Istanbul, Signora d’Oriente e cerniera tra i continenti
La conquista di Costantinopoli, dove si incontrano Oriente e Occidente
Oggi, come ogni 29 maggio, in Turchia si ricorda la conquista di Costantinopoli da parte del nuovo protagonista politico in Oriente, l’impero ottomano.
In questo articolo non verrà trattata la conquista della capitale bizantina, ma verrà descritta e celebrata la città nei suoi suoi monumenti, facendo riferimento ad alcune fonti delle varie epoche storiche. Oriente e Occidente si sono incontrati a Istanbul. Terra di mezzo strategica, contesa da alcuni degli imperi più potenti del mondo (cristiani, crociati e Turchi ottomani si disputarono questo luogo), per molto tempo è stata la città più grande del mondo e un crocevia commerciale e di culture diverse.
Ma molti dei suoi tesori sono invisibili. Celebrata da autori come Costantino Rodio (931-944) in un inno dal titolo Salve gloria del mondo, in cui descrisse la grandezza della capitale dell’Impero Romano d’Oriente come città sublime con edifici monumentali e imponenti torri(1). Tale imponenza, a cavallo tra la fine del Medioevo e gli albori dell’età moderna, divenne decadenza con l’affacciarsi sulla scena politica dei Turchi ottomani comandati dal sultano Mehmed II Al-Fatih. In seguito alla conquista della Seconda Roma (1453), il sultano ricordò l’antico splendore di Costantinopoli, che verrà chiamata Kostantiniyye o Istanbul, in una poesia in persiano: Il ragno tira le tende nel palazzo dei Cesari, il gufo fa la sentinella nelle torri di Afrasiab(2). I versi, declamati dal Conquistatore, raccontarono la fine di un impero che era già sul principio della decadenza e della successiva dissoluzione nel tempo.
Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, dirà in seguito alla caduta di Costantinopoli, in una lettera indirizzata all’amico Leonardo Benvoglienti: Fuerunt Italii rerum domini, nunc Turchorum incoatur imperium(3), parole profetiche, poiché dalla caduta della capitale bizantina ebbe inizio l’espansionismo ottomano. Il poeta inglese George Gordon Byron (1788-1824), che prese parte alla Rivoluzione di indipendenza greca, in un’ode dedicata alla capitale ottomana, definirà la città «regina dei Greci»(4).
Istanbul oggi è un autentico gioiello, una cerniera tra il continente asiatico e quello europeo. Caratterizzata dai suoi monumenti più celebri come la Torre di Galata sulla costa europea, la basilica di Santa Sofia, il Grand Bazar, famoso per le sue spezie e il palazzo Topkapi, in turco «la porta del cannone»(5).
Pur essendo la residenza del sultano ottomano, il Topkapi non era un vero e proprio palazzo: era piuttosto un insieme di padiglioni con immensi giardini che ricordavano le tende delle popolazioni nomadi della steppa, da cui gli ottomani discendevano e onoravano di essere continuatori nelle usanze. Il palazzo non era soltanto sede del sultano, ma anche del governo imperiale: il Divan, assemblea consultiva e non deliberativa. Essa si riuniva quattro mattine a settimana e al suo interno sedevano il Gran vizir, che presiedeva il governo dell’impero (in quanto rappresentante del sultano deliberava) i vizir, il Kapudan Pascià (ammiraglio generale della flotta del sultano) e l’Agha (il comandante del corpo dei giannizzeri), a meno che non avessero il titolo di visir.
Oggi il Topkapi apre i suoi padiglioni a numerosi turisti e, nonostante sia adibito a museo, rappresenta ancora in pieno lo sfarzo e l’opulenza ottomana. Un altro dei tesori è la cattedrale di Santa Sofia. Chiamata in turco Aghía Sofía, venne edificata sotto l’imperatore Giustiniano I in onore della Sapienza. Nel corso dell’età medievale vide uno scisma (il famoso Scisma d’Oriente (1054), che contrappose la chiesa di Roma e il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario) e due saccheggi (il primo per mano dei crociati della Quarta Crociata, nel 1204,e il secondo che fu quello definitivo quello perpetrato dagli ottomani, che la trasformarono in una moschea). E, anche se solo per un momento, proprio la notte prima della caduta di Costantinopoli per mano musulmana, il ricongiungimento per l’ultima volta tra la chiesa d’Oriente e la chiesa d’Occidente.
Andando nel distretto di Fatih si cominciano a sentire odori di spezie e voci dei venditori, è il Grand Bazar di Istanbul. Il bazar cominciò ad essere edificato due anni dopo la conquista della città, lo scopo era quello di dare un forte impulso all’economia(6). Oggi come in passato, nel Grand Bazar (in turco Bedesten) è possibile trovare tessuti, gioielli e se, un viaggiatore lo desidera, bere una tazza di tè o caffè turco(7). Nella letteratura di viaggio(8) si fa molto riferimento al Gran Bazar. Tanto che un viaggiatore inglese, vistane la ricchezza, affermò che al suo interno sarebbe stata possibile perfino la rovina della famiglia Rothschild(9).
Sul versante nord del Corno d’Oro torreggia e svetta, avventurandosi nella costa europea, un’imponente costruzione che sovrasta il distretto di Galata, la magnifica torre omonima. L’odierno quartiere di Galata, prima della conquista di Costantinopoli da parte degli ottomani, era una colonia genovese al di fuori della città. Tursun Beg o Bey, biografo e cronista del sultano Mehmed II, nella sua Storia di Maometto II il Conquistatore scrisse:
“All’imboccatura di quest’ansa, sul versante del Kara Deniz, è stata costruita, di fronte alla fortezza di Costantinopoli, un’altra fortezza di forma triangolare, chiamata Kalata. È molto grande ed è abitata da una popolazione cristiana della nazione dei Franchi e soprattutto all’autorità di un governatore”(10).
Oggi è il luogo in cui sono presenti di numerose banche, di consolati di alcune nazioni europee, di varie sedi universitarie e vanta una delle quattro squadre squadre della città, il famoso Galatasaray Spor Kulübü o più semplicemente Galatasaray. Istanbul con i suoi distretti popolati da genti di diversa provenienza, rappresenta un crogiolo di culture di ogni tipo e conserva questo multiculturalismo, che fin dai tempi della conquista ottomana ebbe con i suoi millet(11) e che continua a conservare nel nostro secolo. Un gioiello che ancora oggi la rende la Signora d’Oriente.
Note
1 Cfr. S. Ronchey, T. Braccini, Il romanzo di Costantinopoli guida alla Roma d’Oriente, Einaudi, Milano, 2010, p. 7.
2 A. Barbero, Il divano di Istanbul, Sellerio, Palermo, 2015, p. 33.
3 “Padroni dell’universo furono un tempo gli Italii, ora ha inizio l’impero dei Turchi”, cfr. G. Vitolo, Medioevo I caratteri generali di un’età di transizione, Sansoni, Firenze, 2000, p. 466.
4 G. G. Byron, Oh Stambul!, cit.. in S. Ronchey, T. Braccini, Il romanzo di Costantinopoli guida alla Roma d’Oriente, Einaudi, Milano, 2010, p. 12.
5 A. Barbero, op., cit., p. 15.
6 Cfr. H. İnalcık, D. Quataert, An Economic and Social History of the Ottoman Empire, 1300–1914. Cambridge University Press, 1994, p. 14.
7 Ç. Gülersoy, Story of the Grand Bazaar, Istanbul, Istanbul Kitaplığı, 1980, p. 18.
8 Cfr. E. De Amicis, Costantinopoli, Einaudi, Milano, 2015, pp. 91-94.
9 Gülersoy, op., cit., p. 38.
10 Dalla descrizione fornita dallo storico turco, Galata era situata geograficamente tra quello che i Turchi chiamano l’Ak Deniz (Mar Mediterraneo) e il Kara Deniz (Mar Nero). La fortezza politicamente era indipendente dal governo di Costantinopoli, in quanto aveva un suo governatore. I suoi abitanti erano di religione cristiana e vengono chiamati Franchi, per indicare che fossero europei. Cfr. T. Bey, The History of Mehmed the Conqueror, a cura di H. İnalcık, R. Murphy, Bibliotheca Islamica, Minneapolis-Chicago, 1978.
11 A seguito della caduta di Costantinopoli, il sultano sentì la necessità di riformare la suddivisione urbana. Il Gran Turco decise di organizzare le minoranze in millet (nazioni). Rimise in uso ventisei chiese e nominò come patriarca Gennadios (1405-1473), uomo di grande erudizione e nemico dei latini, cui venne affidato il compito di governare i greci. Chiamò da Gerusalemme un rabbino nominandolo a capo della comunità ebraica e da Bursa, prima capitale dell’impero, fece arrivare il patriarca armeno, che avrebbe governato sugli armeni presenti in città. Cfr. A. Barbero, Il divano di Istanbul, Sellerio Editore, Palermo, 2015, p.36.