distinzione tra destra e sinistra: «Forse è un bene che si siano smussati alcuni estremi degli ideologismi del Novecento, ma nel contempo la caduta delle ideologie, intesa come caduta degli ideali e dei principi ha provocato solo guasti. Direi, piuttosto, che di ideologia ce n’è troppo poca». Difficile separare le diverse facce dell’attività e dell’impegno civile e politico del partigiano Smuraglia da quella coerenza morale e intellettuale che ha sempre contraddistinto il suo operato, sin da quando nel ruolo di giovanissimo avvocato si ritrovò a difendere nelle aule giudiziarie sedici partigiani accusati di avere commesso omicidi sulla base di accuse del tutto infondate. La piena assoluzione degli imputati, ottenuta lavorando al fianco di una personalità di prestigio come Lelio Basso, nonostante i pregiudizi colpevolisti del presidente della Corte e del relatore, costituì un’occasione di grande crescita professionale.
L’ultima parte dell’intervista è dedicata alla sua gestione da presidente dell’ANPI dal 2011 fino al 2017, anno del passaggio del testimone – per la prima volta nella storia dell’organizzazione – ad una donna, la docente Carla Nespolo ex deputata ed ex senatrice, della generazione successiva a quella dei partigiani. D’altronde, dopo la riforma dello statuto dell’Associazione approvata nel 2006, l’iscrizione è aperta a tutti gli antifascisti che ne condividono i valori: «Anche se il presidente dell’ANPI è sempre stato un partigiano, non era ragionevole pensare che si potesse eleggerne un altro con la mia età o con pochi anni di meno» e la scelta di Carla Nespolo ha assunto «anche il sapore di un riconoscimento alla partecipazione delle donne alla Resistenza e al contributo da loro dato alla vita politica nazionale». Il cammino che ormai si apre dovrà inevitabilmente essere percorso da generazioni che la guerra non l’hanno vissuta e certamente la svolta impressa ha ridato energia e maggior flessibilità all’attività dell’ANPI, non solo per continuare a coltivare la memoria della Resistenza, ma per promuovere i valori della Costituzione. Nonostante l’evoluzione inquietante e minacciosa di politiche sempre più illiberali e di governi di destra xenofoba e razzista, Smuraglia non perde fiducia e neppure l’ottimismo della ragione: «Abbiamo avuto tentativi di colpi di Stato, stragi politiche e stragi mafiose, spesso tra loro intrecciate, gli anni di piombo del terrorismo, e li abbiamo superati. Perché non dovremmo riuscire a fare altrettanto con le difficoltà attuali?». Non si illude e non è un ingenuo, anzi, è ben consapevole del fatto che l’Italia – parafrasando il titolo di un libro di Azeglio Ciampi – non è diventato il Paese sognato, ma continua a combattere perché lo diventi invitando tutti i democratici e antifascisti a fare lo stesso.