Coronavirus, in tutto il mondo è caccia alle varianti
In un periodo cruciale per la lotta contro il Covid-19 e per la campagna di vaccinazione, a destare preoccupazione sono le varianti. Ecco quali sono, perché il virus muta e qual è l’efficacia dei vaccini su di esse
Quali sono le varianti del Covid-19?
Le varianti del Covid-19 che al momento preoccupano maggiormente in un’ottica di contenimento della pandemia sono tre. In base alla nazione nella quale sono emerse sono state rispettivamente ribattezzate “inglese”, “sudafricana” e “brasiliana”.
Variante inglese del coronavirus
La più nota di queste varianti è quella inglese, caratterizzata da una maggiore trasmissibilità rispetto agli altri ceppi più comuni.
È la prima ad aver allarmato la comunità scientifica, a causa delle numerose alterazioni a livello genetico che la caratterizzano.
La variante inglese presenta infatti diverse e significative modifiche del genoma rispetto al ceppo originario: quelle più rilevanti ai fini dell’evoluzione della pandemia sono quelle che riguardano la proteina spike.
Variante sudafricana del coronavirus
La variante sudafricana è la seconda ad essere stata osservata nel mese di ottobre. In Sudafrica è diventata la forma dominante del virus già a dicembre.
Questa sarebbe in grado, con le sue mutazioni, di eludere il sistema immunitario impedendo il riconoscimento del virus da parte del sistema anticorpale.
Variante brasiliana del coronavirus
La variante brasiliana invece è stata recentemente individuata in Brasile e in Giappone. Anche questa si ritiene possa essere caratterizzata da maggiore contagiosità. In questa variante si ritrovano alcune mutazioni comuni a una o a entrambe le altre varianti.
Cosa sono le varianti di un virus?
I virus con materiale genetico RNA – acronimo per acido ribonucleico – come il SARS-COV2, sono spesso dotati di grande variabilità derivante da mutazioni nel genoma virale. Tuttavia, tale proprietà virale non può essere infinita: se questa fosse troppo alta potrebbe risultare letale per il virus; al contrario invece, se fosse cioè cioè troppo bassa, potrebbe portare ad un riconoscimento precoce dell’agente patogeno da parte del sistema immunitario. Questo sarebbe svantaggioso per la sopravvivenza del virus stesso.
Perché un virus muta
I virus a RNA tendono a mutare molte volte perché gli enzimi che “copiano” l’acido ribonucleico all’interno delle cellule sono inclini a commettere errori.
Quando viene “copiata” la sequenza di nucleotidi che costituiscono l’RNA, da parte di alcuni enzimi appositamente dedicati, questi compiono errori inserendo un nucleotide al posto di un altro.
Ecco perché dall’inizio della pandemia sono state scoperte migliaia di mutazioni del virus che causano il Covid-19.
I virus SARS-CoV-2 infettano le persone utilizzando una proteina di superficie, denominata spike, che agisce come una chiave permettendo l’accesso dei virus nelle cellule, in cui poi si possono riprodurre.
Le sole mutazioni che coinvolgono la proteina spike sono più di 4.000.
L’infezione da SARS-CoV-2, in persone giovani e senza patologie rilevanti, ha generalmente una durata tra una settimana e dieci giorni. Nel caso opposto, invece, può assumere forme gravi o critiche e progredire verso una polmonite interstiziale.
È bene tenere a mente che i virus sono dei parassiti intracellulari obbligati: per sopravvivere devono cioè obbligatoriamente infettare un altro essere vivente.
L’infezione viene combattuta dagli anticorpi prodotti dal sistema immunitario umano che neutralizzano le proteine del virus e ne bloccano l’entrata nelle cellule.
Il virus nella sua fase iniziale è dunque sottoposto a una forte pressione selettiva che riguarda soprattutto le proteine più esposte all’attacco del sistema immunitario, e tra queste spike, che esercita un ruolo fondamentale nel consentire l’infezione delle cellule.
Spike è infatti il bersaglio principale degli anticorpi neutralizzanti, di quelli prodotti a seguito di infezione “naturale” ma anche di quelli la cui produzione è stimolata dai vaccini, che di fatto simulano un’infezione naturale introducendo nel corpo umano proprio questa proteina “preformata”, oppure le istruzioni per farla produrre da parte delle cellule umane.
Efficacia del vaccino sulle varianti del covid-19
L’efficacia del vaccino sulle varianti è stata spiegata dall’AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco – secondo cui i virus a RNA come SARS-CoV-2 sono soggetti a frequenti mutazioni, la maggioranza delle quali non altera significativamente l’assetto e le componenti dell’agente patogeno. Molte varianti di SARS-CoV-2 sono state segnalate nel 2020, ma finora non hanno alterato il comportamento naturale del virus.
Tutti i vaccini attualmente in studio sono stati messi a punto per indurre una risposta che blocca la proteina spike e quindi impedisce l’infezione delle cellule.
La variante segnalata in Inghilterra è il risultato di una serie di mutazioni di proteine della superficie del virus e sono in corso valutazioni sugli effetti che queste possono avere sull’andamento dell’epidemia, mentre appare improbabile un effetto negativo sulla vaccinazione.
Risultati del vaccino Pfizer
I risultati degli studi sul vaccino Pfizer hanno dimostrato che le due dosi, somministrate a distanza di 21 giorni l’una dall’altra, possono impedire al 95% degli adulti dai 16 anni in poi di sviluppare la malattia Covid-19 con risultati sostanzialmente omogenei per classi di età, genere ed etnie.
Tale percentuale si riferisce alla differenza tra i 162 casi che si sono avuti nel gruppo degli oltre 18mila che hanno ricevuto il placebo e i soli 8 casi che si sono avuti negli oltre 18mila che hanno ricevuto il vaccino.
La campagna di immunizzazione prosegue, seppure con battute d’arresto: sono disponibili anche in Italia le 66 mila dosi del vaccino Moderna provenienti da Bruxelles, da somministrare a sanitari e ospiti delle case di riposo.
L’AIFA ha inoltre autorizzato la somministrazione del vaccino inglese AstraZeneca dall’8 febbraio, da impiegare ai soggetti fino ai 55 anni di età dove la sperimentazione ha garantito migliori risultati.