“Contra Genesim. Sugli ebrei e la rifondazione antropologica del nazionalsocialismo” di Alberto Castaldini
L’uomo nuovo del Terzo Impero e l’antropologia nazista: viaggio tra storia, pseudoscienza e teorie razziali della “Genesi capovolta” nel volume pubblicato da Franco Angeli
L’eugenetica nazista, la rifondazione sia dell’antropologia come scienza, sia soprattutto – negli ideali totalitari del regime – dello anthropos vero e proprio, la creazione dell’uomo “rigenerato” e perfetto, si conservano ampiamente in vita, con la loro quota di abominio, soprattutto nell’immaginario collettivo.
E tale mostruosità assume per l’appunto forme orribili, stravaganti; vagamente poi espresse, da ormai oltre mezzo secolo, nelle arti, nella letteratura, nel cinema.
Per chi ami quest’ultimo, ad esempio, il ricordo corre al 1977, quando nelle sale mondiali venne lanciato, con discreto successo, “Shock waves”, di Ken Wiederhorn, in Italia tradotto con “L’occhio nel triangolo”. Con un’allusione davvero enigmatica al mondo massonico (ma non solo a quello), dove il simbolo da secoli ha la propria sede, senza esser mai stato per altro del tutto decifrato. Ma “Shock waves” narrava semplicemente di un gruppo di SS trasformate da scienziati nazisti in creature anfibie e letali, sorta di zombie, crudeli e prive d’ogni moralità (e peraltro vincitrici, alla fine, nella tenzone che li contrapponeva ad uno sparuto drappello di umani che si erano imbattuti in loro).
A distanza di oltre quarant’anni, un brillante regista australiano, Julius Avery – singolare assonanza del nome con il Jean Améry molto citato nel libro di cui tra poco parlerò – dirige “Overlord” (2018) con un cast di tutto rispetto ed effetti speciali nuovissimi e spettacolari. La storia però è la medesima. Gli scienziati del Führer mettono a punto un nuovo “soldato”, spietata e perfetta macchina di morte, in un laboratorio francese. In una Francia ove vengono paracadutati, nel D-DAY, guarda caso, alcuni marine che, eroicamente, porranno fine, sacrificando le loro stesse vite, non solo al nuovo esercito inumano, o super-umano, ma anche ai creatori in provetta di cotali Übermenschen dai tratti assai poco ameni, e dalle intenzioni alquanto eccessive.
Una Francia dove significativamente incontrano, per le strade, proprio chiese ed oggetti di culto in fiamme. La morte di Dio. Che prelude alla creazione dello Homo Deus germanico. Ecco cosa rimane dell’uomo nuovo nazista, il figlio degli esperimenti genetici che portavano, ad esempio, splendide coppie di selezionati rampolli della razza ariana in giro in crociere riproduttive, onde venissero messi al mondo bimbi e bimbe perfetti, padroni del mondo a venire, liberato, forse, da tutte le razze inferiori, ebrei, zingari, turchi, e, secondo Himmler (ma non solo lui) anche italiani.
Alberto Castaldini, antropologo, storico, studioso dell’ebraismo, autore di importanti volumi in diversi ambiti scientifici, docente a Cluj-Napoca in Romania, ma nativo di Verona, ci offre una panoramica rigorosa – ed agghiacciante – dell’antropologia nazista in Contra Genesim. Sugli ebrei e la rifondazione antropologica del nazionalsocialismo (Franco Angeli, 2020), amabilmente prefato da Giulio Maria Chiodi. Il quale parla, al proposito, di una vera e propria “Genesi capovolta, orientata verso la notte del nulla, verso l’annientamento dell’uomo in quanto tale.” (p. 9).
In otto capitoli asciutti e molto densi, ricchissimi di riferimenti alla letteratura sul tema, Castaldini ci conduce nei percorsi, non sempre lineari, della costruzione dell’antropologia nazista. Partendo da lontano, dall’Illuminismo in cui per la prima volta l’antropologia si occupa sia di definire la natura umana, lo Homo sapiens che Linneo “classifica” nel 1755 (dopo venti anni di riflessioni sulle specie animali) perdendo l’occasione di definirlo, poniamo, sentiens – e lasciar spazio così ad emozioni e sentimenti che il semplice “sapere” può ben escludere – sia di affermare, o negare, come fece Buffon, l’esistenza (e gerarchia relativa) di “razze” umane diverse. La nuova antropologia razzistica definisce eccome una gerarchia tra razze, e, negando il principio della veritas sive varietas che fu al centro della tolleranza illuministica – Lessing prima di tutto – vede nella verità solo nel trionfo di una razza sulle altre, destinate o a scomparire naturalmente, o ad essere soppresse.
A Norimberga sul patibolo salì anche Rosenberg, che era semplicemente un ideologo, non esecutore. Ma si comprese bene la potenza devastatrice di un’ideologia, che cercava davvero di rovesciare la prospettiva biblica, da cui almeno in parte dipendeva (e si leggano le agghiaccianti notazioni di Castaldini sul dottor Mengele conoscitore profondo dell’ebraismo, che sceglie – “seleziona” – chi torturare e uccidere proprio nel giorno di Yom Kippur, ergendosi dunque a Dio distruttore, e non creatore, coll’arbitrio assoluto sul chi salvare, e chi sommergere).
L’ideologia e la prassi antropologica del nazismo appaiono così – ancora una volta, ma con riferimenti spesso inusuali o poco studiati dall’immensa letteratura precedente – il frutto più coerente di un processo di secolarizzazione che ha il suo inizio nel Settecento. E il suo primo trionfo nella Rivoluzione francese, ove l’eugenetica non è ancora fomite di stermini (ma i Vandeani erano davvero ritenuti in tutto e per tutto “esseri umani”? È lecito dubitarne). Ma è tutto l’armamentario ideologico ottocentesco che trionfa nei campi di sterminio, a cominciare dal treno, e, anche se probabilmente Carducci avrebbe avuto orrore di tutto ciò – Satana in locomotiva corre fino a quando, a Birkenau, i binari si fermano e si apre la prospettiva sui forni crematori: “Passa benefico/Di loco in loco/Su l’infrenabile/Carro del foco”. Benefico, terribile antifrasi. La forza delle idee, che trovano poi legittimazioni di ogni sorta, in una rifondazione non della sola antropologia, ma di tutto il sapere, con medici che si immaginano nuovi sacerdoti di un culto del tutto laico e terribile, con una negazione delle religioni rivelate sostituite da culti antropomorfi che non possono non avere esiti esiziali.
Da Gobineau a Lombroso, tutta la scienza o pseudo-scienza europea si fonde nello scientismo nazista, il concetto chiave della secolarizzazione, già nel Settecento, quello di “rigenerazione” (originariamente, la palingenesi in Cristo, la vita “nuova” dopo il Battesimo), diviene il centro concettuale della prassi dello sterminio. Ma non solo. Il culto della tecnica, del “lavoro” inteso come cieca catena produttiva (“Arbeit macht frei”), e la relativa disumanizzazione (la famosa “alienazione” di Hegel, che Marx e Engels rovesceranno contestualizzando nelle fabbriche), toccano l’apogeo, o ipogeo, nei campi di lavoro, appunto, e di sterminio. Anche se ogni tanto il perfetto congegno a Zyklon-B appaltato alle IG Farben si inceppa e nei forni crematori finiscono dei vivi. Cremati, appunto, in omaggio ad un altro idolo della secolarizzazione ottocentesca, la cremazione che ebbe in Italia nel comasco Paolo Carcano (1843-1918) uno dei suoi più zelanti alfieri, anche se di nuovo nell’Italia massonica e liberale la cremazione non assume cotali mostruosi aspetti.
Insomma, nei campi di sterminio si compie una storia molto lunga, iniziata forse nel 1789, forse prima. La genetica successiva al 1945, Luca Cavalli-Sforza, ma prima ancora James Watson e Francis Crick che nel 1953 scoprirono il DNA, seppellisce l’eugenetica nel cimitero delle teorie decadute. Ma a che prezzo! Significativo il distacco che la scienza italiana prese nei confronti degli eccessi della genetica tedesca, come si vede nella voce “Razza” redatta nel 1935 da Gioacchino Sera per l’Enciclopedia Treccani. Ma non era solo l’antropologia a concorrere alla formazione dell’uomo nuovo nazista: la scienza politica, la linguistica, e tutta una serie di altre scienze sociali stavano creando un monolite teorico al servizio di un regime perfettamente totalitario.
Per fortuna le idee, se non hanno gli Stati che le sostengono, precipitano in un oblio irreversibile. Ma lo Stato tedesco, il Terzo Impero, fu in grado di alterare per sempre il volto del mondo poiché ebbe bisogno, e ne fomentò la creazione, di un retroterra ideologico sia completamente aberrante, sia internamente coerente, perché ogni voce di dissenso veniva fatta tacere. E di molte di loro dà conto il volume di Castaldini. La mostruosità dello stato “organico”, e il trapasso semantico dall’organico, inteso come vitale, alla “organizzazione” come meccanismo di sterminio, è terribile, e mostra bene di quante contraddizioni sia fatto il Male: altrimenti, come ben sappiamo, non sarebbe tale. L’ambientalismo nazista, il culto per le lunghe passeggiate, e allo stesso tempo l’attacco al “nomadismo” di ebrei e zingari, la dicono lunga su quante assurdità vi siano in un sistema apparentemente coerente. Come la nudità, che è della “nuda veritas”, alla fine, dei corpi degli atleti ariani e degli ebrei ischeletriti avviati alle docce; ma che è nudità originariamente purissima, come appare nello Zohar, la “veste di luce” (pag. 107).
Insomma, quel Prometeo di Hans Jonas, che è stato di Marx, ha portato il fuoco alla fine ad accendere quei forni? Forse no, forse si è trattata di una deviazione, di uno scarto improvviso, di un binario – per tornare all’immagine del treno, con cui si apre il libro – che non avrebbe dovuto essere preso. Prometeo, in fondo, ruba il fuoco per donarlo agli uomini e gli dèi lo puniscono: un’aquila – simbolo imperiale fino al Terzo Reich – gli rode il fegato per l’eternità. Il problema si pone quando gli uomini vogliono farsi essi stessi dèi. E questo accadde. Ebbero però, come tra infiniti altri ci narrò un giovane Enzo Biagi, il loro orribile, tristissimo crepuscolo.
Nel secolo del settimo centenario della morte di Dante, mi piace ricordare la possibilità di una rigenerazione all’interno della stessa identità personale e biologica. Hic incipit vita nova. Questo differenzia, per l’appunto, l’umanità dalla barbarie. Della scienza occorre sempre diffidare. Tanto più, quanto più essa si lega alla politica e ne diviene serva. O mosca cocchiera.